Intervista ad Anna Borra

apparsa sulla rivista Fermenti n. 7-9, Luglio-Settembre 1979

Di Anna Borra, calabrese di nascita, romana d'elezione, è uscito recentemente, per le Nuovedizioni Enrico Vallecchi, il volume di poesie « Quoziente intellectivo » (già selezionato al Viareggio e al Carducci '79 e finalista al Pisa e Val di Cornino), che segue alla raccolta « In una frattura di tempo » (1976) segnalata in vari concorsi e vincitrice del « Natura-SIENA » ed alle due prime opere giovanili: « Ultime a Sky » (1965) e «Vieni e hai il viso di cera» (1959). Anna Borra svolge intensa attività didattica e giornalistica collaborando a numerosi giornali e riviste letterarie con articoli critici e poesie.

In « Quoziente intellectivo », vi sono alcune composizioni dedicate all'Outsider, anzi quasi tutta la prima densa sezione del volume è imbevuta di un'atmosfera estraniante in cui l' escluso ha un ruolo fondamentale. In che senso e in quale misura?

Fino a qualche anno fa mi ritenevo anch'io outsider. Mi è stato recentemente chiesto perché nella mia bibliografia ci sia un vuoto di oltre undici anni, vuoto editoriale: dal '65 al 76. In realtà non mi piaceva chiedere o, nell'inconscio, mi ribellavo ad un certo costume dilagante nell'ambiente letterario: emergevano all'improvviso giovani fortemente appoggiati dall'Industria e dalla Politica, pubblicavano due o tre sedicesimi e diventavano direttori di collana... Non accettavo tutto questo: la mia seconda plaquette era uscita in modo quasi clandestino, a mie spese, con delle illustrazioni alla William Blake, l'autore trattato nella mia tesi di laurea. Volevo sentirmi libera dai compromessi come mio padre, umbro, che fu artista finché fu libero... A lui è dedicata la poesia « Parvinnocens.... », inserita nella sezione CAROFREUD. Inoltre, tra gli anni sessantacinque e settanta, m'impegnai in corsi di psicologia e in concorsi a cattedre mentre già insegnavo prima a Perugia, poi a Roma. Una vita da out e da nomade, sempre fuori di casa e dalle beghe e, tuttavia, dentro a un sacco di problemi esistenziali, doppi in confronto a quelli di altre, inserite in un nucleo familiare; ma io da sola vivo bene...

Ritieni, quindi, che la solitudine abbia influito positivamente sulla tua poetica. Ma la sezione del tuo volume intitolata ZIG-ZAG ALFABETICO, non è, invece, una negazione della solitudine, una vasta apertura ai problemi sociali e psicologici? So che i giovani comunicano con te come se fossi una loro compagna. E' così? Spiegaci...

Da piccola amavo Leonardo, mio padre m'inculcò una grande passione per la pittura (io stessa ho dipinto diversi quadri a vent'anni, mi dicono, quelli che li hanno visti, sorprendenti e drammatici, dai colori molto accesi) e Leonardo è il più grande solitario dell'Arte. Erano gli anni della guerra: restavo sola con la nonna che mi guardava fare i primi scarabocchi e udiva i miei primi versi. La nonna, come dico in una poesia, è l'Ulivo-gigante che mi porto dentro come un lare. Vivo sola per una scelta fatta fin dai tempi dell'Università e dell' Accademia, in questa casa piena di quadri, di piante su cui faccio esperimenti, carte, scimmie-pupazzi: disordine per gli altri, per me ordine. Mi disturba qualche volta il telefono, ma non lo tolgo perché non sono dissenta dalla vita culturale e sociale di Roma e, tuttavia, posso scrivere (e vivere) soltanto perché sono sola. A ventiquattr'anni ho rinunciato a una famiglia mia e non me ne pento. Del resto considero i miei allievi come figli-fratelli e « Quoziente » è anche la prova del mio affetto per loro, eccessivo, forse doloroso... Nel volume si snoda un lungo racconto in versi: i ritratti dei ragazzi sono tutti veri. Ho parlato . sinceramente del quartiere dove vivo e insegno da sedici anni, della « mia » Roma che si estende da San Lorenzo a Portonaccio, ho denunciato situazioni originali e anomale, implicazioni esistenziali come ho detto nella lunga premessa al volume... Si, i giovani mi amano perché sanno che mi sento più vicina a loro che a molti adulti, forse perché il poeta è un essere diverso e resta, in fondo, un ragazzo... Ricordo con tanta nostalgia la giovanilità entusiasta di Ungaretti fino al suo ultimo anno di vita. Forse non tutti i giovani potranno capire bene la terza parte, quella che intitolo « TRANSFERT-RIGETTO », anche alcuni adulti avranno delle remore, ma ormai è fatta.

Cosa ne pensi della poesia degli anni settanta?

u tale argomento hanno scritto fiumi di parole ed io non sono un critico per poter legiferare. Posso solo dire che per me è poeta chi — come, d'altronde, il pittore, lo scultore, il musicista — ha una impronta che lo distingue tra i molti. Posso citare, per esempio, tra i più giovani, qualche nome: Giuseppe Conte e Rosita Copioli. Ciò che vale è che il poeta sia riconoscibile e susciti una scossa emotiva. Leggendo dei versi, anche senza firma, ognuno dovrebbe dire: è X o Y... Che ce ne facciamo di una certa scuola o di una certa corrente in cui tutti scrivono allo stesso modo, ad esempio, della periferia di una metropoli, delle industrie di un'altra, se poi sembra tutto derivato da uno stesso stampo, con uguale sciatteria (a volte voluta) di contenuti, con uguale linguaggio? E' inutile — secondo me — che ancora si sproloqui solo sul linguaggio: il '63 è, ormai, èra sorpassata. Anch'io lavoro sulla parola, è evidente, ma la mia ricerca non è mai fine a se stessa; l'immissione di nuovi lemmi e sintagmi (psicologici, sociali o tecnici) deve essere sempre, però, in funzione di una misura interiore o scienza dell'essere, di autoresponsabilità culturale..

In questi ultimi tempi abbiamo letto, su qualche rivista, alcune tue poesie epigrammatiche, alcune violente invettive. E' un nuovo filone per te. In che rapporto sta col tuo precedente discorso poetico?

Ogni mia raccolta riprende il discorso preannunciato nella chiusa della raccolta precedente. Invettive ed epigrammi sono la prosecuzione logica di « TRANSFERT-RIGETTO », ultima sezione di « Quoziente ». Di quella parte si sono interessati già molti critici; la Marusso intitola una sua recensione:
« Amore odio rabbia nella poesia di A. Borra », centrando perfettamente il motivo che poi ho ampliato negli ultimi due anni e che forma l'angolo acuto del mio carattere. In fondo, la mia, è stata una ribellione alle mille ingiustizie della vita anzi, una successione ben delimitata di momenti di ribellione, una grossa radice un po' anomala della mia poesia che, come dicono, è « sociale e umana ». Nessuno come me sa che l'odio distrugge e l'amore, invece, costruisce, ma — come ho già osservato in altre occasioni — poesia è pure « pietra-parola da scagliare con forza contro qualsiasi tipo di coercizione e di violenza dell'Essere, all'essere liberi ». Poesia come libertà oltre che come « participatio al dramma collettivo della vita ». Dante Maffia, in una sua nota su « Quoziente » dice, ad esempio: « La Borra coglie le sconnessioni, il magma incongruente e adiposo di una società macchiata dal peccato del consumismo, dalla lebbra della corsa alle povere mete quotidiane...». E' questa lebbra che io combatto, il bubbone dell'artificio, gli uomini-robot privi di meravigliose emozioni. « E dovrei preferirti alla scimmia/ uomini nati male », sono — infatti — i versi iniziali di una poesia « Darwiniana », la quale fa parte, appunto, del gruppo di « Invettive » che Fermenti pubblicherà tra poco nella collana BIBLIOTECA DIANA diretta da Silvana Folliero. E' un'anticipazione ad un altro grosso volume.