Il tempo dei buoni amici e altro

articolo di Velio Carratoni

apparso sulla rivista Fermenti  N. 224

Trovo su una bancarella il volume Il tempo dei buoni amici, Bompiani, 1975. L'autore è Franco Monicelli, già collaboratore di "Epoca" "Settimana Incom", "Paese sera", "Il Messaggero" ecc. È stato anche autore di diverse commedie, collaboratore de "L'Espresso" e della R.A.I.

Ci parla dei caffé letterari, di autori come Moravia, Zavattini, Marotta, di tanti premi e personaggi politici, soprattutto del dopoguerra. E, tra gli altri, di Marino Piazzolla, del contrasto-amore per Cardarelli, degli incontri tra autori in celebri caffè come Aragno, Rosati, Canova nei quali si svolgevano incontri-scontri con personaggi che negli anni Cinquanta-Sessanta risultavano non solo elementi di contorno, ma parte integrante di un meccanismo che determinava attenzioni, amori, considerazioni nei confronti della cultura e della letteratura, in particolare.

Oggi non si discute più nei caffé. Tutto si organizza in TV, per ragioni sceniche o di audience. Manca l'amore per la cultura. Tutto il resto è tempo sprecato.

I caffé sono stati sostituiti anche dal telefono, dai cellulari, da internet. E da tanti incontri casuali o programmati in macchina. Nei caffé, con dicerie, battute, strali, invettive si tramandava una cultura che portava poi in libreria. Oggi nei programmi d'intrattenimento manca la cultura e, se viene almeno sfiorata, tutto si riduce in scialacquamento o in battuta che non giovano né agli autori né ai testi. Tanto che non si legge di più per le menzioni di un Chiambretti, di un Baudo, o di una Venier, di una Saluzzi qualsiasi. Tutto resta in superficie. Tanto che il macero è il luogo più certo per tanti libri inutili che escono.

Allora, ossia al tempo dei caffé, c'erano libri di Moravia, Cassola, Bassani che raggiungevano le centomila copie in pochi mesi. Oggi chi ottiene tirature del genere sono volumi di giornalisti scrittori come Biagi o Vespa. E tranne che per Eco o Camilleri, per gli altri le sorti sono modestine, tranne i King, i Le Cane, e i tanti autori dell'immondezzaio nord americano.

Autori come Ercole Patti, Sandro De Feo, Vitaliano Brancati, Carlo Bernari, con i loro oziosi incontri, con le loro battute pettegole, salaci o meno, dimostravano competenze, oggi in estinzione. E l'intrattenitore Costanzo non può certo fare miracoli. Lo stesso Elkann con i due minuti per un libro nomina autori per ragioni di casta, gruppo. Restano eccezioni programmate su quotidiani che ammettono titoli di editori che pagano tanta pubblicità per esiti che non dipendono unicamente dalle recensioni dei soliti gazzettieri dell'informazione che parlano per ordini di scuderia.

Guai a certi silenzi. Possono costare inimicizie, saluti ignoti, rinnegamenti conclamati per ragioni di consorterie o di favoritismi. Ai tempi degli incontri nei caffé erano in vigore certi metodi che sono noti con certa istruzione d'uso, ma che non hanno raggiunto tanta superficialità o presunzione dei nostri giorni.

Erano autori che non conoscevano l'industria culturale, il commercio fine a se stesso, divenuti ormai forme sempre più legalizzate di mercimonio.

La Morante imponeva a Einaudi di accogliere Patrizia Cavalli; Moravia imponeva Dacia Maraini che poi lo avrebbe trascurato e quasi rinnegato; ma al­meno si trattava di scrittori che nel bene o nel male scrivevano i loro libri, alcuni dei quali hanno lasciato il segno. Ma non era capitato che un Bevilacqua imponesse alla Mondadori di accogliere nelle sue edizioni degli Oscar un testo di una certa Micaela Miti, sua preferita per ragioni personali, ex attricetta di Alvaro Vitali (il Pierino dello schermo).

Non voglio ricordare chi è riuscito a scomodare tale esponente di bestseller che nessuno legge, per presentare tale volumetto in un certo locale di via Margutta. Nessun letterato, scrittore, critico si è almeno sorpreso di ciò.

Ai tempi dei caffé letterari un fatto del genere avrebbe suscitato sdegni, avrebbe indotto certi numi non certo dei sacri palazzi ma dei deschi o assaggi gustati a sorso lento, per ricercare compagnie non certo effimere o vacue a lanciare strali o ingoiare capsule di dentiere o a ingurgitare spremute, sorsi di tè di traverso.

Se un Cardarelli allora per sue improvvise forme di simpatie che si tramutavano in antipatie viscerali era capace di negare il saluto a chi lo aveva seguito fino a casa per accudirlo, data la sua condizione fisica non certo brillante o efficiente, oggi anche il fatto più squallido o dilettuoso non fa più effetto. Tutto suscita indifferenza o incapacità di prendere certe idonee distanze.

Siamo divenuti più tolleranti o più incoscienti?

A proposito dei rapporti avuti tra cardarelli e Marino Piazzolla, ai tempi de "La Fiera Letteraria", qualcosa sfugge o non è chiaro. Leone Piccioni ci parla di frequenza abituale e reverenziale da parte di Marino che era solito accompagnarlo a casa, non certo come un accompagnatore capitato per caso, dopo sicuramente qualche scambio di opinione o di veduta. Ugo Pirro conferma tale frequenza solita e ripetuta. E chiunque sia, in stato di bisogno, a problemi di salute, non si fa accompagnare a casa da un importuno seccatore.

E poi Cardarelli aveva affidato a Piazzolla una rubrica di poesia da curare nel settimanale citato. Questa vuoi dire che tra i due deve esserci stato un rapporto fiduciario e di stima. Piazzolla firma per Cardarelli pezzi anche di critica d'arte, (vedi il caso di Ceracchini). Non si sa quindi come Monicelli possa parlare nel volume su citato di dissidi già in atto. Se vi sono stati, si sono matura­ti nel tempo. Piazzolla era anche permaloso e spesso non lasciava correre. Aveva sperato in un suo interessamento per ragioni editoriali, Cardarelli avrà promesso, senza mantenere nulla. Non sappiamo perché. E Piazzolla deve essersela legata al dito. Da buon poeta, anche egotista, solitario e riservato.

Così siamo arrivati a un distacco che non sappiamo se sia avvenuto tutto assieme con reciproca sop­portazione. Non sappiamo se di fronte a certe battute: "Mi tolga il saluto", ciò sia avvenuto sul serio e subito. Piazzolla non amava parlare di tale fatto. Mi ha però testimoniato: "... Anni fa il poeta Vincenzo Cardarelli mi presentò con un fare entusiastico e rispettoso all'Editore Alberto Mondadori. Erano gli anni del mio sodalizio col poeta di Tarquinia. Si conversò del più e del meno e quando Cardarelli si accorse che Alberto Mondadori aveva preso sul serio sia il mio ca­so che la mia poesia, nell'accomiatarsi, se ne uscì con questa frase, degna di un'autentica carognata, che turbò sia me che Mondadori: «Per quel che riguarda Piazzolla... poi si vedrà»".

Ancora: "... La casa Editrice Vallecchi, adducendo le solite ragioni, non pubblicò un mio volume di premetti presentato da Carlo Bo; né il poeta Vittorio Sereni portò a termine una certa intesa che si era stabilita con l'editore Mondadori. Dopo lo sciagurato episodio del vate di Tarquinia, col quale ero le­gato da una decennale amicizia, da lui mi aspetto la stima che meritavo, soprattutto perché da me, culturalmente, Cardarelli imparò molto, in special modo nel campo filosofico storico e anche letterario. Cardarelli, del resto era noto a tutti, pur essendo dotato di una viva intelligenza e gusto, come autodidatta aveva letto pochissimi libri e conosceva pochi autori e in superficie: Socrate, Pascal, Leopardi, alcuni brani dello Zibaldone, Rimbaud, Boudelaire, Nietzsche, Peguy, Ibsen e qualche altro autore. Infatti egli osava affermare solennemente: «colti si nasce!» e si accontentò per tutta la vita di questo detto".

Ancora su Cardarelli; da "Quinta generazione", nn. 39/40 (1977):

"Durante gli anni Cinquanta iniziai la mia attività di critico su "La Fiera Letteraria" il cui direttore Vincenzo Cardarelli, mi affidò la critica di poesia, raccomandandomi - cosa che mi dispiacque - di «occuparmi di poeti mediocri e in modo mediocre». Gli risposi che mi sarei occupato di poeti degni di tale nome e che avrei scritto le mie recensioni nel modo più confacente alla mia preparazione culturale e al mio stile".

Di Piazzolla si sono occupati, tra gli altri, Emilio Cecchi, Giuseppe Villaroel, Oreste Macrì, Mario Luzi, Carlo Betocchi, Pietro Cimatti, Francesco Flora, Camillo Sbarbaro, Giorgio Caproni, Libero De Libero, Mario Petrucciani ecc.

Ma di Vincenzo Cardarelli, fino a prova contraria, non esiste una sola riga con cui abbia espresso un giudizio sulla sua poesia. Questo potrebbe confermare una certa incomprensione tra i due: Ma Cardarelli non si occupava di critica militante. Dirigendo un settimanale letterario, potrebbe rispondere qualcuno, non era lui a scrivere, ma a far scrivere.

Esistono frasi limitative di Piazzolla su Cardarelli, ma molti silenzi viceversa su un poeta che gli aveva mostralo attaccamento, considerazione, poi tramutati, come dimostrato dalle frasi riportate in astiose battute o testimonianze.

Abbiamo al riguardo interpellato Ugo Pirro il quale non ha trovato ulteriore risposta a quanto posto in argomento. "Non vorrei ripetermi. Ciò che ho ri­portato ne L'osteria dei pittori (Sellerio) lo confermo, ma altro non so aggiungere".

Franco Monicelli va subito al dunque nel volume Il tempo dei buoni amici (Bompiani) parlando di dissidio già sviluppato, Piazzolla con la sua prover­biale rabbia sanguigna si è dimostrato risentito nei confronti del suo direttore che gli aveva suggerito di parlare di autori mediocri.

Chi sono stati gli autori "mediocri" di cui si è occupato Piazzolla su "La Fiera Letteraria"?

Ci mancano i rilievi di Cardarelli su tali scelte. E Cardarelli de "La Fiera Letteraria" fino a che punto è stato un direttore nominale, come Diego Fabbri? La collaborazione di Piazzolla a tale settimanale è andata oltre a Cardarelli, pro­seguendo con interventi su Montale, Bontempelli, Delfini, Simone Weil, Mallarmé, Leopardi, Gatto, Claudel, Camus, Valgimigli, ecc.

Cardarelli aveva iniziato la sua collaborazione a tale testata dopo la se­conda guerra mondiale. La sua visione poetica è legata al tema "ossessivamen­te ricorrente, dello scorrere del tempo, delle stagioni, della dolorosa memoria, e adotta in poesia, forme metriche libere, di ascendenze leopardiane, che tendo­no a decantare il peso delle tensioni sentimentali e il cerebralismo della ragio­ne nella trasparenza musicale del verso". (La Nuova Enciclopedia della Letteratura, Garzanti, 1985).

E tale giudizio non differisce molto da certa poetica adottata da Piazzolla in molte delle sue raccolte. Quindi si dovrebbe asserire che certe idiosincrasie tra i due devono essersi sviluppate per una analoga visione di fondo verso ma­trici in comune, sia pure sviluppate in modi diversi.

Comunque il parallelismo o il collegamento tra i due dovrebbe essere svi­luppato meglio. Mancano infatti tante spiegazioni per illuminare meglio un periodo che va dal dopoguerra al 1959, anno della morte di Cardarelli, ricco di presenze di nomi significativi della storia della Letteratura, anche se carente di mezzi informativi.

La "Fiera Letteraria" era l'unico settimanale letterario in uscita; alla TV c'erano un solo canale operante. Nei quotidiani, come durante gli anni trenta, la terza pagina, sia pure in maniera ridotta svolgeva il suo compito informativo con minore dispersione di oggi. C'erano meno spazi, ma quelli in funzione, con conciso impegno, informavano e documentavano.

Oggi con spazi culturali sempre più estesi c'è troppa dispersione e inutilità che non approfondiscono, limitandosi a citare, ad informare per mere ragioni di apparato commerciale. Tutto oggi è prodotto. Per questo i libri sono meteore che appaiono e scompaiono, quasi subito, dopo la loro uscita. Condannando a fine certa tanti autori, progetti, significati.

Velio Carratoni