Moana: prostitua dell'immagine

articolo di Velio Carratoni

apparso sulla rivista Fermenti  N. 210

Moana. Un personaggio a cento facce che aveva un'unica risorsa: agire per il gusto di confermare senza forzature. Per essere se stessa, anche nelle forme più crude e dissacranti. In nome di una purezza priva di scopi. A prescindere da quello economico, sempre presente nelle sue esibizioni. Qui la grande contraddizione. Dal male può nascere il bene. Dalla depravazione l'amore. Dalla mania la normalità. Purché nulla venga tralasciato. Ha rischiato per se stessa, senza badare a rimedi o apparati, preferendo bruciarsi, anziché risparmiarsi. Non credo però che le sue intenzioni siano state comprese nella giusta misura. Su di lei si è basato un mercimonio con regole alienanti e disumane. E su quell'apparato molti hanno sminuito le regole del piacere; hanno incamerato utili alla stessa maniera degli sfruttatori di bassa lega. Per immolare una vittima sull'altare dell'inutilità. Lei rischiando, ma anche guadagnando. Gli altri guadagnando, senza rischiare alla stessa maniera. I puri, gli spontanei, gli autentici pagano sempre di persona. Gli approfittatori lucrano, facendo immolare gli altri. Quanto ha guadagnato Schicchi su Moana? Non sapremo mai quanto. Certo deve aver avuto più del rischio che Moana ha investito nel suo lavoro. Le regole dei macrò sono spietate. Quelle dei puri, rimangono indifese. Vorremmo sapere quante responsabilità ci siano in Schicchi per tutto ciò che ha fatto Moana. Sarà stata insaziabile, sfrenata. Ma qualcuno deve averla indotta ad essere tale. Dov'è dunque la libera scelta? Liberamente si sceglie di rischiare, di mostrare a tutti come si prende in tutti gli angoli del corpo. Ma chi incita, sollecita, promuove non può parlare di libera scelta. Chi sceglie, senza scopi di lucro, di offrirsi alla cupidigia altrui per dimostrare che il sesso può essere un fatto banale, privo di valore commerciale è un benemerito di ogni attacco all'ipocrisia e alla grettezza del nascondersi. Ma chi lo fa perché altri devono guadagnare su certi gesti, mosse, accoppiamenti, incrementa l'arretratezza e l'oscurantismo dei rapporti. Altro che libertà sessuale. Se così fosse sarebbe gratuita. Dove c'è spartizione di utili c'è solo raggiro e doppio scopo. Pertanto la pornografia commercializzata non favorisce l'apertura degli scopi e dei rapporti, creando alienazione e blocco esistenziale. È invece ammirevole ogni forma di libero accoppiamento, senza che uno Schicchi qualsiasi venga a reclamare il suo utile che mortifica il libero amore. E ciò che indigna nel comportamento solare di Moana è il pensare a tanti aguzzini che speculano su certe intenzioni autentiche. Moana patologicamente avrà anche approfittato di tale apparato mercificante, rimanendo succube di un apparato, toccasana di troppi frustrati di massa. Lei però è morta per essere stata incosciente e priva di accortezze. Altri rimangono a contare certi bottini. Questa sarebbe l'educazione sessuale tanto auspicata? Godere nel vedere certi accoppiamenti per i quali alcuni speculano, riscuotono, facendo ricorso ai fotomontaggi, alle controfigure, ai peni finti, agli accoppiamenti simulati e non, prevalentemente meccanici. Questa è la pornografia. E Moana l'ha servita, pur avendo avuto tante capacità, mortificate e annullate da certe regole che mettono al bando ogni forma spontanea di erotismo. Se non sì riconosce ciò, significa non apprezzare certe sue rare qualità che altre non avevano. Qualcuno, dopo la sua morte, l'ha voluta far passare, niente meno, che per una «santa». Nulla di più improprio. Moana voleva stare dall'altra parte. Dissacrare ogni specie di tabù, per dimostrare che certi atti segreti possano divenire pubblici, senza ricorrere, per questo, alla volgarità e alla morbosità. Ogni gesto doveva risultare libero e gioioso. Praticando tutti gli accoppiamenti più insoliti, sembrava volesse dire: «Tanta paura e tanto sdegno per così poco?». E in tali momenti voleva provare tutto, anche ciò che poteva risultare rischioso e non opportuno. La sua è stata una scelta di vita che non prevedeva conseguenze, ma unicamente la pratica da esibire o da provare; in nome di una trasgressione, per lei senza scopo, ma che, in definitiva, alimentava un mero commercio della carne, sia pure liberatorio e autentico. Ma sempre di mercimonio si trattava, in quanto sesso condizionato da regole prettamente industriali. Questa era Moana. Personaggio contraddittorie che credeva in Dio, ma non nelle pratiche delle religioni rilevate; credeva nel cristianesimo inteso come panteismo. E tra l'essenza divina nella natura, il sesso, simbolo di energia dinamica e di mistero da svelare e proporre, nelle manifestazioni più eclatanti e libere, senza remore e limiti. Da attrice fallita è pervenuta alla proposta e alla pratica di un sesso esasperato e senza freni, la cui caratteristica prima doveva essere una misteriosa leggiadria tutta da scoprire e propagare. Pertanto Moana ha usato, non solo il ricorso allo scandalo prestabilito, ma sfociando difficilmente nella volgarità di certi canoni da latrina. Per lei il sesso doveva rimanere un fatto amorale, in nome di un'educazione sessuale da raggiungere che, contraddittoriamente, rimaneva ancorata alle regole del dare e avere del bordello legalizzato. Questo è il suo maggior limite, anche se le sue gesta erano praticate ludicamente e con una gioiosità che sembrava assoluta, forse perché prevedeva la fine incombente da un momento all'altro. Non poteva essere altrimenti. E Moana ironicamente viveva nel presente, sapendo inconsapevolmente che per la sua attività non poteva esserci domani. Sia perché da vecchia non avrebbe potuto seguitare ad essere se stessa; sia perché le sue carni valevano finché sarebbero rimaste fresche e fruibili. Il suo presente non poteva che indurla a rimanere in una attività forsennata, necessariamente precaria, in quanto al di là di quel presente non poteva andare. La sua ricerca esasperata fa pensare che il suo gioco è stato mortuario. E qui resta la sua sconfitta (per caso o volontà — non sta a me spiegarlo —) che non giova purtroppo alla sua «filosofia» della conquista e dell'appagamento assoluto che dovrebbe portare ad una gioia, senza fine, ma che invece ha causato lo scioglimento delle ali di cera di Icaro, troppo vicine al sole. In Moana non esisteva alcuna specie d'imbarazzo. Tutto era naturale. Anzi, più gli atti esibiti erano strani, insoliti, più ella appariva spontanea. Il suo sorriso risultava leggiadro nelle pose più compromettenti. Oggi, aggettivi come insoliti, strani non significano niente. Vogliono dire che dovrebbero almeno essere mostrati o con morbosità studiata o con atteggiamenti innaturali. Ciò non avveniva con Moana. Nei primi tempi era meno bella. Sembrava un travestito, le sembianze irregolari, alquanto pronunciate. Poi quei lineamenti del volto andarono sempre più armonizzandosi, divenendo, come ho detto, più su, alquanto leggiadri. Servivano, indirettamente, a rendere la sua sfida più accettabile e solare. Voleva provocare, non per posa e calcolo, ma per una convinzione che non aveva nulla di studiato, com'era il caso delle sue solite colleghe, che mostravano perché così era stabilito da certi copioni. Moana agiva, sfidava, rischiando, sempre più di persona, per il gusto solare di dissacrare tutto, compresa la sua persona che spogliata e in azione era il presupposto di una proposta di rinnovamento o di rinascita generale. E in ciò non c'era studiata convinzione, ma leggera dimostrazione di quanto fosse poi, in fondo, tutto aleatorio e inutile. Compresa la sua fine, avvenuta con una fretta simile alle sue azioni esasperate e apparentemente deliranti. Non giova alla sua immagine, volerla, per forza, far apparire santa e irreale. Moana sfidava la società, infrangeva tanti idioti tabù, ma, in fondo, non amava il suo corpo che sentiva un qualcosa da infrangere ed abbattere. Credeva in una forza misteriosa che la rendeva leggera e diafana. E tale forza le permetteva di realizzare utili finanziari che provenivano da azioni facili e convinte. Moana, senza un utile così facile e conveniente, sarebbe lo stesso rimasta se stessa? Sarebbe stata egualmente brava e scatenata? Questa è una duplice domanda che le avrei voluto fare. Non ho fatto in tempo. Ella, sia pure alla sua maniera dissacrante e dal sapore più ninfomaniacale che freddamente scenico, ha svolto una missione che solo Nietzsche potrebbe giustificare con la massima: «Al di là del bene e del male». E tale massima, nel suo caso sembra tanto piccola e banale, dato che ella è arrivata ad un al di là ancora più marcato e profondo. Da elogiare per la sua coerenza cerebrale e da accogliere con riserva per il gusto mercificante di ogni sua pratica, rimasta egualmente leggiadra, dato che ha soddisfatto maniaci e amanti di una diversità, sempre più da proporre e da indicare, per svecchiare tanto marciume codino e tanta ipocrisia che madre natura non può fare a meno di codificare, prospettando senza via di scampo, due alternative fisse, l'ipocrisia o il mercimonio. Occorrerebbe una terza via. Ma non basta Moana a suggerirla, dato che certi apparati non potevano che incamerare anche lei, non certo nella prima, quanto nella seconda alternativa. Qualche giorno dopo la morte, ecco i soliti strombazzatori ad elogiarsi di essere stati a letto con lei. Tra questi Luciano De Crescenzo e Giordano Bruno Guerri che si vantano di averla avuta, in nome di un possessivismo di bassa lega e di vecchio stampo. Non avrebbero fatto meglio a tacere, per non risultare i soliti spacconi di turno? Amore non significa strombazzare, ma, in silenzio, rivivere ciò che ad altri non è dato avere. E invece? Qualche giorno dopo, altri a dire a tutti di averla amata con tanto di diffusione di foto con Moana, in atteggiamenti casti e tradizionali. Il primo è un certo Alberto, architetto fallito, trasteverino al quale la mamma consigliava di sposare Moana, anche se ella non si sentiva pronta al grande passo. Costui ha pure affidato alla stampa una lettera di Moana in cui ella dichiara il suo grande amore per lui. Il secondo, suo guardaspalla, segretario tuttofare, è risultato perfino suo sposo lasveghiano da tre anni, matrimonio privo di registrazione in Italia, poi risultato valido, secondo il pretore. Ma costoro non potevano tacere almeno per un poco? Moana amava l'autenticità, il rischio, una certa cultura di derivazione, ma quanta banalità nell'apprendere che, in fondo, anch'ella preferiva l'uomo in quarantena per meglio fare il proprio comodo, in nome di un certo «amore», inteso come riserva. A qualcuno dei due era vietato andare ad assistere ai suoi spettacoli. Dell'altro si ricordava quando le faceva comodo. Ossia quando occorreva l'evasione e l'esigenza di una certa autenticità da tornaconto. E tolti questi, rimanevano politici, intellettuali che avvicinava con il gusto del collezionismo; manager del porno, come Schicchi, che speculavano su prestazioni il cui presupposto restava il denaro da richiedere ai soliti masturbatori consapevoli o rincoglioniti. E tutto questo avveniva in nome del libero amore e del progresso del costume. Dalla pentola alla brace. Per amore, prima di Alberto o di Antonio o di altri che verranno a galla in seguito. Credevamo in una Moana libera, spontanea, non condizionata da alcun solito ominide di turno, disposto a farsi bello alle sue spalle, ad una Moana cui interessava un certo sesso libero e vero. E invece. Prima le cassette prostitutorie ora le storielle da Grand Hotel. Quel che sorprende è anche certi cosiddetti intellettuali come G. Bruno Guerri ostentano virilità da conquistatori indebiti, senza mostrare un sia pur minimo rispetto per chi da poco, non c'è più. Che lo facciano certi Alberti o Antoni non dovrebbe sorprendere più di tanto. Basta guardarli in faccia e sentirli parlare. Sono il simbolo della più sciatta banalità che Moana sembrava rigettare. Altri speculatori di turno che Moana ha surclassato, per generosità senza limiti. Roberto D'Agostino l'ha definita intellettuale della pornografia; Baget-Bozzo ha condiviso le asserzioni del cardinale Giordano, secondo cui, amante dei giochi erotici trasgressivi da esibire, ricercava Dio, in quanto autentica (sotto la cenere si può conservare un'autentica brace). Ma tutti i vari commentatori non hanno capito che Moana voleva essere una prostituta dell'immagine e della presenza esibita. Null'altro. E quindi tutte le teorizzazioni non fanno che portare acqua a mulini che non erano i suoi. Lei amava sfottere, dissacrare i benpensanti, con amabilità e senza forzature, dato che il clima da bolgia della pornografia la rendeva cosciente e solarmente disponibile. Essere andati a letto con lei, non era poi una conquista, credendo, in definitiva, nella banalizzazione del sesso. Se poi si arriva alla mitizzazione, significa riconoscere la povertà attuale del mondo dei valori. I valori per Moana erano quelli di santificare oscenità che le sue colleghe hanno diffuso, come già detto, con volgarità, sdegno, esasperazione alienanti. Anche quella poteva essere una maniera eccitante, ma fredda e meccanica, in quanto tendeva a smorzare ogni morbosità prestabilita. Anche se parlava di partecipazione

Velio Carratoni