Paloma

Racconto di Gemma Forti

apparso sulla rivista Fermenti  N. 226

I riccioli biondi di Paloma, trafitti dai raggi del sole, si accendevano di riflessi ramati, illuminando il volto liscio e rosato. I lunghi orecchini turchesi accentuavano l'azzurro intenso degli occhi, mentre la bocca, piccola e corallina, si distendeva in un sorriso aperto che evidenziava il lieve accavallamento degli incisivi superiori.
Piccolo difetto, questo, che, tramutandosi, come spesso accade, in pregio, aveva fatto esclamare a Pablo, in uno dei loro ormai sempre più rari momenti di intimità: "Fai venir voglia di baciarti proprio in questo punto".
E così aveva fatto, inserendo con voracità la sua lingua rossiccia e puntuta nell'alveo umido dei denti, quasi fosse uno spazzolino setoloso.
Al ricordo la bocca di Paloma si era improvvisamente contratta, serrandosi in un'espressione amara e corrucciata.
Questo il punto dolente, il nodo cruciale, il dilemma da sciogliere.
Non poteva più fare finta di niente.
Qualcosa era improvvisamente mutato tra loro.
Pablo non era mai stato un amante appassionato. Anzi spesso era lei a prendere l'iniziativa. Ma i loro rapporti avevano una cadenza più che normale, che si era col tempo sempre più diradata, sino a giungere alla completa astinenza, che perdurava da oltre due mesi.
Ciò avrebbe potuto ritenersi credibile in una coppia di coniugi maturi, che avevano esaurito nel tempo la loro passionalità, mutando il rapporto in una maggiore intesa intellettuale ed affettiva.
Ma non era possibile in due persone giovani, quali erano entrambi.
Paloma aveva appena venticinque anni e Pablo ventinove.
Si frequentavano da circa un anno e già erano arrivati a questo punto.
Eppure Pablo asseriva di amarla e di provare per lei, un affetto sempre più profondo, un coinvolgimento intenso. Ma più pronunciava queste parole e meno l'abbracciava, baciava, toccava, desiderava.
Anche questo non sarebbe stato un dramma se ambedue avessero nutrito gli stessi desideri.
Infatti mentre Pablo si raffreddava, Paloma invece si eccitava e lo bramava intensamente, sino a giungere a deliri notturni in cui tentava nel buio uno sterile soddisfacimento solitario.
Ciò, purtroppo, invece di calmarla, le procurava un malessere insidioso che la rendeva triste e nervosa per tutto il giorno successivo, creandole emicranie lancinanti. Inoltre era divenuta inappetente. Lei, proprio lei, che, prima di allora, divorava il cibo con gli occhi e l'olfatto. Poi con la bocca, provandone un piacere quasi orgasmico.
Pablo non sembrava accorgersi di nulla, anzi aveva più volte lodato il fatto che si fosse snellita ed avesse così assunto, a suo dire, un aspetto più attraente.
In effetti il suo corpo si era alleggerito di qualche cuscinetto adiposo di troppo ed ora indossava il bikini con disinvoltura. Anzi aveva notato che gli uomini la guardavano con maggior interesse e le donne con invidia, ma ciò non la ripagava della tiepidezza sessuale di Pablo.
Avrebbe voluto essere grassa ma felice ed amata carnalmente come la sua amica Consuelo, che sfornava figli ogni due anni, perseguitata, a suo dire, dal marito Alvaro.
Consuelo si lamentava spesso della sua situazione. Del fatto che fosse divenuta gonfia come un pallone a causa delle continue gravidanze. Ma sotto sotto, Paloma era sicura che ella ne godesse e fosse felice.
Tutti, ella pensava, erano più felici di lei. Eppure Pablo non si stancava di sussurrarle dolcemente: "Sei la mia donna adorata, anzi la mia Madonna", abbozzando un algido abbraccio.
Paloma sospettava che egli si fosse innamorato di un'altra e non avesse il coraggio di confessarlo.
Cercava dovunque tracce che potessero confermare questo suo timore. Spiava ogni movimento, ogni contrazione involontaria del volto e del corpo di Pablo, ma invano. Tutto appariva normale.
Un giorno, finalmente, aveva avuto modo di notare segni impercettibili sul suo collo, quasi dei piccoli morsi, ma egli, con aria indifferente, si era affrettato a spiegare che si era fatto male col rasoio, mentre radeva la sua ispida barba.
Pablo era un bel giovane, dai capelli corvini, ondulati e gli occhi scuri come la pece, ma la sua pelle era insolitamente bianca e diafana. Le mani fini e delicate. Il corpo snello e flessuoso. Il tono di voce gentile ed armonioso.
Paloma si era innamorata di lui, non appena lo aveva sentito parlare, ancor prima di accorgersi che fosse dotato di un fisico attraente.
Lei, invece, aveva una voce forte, pastosa ed una risata schietta ed argentina.
Paloma, dopo il diploma linguistico, si era messa a lavorare, affrancandosi dalla numerosa famiglia e, per mantenersi agli studi universitari, aveva fatto la commessa "part-time" presso i Grandi Magazzini e poi la cameriera in una famosa "cervecerìa" di Barcellona.
Lì una sera aveva incontrato Pablo con una banda di amici.
Si erano lanciati sguardi prima incuriositi, poi d'intesa.
Alla fine del suo turno di lavoro, Paloma lo aveva trovato fuori ad aspettarla, come fosse tacito e naturale. Egli le aveva offerto una rosa rossa vellutata dal lungo gambo, che aveva baciato con fare languido e voluttuoso. Poi, dopo averla guardata profondamente negli occhi azzurrini, emettendo un delicato sospiro, si era presentato.
Era uno studente universitario di Giurisprudenza, fuori corso, mantenuto dall'assegno che suo padre, noto e ricco avvocato di provincia, gli inviava regolarmente ogni mese.
Così era nata la loro storia.
Ma ora erano fermi ad un binario morto.
Paloma aveva cercato di parlargli delicatamente dei suoi timori, ma Pablo aveva glissato, fingendo di non capire. Successivamente, di fronte a richieste dirette, con aria offesa, aveva giurato e spergiurato che ella era la "luz de su alma", l'unica donna della sua vita.
"Mi querida, mi amor", le ripeteva intonato come un grammofono.
Alla fine ella si era arresa apparentemente, sia pure non convinta, chiudendosi in un mutismo accorto.
Poi una sera, una di quelle ormai numerose sere in cui non si potevano vedere, poiché Pablo asseriva di doversi preparare per un difficile esame, Paloma aveva deciso di spiarlo. Si era fatta sostituire nel turno di lavoro da Consuelo.
Dalle sette del pomeriggio si era appostata non lontana dal palazzo in cui Pablo abitava in un piccolo appartamento.
Da lì poteva controllare i movimenti di entrata ed uscita dal portone e, soprattutto, sorvegliare le due finestre al quinto piano.
Esse erano spalancate. Era una calda serata di maggio.
Si trovava lì da circa due ore ed aveva visto entrare ed uscire dalla vetrata del portone diverse persone: alcune anziane donne, bambini scalmanati, un gruppo rumoroso di amici, fidanzati a braccetto, uomini che rientravano dal lavoro per la cena, la matura cantante del quarto piano con il giovane amichetto e così via.
Ma non vi era stato alcun movimento che potesse destare sospetto.
Che sciocca era stata. Pablo era sincero. Aveva detto la verità. Sicuramente stava studiando su quel piccolo tavolo di mogano nella stanza da letto, dove si erano spesso rifugiati per amoreggiare indisturbati.
Le sembrava di vederlo: il bel volto chiaro chino sul libro, gli occhi scuri assorti, la fronte corrucciata, mentre ripeteva a voce alta qualche concetto, con il suo timbro modulato e dolce come il miele e la panna montata.
A questo punto Paloma provò un desiderio irrefrenabile di baciarlo su quel suo collo così niveo ed ispido insieme.
Ogni volta che lo aveva fatto, Pablo le si era abbandonato, lasciandosi mollemente possedere.
Dio, quanto lo amava.
Paloma ripercorse, quasi in trance, tutti i momenti felici del suo rapporto con Pablo: le gite spensierate alla spiaggia, le loro risate e i bagni di mezzanotte. Soprattutto i bagni di mezzanotte, quando l'acqua fredda lambiva i loro corpi nudi e la luna piena inargentava la pelle e l'alba li risvegliava abbracciati.
Ma, all'improvviso, venne riportata alla realtà dal tocco dell'orologio della Torre antica della piazza contigua. Erano le ventitré. In quel preciso momento, aveva visto spegnersi le luci alle finestre.
Senz'altro egli aveva smesso di studiare e stava per addormentarsi "Povero caro, come doveva essere stanco ed affaticato". E lei cosa faceva ancora là. Ormai era tutto chiaro. Pablo era cansado. Stressato per il troppo studio, stava senz'altro attraversando un momento di esaurimento. Lo avrebbe aiutato, ora che era certa della sua sincerità.
Stava per mettere in moto la macchina, quando dal riflesso dello specchio del finestrino, vide una ragazza uscire furtiva dal portone. Purtroppo era di spalle, ma, anche così, appariva bella. Alta ed elegante.
La lunga chioma rossa, inanellata, copriva le spalle nude. La gonna nera attillata fasciava le natiche sinuose, evidenziandole. I tacchi a spillo vertiginosi accentuavano lo slancio della figura.
Non l'aveva mai vista prima. Non era certamente un'abitante del palazzo, di cui conosceva ormai tutti gli inquilini.
Il sospetto cominciò a frullarle nuovamente nella testa. E se quella fosse stata la donna misteriosa di Pablo, la sua amante, la sua sconosciuta rivale.
Paloma si ricordò all'improvviso che Pablo più volte, con fare scherzoso, le aveva detto: "Mi querida, se tu fossi dieci centimetri più alta, saresti una donna da far girare la testa a tutti gli uomini, nessuno escluso", alludendo in tal modo alla sua piccola statura.
Allora ne aveva riso, considerandolo un amabile scherzo. Ma ora, ora si rendeva conto che egli aveva espresso un suo nascosto desiderio. Senz'altro gli piacevano le donne alte, slanciate. E questa, purtroppo, lo era.
Decise di seguirla.
Mise in moto la macchina, che si era fatta prestare da Consuelo per non farsi riconoscere e le andò dietro pian piano, nascosta da scuri occhiali. I lunghi ricci ribelli coperti da un anonimo foulard.
La ragazza le ancheggiava avanti, sicura della sua avvenenza, sui tacchi dorati. Aveva un fare ammiccante, anzi, così al buio, poteva sembrare una donna in cerca di facili avventure. Forse una squillo d'alto bordo, da come si muoveva.
"A quel porco, a quel santarellino, gliela avrebbe fatto vedere lei, domani", si riprometteva Paloma infuriata.
Ormai era vicina alla donna. Dopo un breve attimo di esitazione, decise di affrontarla. Finalmente avrebbe saputo la verità.
Accostò la macchina al marciapiede. Scese repentinamente.
C'era poca luce. Il vicolo stretto e buio.
Guardò all'intorno. Non vide nessuno. Che fortuna!
Rapida si tolse le scarpe per non fare rumore.
Allungò il passo.
Ora le era alle spalle. Poteva sentirne il profumo inebriante e voluttuoso. Quella giovane emanava un fascino sensuale, certamente irresistibile per qualsiasi uomo.
Pamela sentiva di aver perso la partita. Lei era graziosa sicuramente, ma non dotata di una bellezza prorompente.
La sua rivale, ormai ne era certa, che era la sua rivale, invece, appariva fornita di notevole avvenenza e fascino, nella sinuosità felina delle movenze. E non era volgare. Anzi così da vicino sembrava ancora più elegante. Di innegabile classe.
Ma no, non era una squillo od una ragazza facile. Forse, anche lei era una studentessa. Certamente di buona famiglia. La stoffa della gonna era di seta e così pure la camicetta e le scarpe erano all'ultima moda e costosissime.
Pamela ricordò di averne visto un paio uguale nella migliore zapateria di Barcellona, che fabbricava calzature su misura. Anche a lei erano piaciute, ma costavano quasi l'intero stipendio di un mese. Aveva rinunciato a comprarle, per questo, a malincuore.
Quindi non era l'avventura di una sera.
Forse Pablo meditava di convivere con lei e, poi, e poi, anche di sposarla. Magari con la benedizione di suo padre, che, certamente, non apprezzava il fatto che frequentasse una cameriera, sia pure studentessa universitaria, e di umili origini.
Proprio per questo ebbe un irrefrenabile moto di rabbia.
Cercando di vincere il tremore che la pervadeva in ogni fibra del corpo, allungò con sforzo le mani, desiderando di colpire la sconosciuta. Ma esse non rispondevano. Erano irrigidite, contratte.
Paloma respirò ed inspirò tre volte, cercando di calmare i nervi.
Lentamente. Molto lentamente riprese le forze.
Avvertì prima un leggero calore sulla punta delle dita, poi un fuoco improvviso che la invase tutta dalla testa ai piedi.
Ora era febbricitante. Il volto rosso, le labbra riarse.
Appena riuscì a muovere le mani, senza più pensare, d'impeto, chiudendo gli occhi, afferrò la donna per i lunghi capelli, che tirò a sé violentemente.
Ella emise prima un grido di stupore. Poi di dolore. Infine si girò di scatto, alzando le braccia contro l'aggressore.
Non appena riuscì a fecalizzare il suo volto, celato dalla penombra, Paloma si raggelò.
Emise un urlo di raccapriccio.
Avvertì la terra sprofondare sotto di lei.
Ebbe un mancamento e scivolò lentamente verso il suolo.
Prima di svenire del tutto, fece in tempo a sentire queste soavi parole: "Mi querida, mi amor, que pasa?".
Pablo - il volto truccato ed esangue, come una languida geisha - aveva pronunciato questa frase amabilmente, con la sua voce modulata da usignolo, mentre tentava inutilmente di sorreggerla, con la mano destra finemente inanellata.

Gemma Forti