Perchè Raoul ?

intervista a Mario Verdone

a cura di Velio Carratoni

apparsa sulla rivista Fermenti

Come nasce questo libro, edito da "Fermenti", di carattere narrativo, mentre la tua attività di scrittore è più spesso esplicata nell'area dello spettacolo?

Foto di Mario Verdone

Mario Verdone in una foto di Maurizio Valdarnini

Non c'è dubbio che, avendo instaurato nelle Università la disciplina "Storia e critica del film" ottenendo nel 1965 la prima libera docenza e conseguente abilitazione all'insegnamento negli Atenei - ma già la praticavo fin dal 1950 con Corsi Liberi alla Facoltà di Magistero di Roma - sono stato più frequentemente considerato come storico e critico dello spettacolo che come autore nella letteratura creativa. Debbo però ricordare che i miei primi scritti degli anni Quaranta, e cioè Città dell'uomo, prose liriche, Le bandiere, L'omino delle croci, battono tutt'altra strada, e così pure i miei primi lavori teatrali, come le operine in un atto rappresentate alla Accademia Musicale Chigiana, o L'impresario delle Americhe fatto rappresentare alla Televisione di Budapest dal compositore e direttore d'orchestra Lamberto Gardelli.
Il fatto di essermi inserito nello staff direttivo del Centro Sperimentale di Cinematografia e di aver tenuto per molti anni la redazione della rivista "Bianco e Nero" potrebbe avermi allontanato dalla attività letteraria, ma non è stato così. Infatti ho pubblicato nel 1964 il romanzo per ragazzi Sapientaccio, occasionato da una serie di trasmissioni radiofoniche, e nel 1982 una raccolta di racconti intitolata La piazza magica, non trascurando il teatro (vernacolare, a Siena), radiofonico, librettistico, di prosa. E ne sono documento Correre per vivere, tre atti unici, Esercizi teatrali (ventinove testi di cui dodici destinati al teatro lirico). Come librettista ho vinto il Premio Pesaro nel 1950, il Premio Cilea nel 1953 (La guardia vigilante). Di recente la Società Italiana Autori Drammatici, di cui faccio parte, essendo anche direttore della rivista "Ridotto", ha pubblicato un mio Teatro breve, con altri otto testi. Sono dunque, come si usa dire, un poligrafo, e non può destare sorpresa che ora io torni agli amati lavori letterari con Raoul ed altre storie.

Vuoi spiegare il significato di questo titolo?

Raoul è già protagonista, pre quanto in ombra, nel primo racconto Le rose di Chopin, ispirato da un soggiorno parigino. Diventa protagonista pressoché unico quando la moglie Eliana si ammala e muore, ed ecco le pagine di La ragazza dell'Academy, Una gioia tutta da vedere, Le foglie rosse. Ma nei racconti successivi appaiono altri personaggi, a lui legati (Geometrie, La reggia di Valentina), mentre nel racconto finale (I lacci dell'edera) Raoul è ormai vecchio e solo e non parla che con le piante della sua proprietà rustica.

C'è dunque un collegamento stretto nei primi sette scritti contenuti dal libro sotto il titolo unico di Raoul.

Si potrebbe quasi considerare un "romanzo breve per frammenti". E lo sento vicino ad un altro mio scritto, I frutti dell'albero, in sette frammenti che non figura nel libro, ma che ha per sottotitolo "script-play-novel": influenzato dal cinema procede per episodi, ed è allo stesso tempo "scenario per film", "commedia", e "racconto".

A Raoul seguono Altre storie. Di che si tratta?

Ho dato saltuariamente racconti ad altre riviste e quotidiani: ne sono stati pubblicati, talvolta non recentemente, da "Il Quotidiano" di Roma, da "La voce del Campo" di Siena, da "Il Corriere dell'Umbria", da "Il secolo XIX" e "Il Lavoro" di Genova, dalle riviste "Idea" di Roma, "Dismisura" di Frosinone, "Il Podio" di Roma. In passato apparvero su "Meridiano di Roma", "Quadrivio", "La Fiera letteraria", "Letteratura" di Alessandro Bonsanti. Sono stato sempre - in questo settore creativo - un collaboratore irregolare e saltuario. Alcuni di questi racconti ho inserito nella pubblicazione voluta da "Fermenti", l'unica, debbo dire, e gliene sono grato, che non mi ha procurato problemi di "letture di esperti", attese e dubbi. Ne ho scelti, tra varie decine, sei.

Che cos'è Una Ragazza che non si è sposata?

Fin da Città dell'uomo e L'omino delle croci io ho tenuto presente come ideale letterario Federigo Tozzi. Si sente l'anima di Tozzi ("per essere vissuta a Siena la mia anima sarà triste per sempre", da "Bestie") in questo racconto disperato, come nei tre atti unici di Correre per vivere. Ma nei vari racconti, molti dei quali rimasti inediti, è facile sentire altre influenze, specie se scritti in epoca giovanile. Per esempio in Il vezzo di corallo, inedito, c'è un ricordo di Oscar Wilde, e in L'imbroglio, che nel presente libro appare come "monologo", c'è molto dello Stefan Zweig. Monologo perché lo immagino narrato da una giornalista, durante il da me frequentato Festival di Locarno.

Spesso i racconti hanno scenari lontani fra loro: una scuola e il porto di Sidney, una montagna del Canada, nella regione del San Lorenzo, Parigi, Napoli, Siena, Cantalupo in Sabina, o l'India, nella città di Auranghabad.

Sì, quest'ultimo, La vacca indiana, è una breve prosa ispirata dall'incontro, in India, delle onnipresenti "vacche indiane". Due miei allievi ne hanno fatto un breve film. Mi trovo a mio agio, nello scrivere, quando sono lontano da casa e dai paesaggi familiari. È come staccare la spina abituale, ed attingere ad altre correnti di energia. Questo mi capita spesso negli scritti poetici, cioè nelle poesie scritte a Tokyo, Pechino, Istanbul, Fuentevaqueros e Granada, ma anche in un villinetto di Fregene e nella casa rustica in Sabina. Ho scritto tante brevi composizioni negli alberghi, in treno, in aereo. Spesso adopero i bianchi cestini di carta di cui è dotato ogni sedile dell'aeromobile, per qualsiasi bisogno di emergenza. Scrivere è la mia droga. Ed è sempre meglio la penna che la siringa...

Conti di pubblicare altri racconti?

Ho molte fiabe, che sono per bambini e per grandi, come Sapientaccio (vincitore di due premi, il "D'Annunzio" a Pescara e Bordighera-Umorismo nel 1964). Ho altri testi teatrali, perlopiù "brevi", perché lo studio dei futuristi mi ha insegnato ad essere il più possibile sintetico, dunque breve: e ne ho fatto dei collages rappresentati a Praga (Uccidiamo il chiaro di luna) e Scintille futuriste, nello scorso gennaio a Parigi, in un teatrino underground, il "Théàtre de la Bonne Graine". Ma ora sono ripreso, con un certo entusiasmo, dalla, vorrei chiamarla così, "inclinazione poetica". Ed ho ripreso certe poesie scritte in gioventù e le ho unite con altre: ne è nato Fuoco di miele (Premio Orient Express e Premio Penne, 1990); quindi Il profumo del terrazzo, Premio Sandro Penna, Città della Pieve, 1994. Ho fatto anche traduzioni e nel 1968 ho pubblicato Odi armene a coloro che verranno. Ora sta per uscire un altro volumetto di poesie: Ogni giorno, ogni vento, il cui titolo ho ripreso dalla iscrizione di una piramide messicana.

Mi piacerebbe sentire anche dei tuoi lavori su cinema, teatro, circo, futurismo ed altre avanguardie. Ma credo che il discorso potrà essere ripreso in altra occasione.

Sono d'accordo, ma non posso tacere di un mio Diario parafuturista, parzialmente pubblicato nel 1990, che è tutte queste cose insieme: spettacolo, viaggio, futurismo, e di Il mito del viaggio, Aforismi e apologhi, 1997, che mira quasi agli stessi obbiettivi, in una sorta di personale poetica, esposta, ha detto il presentatore del libro, Carlo Fini, "con pungente saggezza e cordiale umanità".