ANTONIO PIZZUTO: Impopolarità di Strawinsky
(Radioconversazione)

dalla rivista Fermenti n. 216

Igor Strawinsky non è riuscito a farsi comprendere se non gradualmente, superando via via se stesso. Ogni sua nuova opera è stata accolta con invariata ostilità, ma è valsa a far apprezzare quelle precedenti, e ha dovuto a sua volta attendere la successiva per guadagnare i consensi.
Le critiche mosse contro ogni nuova creazione di lui sono quasi tutte identiche e facili nella spontaneità demolitrice; ma concludono sempre con spunti apologetici per quelle musiche strawinskyane che al loro apparire erano state disapprovate. Il progresso insomma, pur trovandoci diffidenti, induce a riconsiderare con smemorata benignità le pagine musicali in un primo tempo discusse.
Da quali cause ha origine questo nostro atteggiamento verso Strawinsky? Non sempre siffatti giudizi negativi si fondano su ragioni estetiche tali che possano giustificare la loro severità. E' forse lecito dunque pensare all'influenza di moventi psicologici che agiscano più o meno inconsapevolmente in noi.
Mentre va maturando nelle coscienze una ineluttabile trasformazione che implica l'abbandono del romanticismo, questo, sia pure con un certo nostro pudore, è tuttora vivo e operante, anche in quanti di noi avvertono la necessità di liberarsene. Ci troviamo impegnati in un conflitto di orientamenti spirituali che richiama al pensiero quello manifestatosi agli albori dell'Ottocento, allorché l'illuminismo dovette cedere alla tendenza romantica. Allora ne risultò la visione della vita dolorosa, di cui furono espressione il Foscolo e il Leopardi. Oggi Igor Strawinsky si è affrancato dal romanticismo, e da ciò il nostro scontento, la nostra istintiva avversione per chi nega inclinazioni sentimentali divenute nel tempo forti come dogmi: avversione che si confonde con la perplessità. L'Ottocento comprese immediatamente i due poeti e li amò poiché rinvenne nel loro canto una compiuta risonanza coi propri palpiti. Per noi accade l'opposto coi due grandi novatori dell'arte contemporanea: Joyce per la letteratura e Strawinsky per la musica - due artisti di sorprendente affinità - poiché essi non esprimono la nostra crisi, ma sono gli interpreti di un deciso trapasso, donde il loro ottimismo creativo contro il pessimismo della poesia ottocentesca.
Strawinsky ci turba perché ci delude: pretendiamo che egli appaghi la nostra aspettativa mentre egli incomincia proprio col respingerla. E deve, da artista, respingerla se ciò sente: nessuna aspettativa è legittima nel progresso dell'arte, la quale si rivela come un perenne divenire estetico, poiché non esistono canoni immutabili cui essa debba conformarsi. I princìpi che ci guidano per intendere l'opera d'arte non hanno che apparentemente il valore di postulati e, lungi dal condizionarla ne derivano, fino a quando la realtà artistica poi non muti.
Strawinsky sta fuori del catechismo, non solo nella forma ma anche nella sostanza della sua arte. La storia della musica ci schiera davanti molti riformatori, specie nei tempi più recenti. Il carattere che essi hanno avuto in comune è stato quello di una creatività soggettiva, diciamo così «dal di dentro», anche quando la rivoluzione compiuta dal genio si sia imposto come limite l'interpretazione dell'anima e delle tendenze universali in quel dato momento. Si consideri per esempio la riforma wagneriana: nell'opera di Wagner è sempre presente un io che non consiste, si badi, nello stile, ma nell'essenza della sua musica. Un consimile io possiamo ritrovare quale sostanza fondamentale nelle creazioni musicali degli altri grandi maestri tedeschi, italiani e francesi, con contate eccezioni, quali il Palestrina e G.S. Bach. Orbene, Strawinsky si riallaccia a queste eccezioni dipartendosi dagli altri musicisti. In lui, a simiglianza di questi due sommi, la musica si manifesta non come la proiezione di una sensibilità puramente soggettiva, ma come una realtà assoluta raccolta in uno stato di grazia, non come creazione ma come creatura. Strawinsky coglie il fantasma sonoro così come gli si manifesta, di là dagli schemi della razionalità e quindi con rischio, e la sua musica è storia. Potremo sì analizzarla, ma sarà un'analisi di espressioni e di modi, non dell'essenza che è irraggiungibile. E se ci limiteremo ad ascoltarlo ma senza una nostra partecipazione che abbia l'energia di dominare le inclinazioni, questa musica non potrà apparirci che come sensualismo e come poliritmicità pura.
La sostanza però è ben altra: questa musica non è sensibilità che si articoli in espressioni di arte, ma si rivela come vita che si impersona, come l'accoglimento di un trascendente fluire: e Strawinsky ne dà tangibile conferma col suo schietto attingere alle fonti popolari o al canto che le emula di un Pergolesi, di Rossini etc: caratteristica questa che non dovrebbe condurre all'affermazione che l'arte di Strawinsky consista nel connubio di un contenuto con una forma poiché, a considerarla un po' più a fondo, la natura dell'arte strawinskyana potrebbe definirsi piuttosto una sostanza-forma.
La sua musica è dunque esperienza, ricerca, adeguamento della musicalità alla sua espressione. Ci si presenta, per dir così, verticalmente anziché in senso orizzontale: sono lame di musica, non onde musicali. Ed ormai, nel tempo nostro che trasforma i problemi in problematicità, quando l'arte ci appare un principio puro ed assoluto, mentre le forme concluse vengono considerate come astrazioni, non possiamo più giudicare coi criteri di una volta.
Strawinsky fa pensare al daimònion socratico. Ne ha l'ironia, quell'ironia che suscita in noi il senso del paradosso. Ma la paradossalità, più che esser congenita nell'opera d'arte, è l'effetto di una nostra assuefazione bruscamente interrotta. Perfino Beethoven, si sa, fu tacciato di paradossalità, e non una sola volta. Molte composizioni di Riccardo Strauss furono paradossali e non lo sono più. Quanto a Strawinsky, la sua paradossalità consiste per lo più nel grottesco, che è scissione, bivalenza, bifocalità. Un esempio familiare ne offre il notissimo finale di «Chez Petruska», con la sua negata cadenza e con quel suo ruggire belando, brutalmente mozzo. Anche queste battute furono, ma non sono più, paradossali. La musica strawinskyana è un continuo svolgimento: matura in noi e con noi.

Antonio Pizzuto

Nota di Antonio Pane

Una vivace cronistoria compositiva dell'encomio strawinskyano (ma Pizzuto, esprimendo una predilezione che non mancherà di ribadire, trova il modo di immettervi i termini della propria estetica) può attingersi in un gruppo di lettere inedite a Salvatore Spinelli, l'avvocato, musicologo e romanziere che fu il principale se non l'unico interlocutore di Pizzuto nei lunghi anni di clandestinità letteraria (a lui sarà dedicata l'edizione Il Saggiatore di Paginette). Nella prima (14 novembre 1951), in verità goliardica filastrocca di 21 'ottonariucci', il Questore in quiescenza preannunzia l'invio di «un lavoruccio / per buscar qualche solduccio / se potrai sul giornaluccio / della Rai rifilarluccio». Il 19 novembre Spinelli ha già inviato il verdetto: il testo gli sembra «troppo elevato»; e il 22 Pizzuto, dichiarando di apprezzare le ottime intenzioni della critica, tuttavia si chiede: «Come si fa a tentare un'esegesi di Straw. senza cercare di alzare il collo fino a lui? Ma ad ogni modo puoi tagliare tutto quel che credi e ti do carta bianca». Nonostante da molti anni corra fra i due amici un affettuoso commercio (comprensivo delle più umili chiose) di giudizi e consigli sulle rispettive produzioni letterarie, in questo caso Pizzuto dà prova di una inconsueta condiscendenza, giustificata, insieme al curioso equivoco circa la destinazione del 'pezzo', il 24 novembre: «Ricevo in questo momento la tua del 23 [...].
Puoi immaginare come ho letto ansiosamente e avidamente, poiché per me non si tratta tanto di un'ambizioncella, mai avuta e ormai è troppo tardi a 58 anni da averne, quanto della possibilità, nelle mie crescenti ristrettezze, di guadagnare (qui dicono: guadambiare) qualche cosa: ambizione sempre, d'accordo, ma che ha per oggetto non la vanità, il bisogno. Anzitutto spira dalla tua cara lettera un formidabile: "Radames, discolpati!" e mi affretto a chiarire che sono stato vittima di un malinteso: credevo infatti si trattasse di possibile pubblicazione, come articoli, sul "Radiocorriere": di questo avevamo parlato, oppure è avvenuto che tu intendevi in chiave di basso ed io leggevo in quella di violino. Puoi ben comprendere come io sia affatto digiuno di tecnica radiofonica (terrei che tu spiegassi questo al Maestro Gatti, affinché non mi ritenga proprio un "fissa cu l'uocchi", da aggiungere notazioni musicali a uno scritto che debba essere diffuso anziché letto). Data quindi la brevità del tempo per ridurre l'articolo in modo da inserirlo in programma prima del 7 dicembre, e data la mia incompetenza, ti proporrei di ridurlo tu stesso, dandoti carta bianca, e naturalmente con l'intesa di dividere con me il compenso. Non m'interessa neanche che sia fatto il mio nome e considererei un onore per me che l'autore firmasse Salvatore Spinelli anziché Carneade, ossia Ant. Pizzuto. Comunque, io mi proverò a contrarre tutti gli sfinteri possibili, in modo da restringere questo scritto. I difetti che mi indichi [...] dipendono, oltre che dalla mia congenita deficienza, dalla fretta, poiché ho composto queste paginette in poco più di un giorno (vale a dire in poche ore). Così, per es., i canoni raccolti avrei dovuto dire, come ben suggerisci, ricavati; e inoltre è molto meglio il tuo emendamento del periodo iniziale ("Straw. non è riuscito a farsi comprendere che gradualmente, ossia superando via via se stesso") anziché la forma impacciata che mi è venuta fuori [...]. Se ti fa piacere, ti risponderò che le "lame" erano un pensiero mio: in generale, quando non cito la fonte, il resto è pensiero mio e, nel caso delle lame, si tratta più che di un pensiero di una nitida intuizione suscitata in me da questo meraviglioso compositore che ci riscatta dai vari Della Piccola etc. Infine devo dirti questo: tu che mi conosci così restio come sono, così lento a capire, così poco di bell'aspetto, ti figuri qual effetto produrrei sulla Signorina Bonisconti presentandomele direttamente? Non la impressionerei certamente come l'autentico Commendatore mozartiano, ma, pur avendo ricevuto una volta anche questa qualifica (che ho sempre considerata simile a qualsiasi altro epiteto, "cornuto" compreso), mi piglierebbe per un ufficiale giudiziario, e non avrei neanche il cappello da rigirare perché non ne porto. Che dovrei o potrei dirle? Dunque, Totò carissimo, un tal incontro si dovrebbe predisporre direttamente: certo, se ella mi mandasse a dire che vuoi parlarmi o conoscermi, andrei a passo scozzese, ma come faccio a tuppuliari per - avrebbe detto il già famoso Gentile - autoctisi? Concludo rinnovandoti la preghiera se puoi sostituirti a me in questo raggrinzimento. Ove tu non ne abbia il tempo, mi proverò io, ma so in partenza che farò una 'mpapuocchia' e che non arriverò a perfezionarla per la vigilia del 7 dicembre». Il proclamato disinteresse non impedisce comunque a Pizzuto, due giorni più tardi, prima ancora di conoscere la risposta del correo, di riconsiderare la questione: «Soltanto affinché tu non possa pensare che io, in un giuoco di tennis, volessi rovesciare addosso a te il peso del rifacimento in limiti ragionevoli, mi sono provato a farlo io, ma ho i miei dubbi di esservi riuscito, ignaro come sono della tecnica per le radio-conversazioni. Ed anzi vorrei pregarti di mandarmene qualcuna tua perché io possa imparare. / Dimenticai, nella mia precedente, di chiarirti che la formula "arte = sostanza-forma" è una mia proposta inedita che desidererei offrire al vaglio dell'altrui giudizio. Mi pare che essa segni un progresso sulla vico-crociana e filogenetica dottrina dell'arte e che risolva il dilemma al quale i più si arrestano ancora: arte, o contenuto? [...]. / Ho letto con l'orologio alla mano questa 2a edizione: sono 7 minuti circa. Per restringere ancora temo occorra tenere nell'acqua fredda della vasca da bagno per 24 ore».
Mentre la «2a edizione» viaggia verso il destinatario, Pizzuto riceve una nuova lettera con altre obiezioni e suggerimenti (riferiti alla stesura originaria) prontamente discussi (27 novembre): «Grazie dell'amorosa lettura, alla quale devo le tue acute osservazioni, quasi tutte felici, ragion per cui mi inchino consentendovi pienamente. Molte però sono superate, credo, dal fatto che si riferiscono a espressioni omesse nella rifazione. Resta la posposizione di Bach a Palestrina, benché non mi fossi curato tanto dell'ordine cronologico quanto di quello genealogico. L'avvicinamento di Strawinsky a Bach, lo sai bene, è già stato fatto da altri, e da almeno 20 anni se non più; io vi ho aggiunto l'altro [...]. Ma sarà bene che tu metta i numeri 2 e 1 sulle teste degli interessati [...]. La lingua e l'espressione sono la mia disperazione [...]. Non solo è difettoso tutto quello che mi fai rilevare, ma ne arrossisco sinceramente. Ad ogni modo potrai vedere come sono stato docile e potrai correggere da te per evitare che continuiamo a palleggiarci questo povero Strawinsky. Ti confermo che ti do carta bianca. Hot music è la musica jazz negra improvvisata (per questo è detta hot, a caldo insomma). Epoché era per evitare i caratteri greci, ma non è altro che la έπσχή = sospensione, degli scettici greci. Un esempio moderno ce l'offre Husserl quando nella sua fenomenologia trascendentale parla di "mettere il mondo fra parentesi". Dissi "vecchio" il Grove non comparativamente, ma perché ormai è più anticu d'u piritu [...]. Il "muta" credo di averlo mutato in "muti" [...]. Per le discordanze formali riconosco che io di anacoluti ne faccio molti, tra involontari e volontari. In linea di argomento da discutere ti direi che l'anacoluto - non quelli miei, lo so bene - arricchisce e vivifica straordinariamente lo scrivere. Io li ho nel sangue perché fui da giovane un appassionatissimo studioso di Tucidide, che lessi con trasporto nell'originale [...]. Carissimo Totò, io mi affruntu di andare da questa Bonisconti, sia pure col tuo libro, ma se me lo ordini farò anche questo; però l'effetto sarà controproducente poiché non potrà non pensare: "quantu è fissa chistu", s'intende nel dialetto suo proprio [...]. P.S. La parolaccia tedesca (das Umgreifende) l'ha introdotta Jaspers ed è intraducibile in italiano. Ecco perché l'avevo lasciata in originale».
L'invito a intervenire senz'altro sul testo, fino a renderlo 'irradiabile', è vivacemente ribadito a Spinelli il 30 novembre: «Correggi, correggi pure il dattiloscritto, ci tengo, e non voglio che resti senza le scorreggiature (o correzioni? non so) che mi hai proposte e che ritengo anzi necessarie. Lascerei soltanto invariato il rapporto psicologia-estetica, che mi pare dica più del propostomi (sentimento-logica)». E giunge il giorno del paventato incontro con la funzionaria Rai. Il 18 dicembre Pizzuto ne riferisce al suo patrono: «Ti dico quello che la Signorina Bonisconti mi ha detto: "E' molto elevato (non parlava dell'Osservatorio di Monte Mario, ma dello scritto tuo-mio che le presentai e lesse subito in mia presenza)", "Andrebbe benissimo in qualche intervallo durante un'opera di Strawinsky", "ma non è, questa delle conversazioni, materia che faccia capo a me. Però appena vedo chi di ragione, gliela mostro (la mia conversazione - tua) e raccomando" [...]. Sono comunque convinto che, personalmente, ho dovuto suscitarle l'impressione di essere io un frescone (sicule: fissuni), poiché la timidezza mi vietò di dire qualcosa di sensato o di sintatticamente sopportabile. Io per poter ben parlare devo scrivere. A parole non so dire niente [...]. Ritorno a Strawinsky: come vedrai dalla copia che ti spedirò dell'esemplare presentato alla Signorina Bonisconti, mi sono attenuto fedelmente a quasi tutte le tue correzioni, pur intitolando "Impopolarità" invece che "Popolarità". Ho soppresso la glottologia wagneriana per donnabondismo, benché mi permetta farti rilevare che quella era una osservazione acuta, incisiva, e forse originale. Ho pure soppresso Strawinsky che ascolta e noi che ascoltiamo, insomma quella centrale telefonica, sebbene mi permetta dirti che, pur avendo io gustato il tuo caratteristico umorismo ("e allora chi la scrive, Domineddio?"), era appunto questa la valutazione nuova che proponevo, e cioè quella di una trascendenza, di una trans-soggettività della inspirazione: concezioni queste che non hanno nulla di trascendentale (trascendentale, dico, non trascendente), ma rientrano nella fatale visione esistenzialista di cui tutti siamo imbevuti, sia quelli che conoscono la nuova concezione, sia quelli che non la conoscono, ma per cui conto pure, quelli che la conoscono, parlano: ogni concezione filosofica è una interpretazione, la quale non ha altro fondamento possibile che nella sua risonanza in tutti quanti la apprendono. Ma questa faccenda Domineddio (chiamiamola così algebricamente) non l'ho messa per snob. L'ho messa perché rende plausibile non solo l'essenza della musica di Str., ma perfino le sue caratteristiche assunzioni, come pezzi rigidi, di battute pergolesiane, rossiniane, ciaikovskiane, etc. - Gli altri non fecero mai così, ma si appropriavano. Esempi: "Teneri figli" nella Norma, dallo studio in sol # min. di Chopin, o "Non sono io bella e graziosa" di Serpina in Pergolesi e "Dies irae" di Haendel (chi dei due beccò dall'altro? secondo me il n. 2 dal n. 1) e tanti altri. La polifonia strumentale, per suo conto, c'entra benissimo nell'affare del fondamento inconsapevole sulla struttura linguistica del tematismo wagneriano; e c'entra benissimo (quello diceva: "C'è Caputo?") non soltanto per dargli nome e cognome, ma in senso specifico, perché la struttura tematica si condensa in Wagner più caratteristicamente nella polifonia strumentale: altrimenti torneremmo alla fuga e Wagner sarebbe un volgarizzatore del Wohltemperiertes Klavier (Clavecin bien tempere) (Clavicembalo ben temperato) (etc.) (etc.) (etc.) [...]. Se questo affare di Strawinsky andrà in porto, l'85% del merito sarà delle tue correzioni. Sei stato il mio basso continuo, il mio Orlando di Lasso, lo mio maestro e il mio autore [...]. P. S. Prima di andare dalla Signorina Bonisconti mi feci tagliare i capelli dal barbiere spendendo £. 150 + 50 di mancia = £. 200. Ero proprio stupendo così tignusu come mi presentai! Ti manderò la copia di questa ultima ediz. ("ne varietur") dello Straw. con piego a parte».
In attesa del verdetto, tra fiducia e scetticismo, Pizzuto potrà annunciare al suo mentore di aver avuto «l'idea di altra radioconversazione: una brevissima, chiara, semplice e originale esposiz. dell'Esistenzialismo. L'esito ancora dubbio della prima mi fa desistere» (13 gennaio 1952). Ma Yaffaire Strawinsky è destinato a rimanere nel suo limbo di solidali sollecitudini, sigillato nel delusorio che ne ferma la breve parabola: «La radioconversazione sui diritti d'autore è un modello e una lezione per me: lezione forse vana, poiché sono una pianta che non attecchisce mai, in nessun terreno, con nessuna calciocianamide, in nessuna stagione, in nessun modo: pazienza, e amen!» (19 gennaio 1952). La vicenda testuale descritta nelle lettere è ulteriormente illustrata da un fascicolo, conservato presso la Fondazione Antonio Pizzuto (che ringrazio, nella persona di Maria Pizzuto, per aver generosamente consentito la consultazione delle carte pizzutiane e autorizzato la pubblicazione dell'inedito), così suddiviso:
A) Copia di un dattiloscritto (di 5 veline, consecutivamente numerate, formato protocollo, utilizzate nel solo recto) dal titolo Strawinsky, identificabile (anche se vi mancano notazioni musicali; ma uno spazio bianco di circa 6 righi, prima del paragrafo conclusivo, fa supporre che fossero limitate alla copia principale) con la stesura originaria; vi figurano infatti alcune espressioni {hot music, epoche, das Umgreifende, canoni raccolti) e il riferimento a Grove, cui si accenna nelle lettere del 24 e del 27 novembre. Numerosi interventi autografi (con aggiunte, cassazioni, riscritture; lo stesso titolo è modificato in Impressioni su Strawinsky) attestano un lavoro di revisione confluito nella «2a edizione». Diamo di seguito, senza le correzioni manoscritte, il brano, poi soppresso, su «Strawinsky che ascolta e noi che ascoltiamo», caparbiamente difeso nella lettera del 18 dicembre: «Egli non crea la musica, o meglio non vi è io a lei in fondo, ma la trova, l'accoglie. La musica gli giunge con un impeto non centrifugo ma centripeto. Essa diventa per lui l'essere, lo jaspersiano das Umgreifende, la realtà conglobante entro cui esistiamo, incapaci di coglierne altro che fulgori emananti dalla sua abbacinante luce; ed egli sta come nel centro, fra l'incommensurabile silenzio e la grandiosità dell'universo sonoro. Gli basta aprire uno spiraglio: l'onda sonora irrompe, e se gli venisse meno la virtù di moderarla, egli ne rimarrebbe sopraffatto. Avvertiamo bene come una lotta senza tregua per lasciar passare soltanto quel che è dato sopportarne».
B) Manoscritto (di 6 veline, 2 formato protocollo, 4 di mm. 142 per 224, vergate nel solo recto) intestato Impressioni su Strawinsky, con la riscrittura di paragrafi iniziali (in parte corrispondente alle correzioni autografe di A) e di altri frammenti.
C) Copia di un dattiloscritto di 6 veline formato protocollo consecutivamente numerate, utilizzate nel solo recto (l'ultima è bianca) tenute insieme da una striscia di velina incollata; sulla prima vi è l'intestazione Impressioni su Strawinsky - Dr. Antonino Pizzuto, le altre sono numerate da 1 a 4. Poiché riprende parte delle correzioni autografe di A e della nuova redazione dei primi paragrafi prospettata da B (Palestrina è ancora posposto a Bach), vi si può tranquillamente riconoscere la «2a edizione» inviata a Spinelli.
D) Copia di un dattiloscritto, con varie correzioni autografe, dal titolo Impopolarità di Strawinsky, che utilizza il recto e il verso di un foglio formato protocollo.
E) Copia di un dattiloscritto (riprodotto nella presente edizione) di 4 veline consecutivamente numerate, formato protocollo, utilizzate nel solo recto; intitolato come il precedente e ad esso conforme, ne accoglie tutti gli emendamenti manoscritti. Si tratta con ogni probabilità della redazione «ne varietur» presentata alla signorina Bonisconti. A ed E recano in calce «Antonino Pizzuto»; B e D non hanno firma.

Antonio Pane

Antonio Pane. Nato a Caltanissetta nel 1952, vive a Prato. Ha curato, insieme ad Alessandro Fo, le corrispondenze di Angelo Maria Repellino sulle vicende della 'primavera' cecoslovacca (I fatti di Praga, Scheiwiller 1991). Di ripellino ha curato insieme a claudio Vela e allo stesso Fo, anche l'antologia Poesie 1952-1978. Dalle raccolte e dagli inediti (Einaudi 1990) e l'edizione integrale degli scritti sullo spettacolo apparsi sull'«Espresso» (Siate buffi. Cronache di teatro, circo e altre arti, Bulzoni 1989). Ha inoltre pubblicato su riviste specializzate vari inediti di ripellino e di Pizzuto e articoli a loro dedicati. Ha composto poesie, raccolte nei libretti Rime (1985) e Petrarchista penultimo (1986) o disperse in periodici.