LUCIA MAZZER: 1978: anno di grazia per l'aborto

dalla rivista Fermenti, n. 7/10, Luglio/Ottobre 1978

E' un giovedì pomeriggio di giugno, nella Casa delle donne a via del Governo Vecchio si respira aria di smobilitazione, compiici il caldo e le vacanze vicine. Al 1° piano si sta tenendo la riunione del consultorio dell'MLD: una ragazza si presenta, deve abortire e non sa a chi rivolgersi, al fatto che ora può andare in ospedale non ci pensa nemmeno, i genitori, il tempo che ci vuole... voi non lo fate più? Va bene, mi hanno detto di un medico che lo fa in privato, vuole molto ma... ciao.
Ad interrompere il senso di frustrazione provocato da quella richiesta provvede un'altra femminista: vuoi sapere come ci si deve comportare nel caso che i medici che presentano obiezione di coscienza siano conosciuti come abortisti di fatto, prima dell'entrata in vigore della legge, prove alla mano.
La legge, ecco il punto; anche per evitare il referendum popolare sull'aborto, è stata approvata la nuova normativa che lo regola, ma senza riconoscere la completa autonomia della donna di fronte a tale decisione, che in teoria rimane possibile solo se motivata da particolari condizioni di salute, fisica e psichica, o economiche. Evidentemente, era pretendere troppo il veder riconosciuta la responsabilizzazione della coscienza delle singole donne, in un paese in cui sono ancora duri a morire i vari miti della donna-madre, della famiglia (cui Dio ha dato la missione di essere la prima e vitale cellula della società. Atti del Concilio Vaticano II), dell'amore verso i figli, il marito, il prossimo e via dicendo, imposto ed ancora vissuto come migliore realizzazione della donna.

Qualche precisazione

Esaminiamo ora gli articoli più controversi della legge: nel 1a si parla di «tutela della vita umana dal suo inizio», quasi a voler chiarire come questo sia lo scopo principale dell'intero testo e non la regolamentazione dell'aborto.
All'art. 4, troviamo elencata la casistica entro la quale è consentito l'aborto entro i primi 90 giorni, ponendo i parametri delle condizioni di salute, economiche, sociali o familiari: formulazione, questa, criticata da molte parti perché sentita come arbitraria nei confronti del soggetto che decide di abortire, in quanto uni-che e personali sono le motivazioni della sua scelta.
All'art. 9, va rivolta l'attenzione per quanto riguarda l'obiezione di coscienza, possibilità data ai medici ed al personale sanitario di sottrarsi all'applicazione della legge, quando questa urti contro loro personali convincimenti morali. A parte il fatto che in questo modo si concede a determinate classi professionali un diritto non riconosciuto ad altre, si ha qui la dimostrazione dell'atteggiamento discriminatorio nei confronti delle donne intenzionate ad abortire, la coscienza delle quali viene subordinata a quella più consapevole, e degna di rispetto, del medico.
Tralasciando il giustificato sospetto che molti obiettano per motivi estranei a convinzioni religiose o morali, vediamo come viene risolto il problema delle minorenni: all'art. 12 è prevista la necessità dell'assenso di chi esercita la potestà o tutela sulla donna minorenne, con l'intervento della decisione del giudice tutelare nel caso in cui vi siano motivi che «impediscono o sconsiglino la consultazione di chi esercita la potestà, oppure rifiutino il loro assenso o esprimano pareri tra loro difformi». Ecco dunque spuntare l'altra autorità, nelle cui mani è posto il futuro di molte ragazze: dal punto di vista giuridico l'aborto viene equiparato agli altri diritti ohe si acquistano con la maggiore età, ma è una norma che si scontra e non trova corrispondenza nella mentalità e nei costumi di larga parte del paese, che manca dunque il suo scopo. Infine, il risultato è stato che una massa di richieste d'interruzione di gravidanze si è abbattuta sugli ospedali pubblici, già carenti di strutture e di personale, determinando lo scontento e le critiche anche da parte di chi sarebbe disponibile ad applicare la legge.
Affermare che questa normativa era il meglio che si potesse ottenere, visti gli attuali rapporti di forza politici, non deve significare rallegrarsi di aver strappato alla DC il consenso per tale legge, perché ancora per molto tempo ci sarà chi tenterà di far leva sulle sue imperfezioni per farla fallire.

Alle prese con il camice bianco

In pratica, una donna che voglia abortire deve recarsi da un medico di fiducia, ad un consultorio pubblico o ad una struttura socio-sanitaria a ciò abilitata dalla regione, per farsi rilasciare un certificato che comprovi la richiesta d'interrompere la gravidanza; avutolo, si rivolge ad un ospedale pubblico che offra le strutture adeguate, sperando che non trascorrano troppe settimane o mesi in lista d'attesa, come può succedere a Roma.
Tra la controparte medica e sanitaria, la situazione non è molto più allegra: «Tra noi medici, molti hanno saputo attraverso il telegiornale ciò che la nuova legge stava preparando», mi dice Franca M. Catri, un medico che lavora in una borgata romana, «siamo arrivati a questo stato di cose nella più completa impreparazione. E sul certificato, come posso sindacare e decidere sulla motivazione che porta una donna ad abortire?».
L'applicazione della legge resta affidata alla disponibilità dei medici e del personale sanitario, mentre si è mosso l'esercito crociato degli obiettori; è inutile ricordare tutti i mezzi usati dalla gerarchia cattolica e dai suoi affiliati in camice bianco, per rendere inoperante la legge; «Siamo davanti ad una presa di posizione politica, ad una minaccia di scomunica verso ohi applica la legge, che ricorda quella del '48 verso i comunisti» afferma don Gerardo Lutte, un religioso del dissenso cattolico, «se davvero la struttura ecclesiastica si preoccupasse della vita, ci sarebbero state molte occasioni in cui pronunciarsi; in sostanza, il richiamo della gerarchia fa gli interessi di casta dei medici».

Il loro motto: mai!

Può essere istruttivo, per comprendere l'ampiezza della divaricazione tra i contenuti delle lotte portate avanti dalle donne e le posizioni di una parte della classe medica, ricordare lo sviluppo dell'opposizione dei medici cattolici verso la liberalizzazione dell'aborto. Nel 1971, in coincidenza con la presentazione della proposta di legge sulla sua regolamentazione, l'Associazione dei medici cattolici riafferma che «l'embrione non è solo un'individualità biologica, ma anche una personalità umana in formazione, senza contare che la possibilità che si aprirebbe con la legge anche per le nubili di abortire, aggraverebbe la situazione morale della popolazione»...
Nel 75, dopo la sentenza della Corte Costituzionale che riconosceva la necessità di tutelare la madre che è già persona umana rispetto al feto che non lo è ancora, gli stessi medici ritengono grave ancorare la permissività dell'aborto al concetto di pericolo per la salute della madre, rincarando la dose in un'altra dichiarazione: «le aberrazioni morali della vita moderna, dall'oscenità alla somministrazione indiscriminata di anticoncezionali fino all'aborto, mirano a togliere alla donna la missione della maternità e a farne oggetto di solo piacere».
E' da allora che si fa più insistente il richiamo alla necessità dell'obiezione di coscienza, riaffermata con vigore nel 77, dopo l'approvazione da parte della Camera del progetto di legge: questa volta, la madre «dovrebbe trasformarsi in carnefice».
Così, tra una valutazione della realtà derivata da una cattiva sociologia e un disinteresse completo nei riguardi della donna se non nella sua funzione riproduttrice, questi signori sono riusciti ad assicurarsi il diritto di sottrarsi all'applicazione di una legge dello Stato, con buona pace delle loro coscienze e soprattutto dei loro conti in banca, senza dire della moralità!

Condizionamenti

Anche se un giudizio definitivo ancora non è possibile, ci sembra tuttavia che il tentativo di dar carico alle strutture dello Stato del problema dell'aborto, facendolo rientrare, per la sua gestione, nell'espletamento della funzione sociale dello Stato stesso, urta contro il grosso ostacolo costituito dalla mancanza di una coscienza laica salda ed estesa nel nostro paese, tradizionalmente dipendente dal potere reigioso che vanta antichi splendori; solo così si spiegano alcune reazioni alla legge in questione, dalla guardarobiera che solleva obiezioni di coscienza alla decisione della giunta direttiva dell'Università Cattolica, che vieta ai medici del Policlinico Gemelli di Roma di rilasciare certificati attestanti l'intenzione di abortire, subordinando il medico alla struttura di tipo confessionale in cui opera.
A questo si aggiunge la carenza di una rappresentanza portavoce delle esigenze dello specifico femminile, fornita di un reale potere decisionale che sia svincolato da ragioni di partito, in contrasto con le ragioni delle donne; né si può tacciare di qualunquismo tale affermazione, considerando come ciò rientri in una più generale, e riconosciuta, inadeguatezza delle tradizionali mediazioni politiche nei confronti delle esigenze sociali.
Per evitare che anche la legge sull'aborto si risolva in una vittoria di Pirro, è necessario che ci si organizzi in tutti i modi possibili, controllandone l'applicazione, perché nessuno ci regala niente, tanto meno un diritto così importante.

Lucia Mazzer