VELIO CARRATONI: L'universo silenzioso e la degradazione della vita

dalla rivista Fermenti, n. 3, Marzo 1975

Recentemente Mario Soldati, rispondendo ad una intervista di Raffaello Baldini su Panorama, diceva tra l'altro: « Prima viene l'universo silenzioso che basta a se stesso, in cui gli astri si muovono secondo leggi eterne, incastonate nelle loro sfere di cristallo, incorruttibili. In questo universo la nascita della vita è una degradazione, la vita è un fenomeno disordinato, mostruoso, è la materia che divora altra materia, cresce, si gonfia, si sdoppia, diventa sessuata, maschio e femmina, si moltiplica, dilaga. E contiene la morte ». In tali frasi vi è espressa la religione del recondito, secondo cui è il mistero che ammette rispetto, non la realtà chiara e manifesta. E' un altro luogo comune avallato ancora di più da uno scrittore laico che negli ultimi tempi è divenuto sempre più bernanosianamente religioso, fino al punto di dichiarare che il « cristianesimo che è superiore, più umano, più vero del buddismo, accetta la legge della vita, anche se nel segno del peccato, accetta la natura, la carne ». Sembrano parole prese da un trattato teologico di un certo parente domenicano di Fanfani. Ma esse contengono una contraddizione rilevante. Deducendo il mistero certi cattolici vogliono imbastire un culto su il ciò che non è, in nome del rispetto della vita. Una volta però che si manifesta l'è non si ha più alcun rispetto, divenendo l'è un numero, una sigla, un insieme di merda, da tenere a bada, da sferzare, da illudere, ma sempre da irregimentare, piegare, costringere e vilipendere, anche se troppo inutilmente si parla di rispetto della vita, del proprio simile. E questa contraddittorietà nichilista viene ancora più legalizzata da una società che sembra non sapersene che fare dell'individuo, tanto è sempre identico a se stesso.
« Ma perché dare al sole, / Perché reggere in vita / Chi poi di quella consolar convenga? » (Leopardi) Canto notturno di un pastore errante dell'Asia vv. 52-54.
E' una definizione risoluta e definita, alla quale nessun pastore ecclesiale né alcun democristiano possono dare una risposta, pur pretendendo che l'aborto sia ritenuto un misfatto abominevole, quanto poi quell'individuo che tanto si è voluto far nascere, se non è un protetto da qualche dignitario pontificio o da qualche autorità suprema, sarà preso a calci in e se non sarà figlio di papà fin da bambino dovrà patire stenti e sacrifici; da adolescente vivrà isolato, a contatto con libri — presa in giro, in cui non apprenderà null'altro se non un cumulo di nozionismo prefabbricato, a meno che non dovrà andare ancora adolescente a fare il cascherino per poche lire alla settimana. Prima dei venti anni, se avrà preso un diploma, non saprà che farsene, dato che la scuola poco o nulla gli ha insegnato; andrà a fare il militare. Gli ripeteranno che è una merda (sempre se alti ufficiali non lo difenderanno); si sposerà e non saprà come andare avanti; avrà dei figli a cui capiterà la sua stessa sorte. Si ammalerà e sarà trattato come una cavia, in un camerone o in un corridoio di ospedale. Le lenzuola annerite, il tanfo nauseabondo da ogni parte, gli infermieri sgarbati, i medici sbrigativi. Uscirà se sarà fortunato. Riprenderà la solita vita monotona del burocrate, dell'operaio, dell'insegnante, regolata da leggi assurde e da una burocrazia sonnacchiosa e parassitaria. Gli diranno che la vita è questa. E se si troverà male, gli faranno capire che è uno sprovveduto. Questo fino alla morte, dopo avere allevato figli, pagato tasse, lavorato. Tale sorta capita all'è. Al non è, ossia all'uomo invisibile, al feto, si impone invece con trepidazione una cura, sempre teorica, legislativa, mai realista o pratica; alla donna, sempre che non abbia rilevanti mezzi finanziari che le permettano di recarsi in qualche attrezzata clinica inglese, si ripeterà che è dovere la gestazione. L'uomo senza sperma è sterile. E' un uomo a metà. Così certi capofamiglia poveri del sud o anche del nord, devono dimostrare che anche loro hanno una ricchezza. E le donne partoriscono troppo spesso, se sono impiegate, per il puerperio o per dimostrare alla vicina o all'amica che anche il marito e lei compresa l'hanno efficiente. Per curiosità. Per imprevidenza. Forse fino a questo punto ha ragione Pasolini. Per limitazione mentale o per affari propri. Questo sempre a favore dell'uomo invisibile, per il quale esiste una religione da cassetta. Se al momento adatto si evita di ripetere ciò che per anni e secoli si è ripetuto, ci si scredita.
In uno stato fatto a immagine e somiglianza del potere talare (i socialisti, i repubblicani, i socialdemocratici, per troppi anni hanno governato, assieme a chi si è reputato anche cristiano, ma senza fede, solo per carriera o per favoritismo) dove sono uomini evangelicamente osservanti? Dicono essi, ma noi siamo imperfetti. Siamo poveri (con ville, denaro a non finire, favoritismi per sè e per i loro accoliti) esseri che oggi siamo in carica e domani non sappiamo dove andremo a finire. Come possiamo essere superati dalla trascendenza o dalla grazia se ad ammettere ciò o anche a desiderarlo ci troviamo danneggiati e emarginati? Questo dicono mentre baciano anelli di eccellenze prelatizie, o mentre partecipano a processioni. La donna è sempre una merce che per l'uomo invisibile asseconda il partner, per speculare su certi fattori esterni. Non si riesce a andare avanti. Forse con un altro figlio, si possono avere più assegni familiari che non bastano neanche per i pannolini da consumare in un mese. In Italia la donna vuole divenire pari all'uomo per evitare certi pregiudizi, mi dice una femminista. Mi chiedo però: « Ma quante sono le donne che oggi desiderano realmente ciò? ».

Velio Carratoni