Gemma forti

Gli occhi della genziana

Introduzione di Stanislao Nievo

Quale destino può avere oggi un poemetto in prosa, un racconto in versi che si svolge al principio del secolo nella prima parte, e alla fine dello stesso nella parte conclusiva?
E la storia di una ragazza, Angelica, che s'innamora di un giovane mentre la famiglia vuole che sposi qualcun altro, un buon partito con un bel nome. Quante di queste storie un po' lacrimevoli sono passate sotto i nostri occhi?

Foto di Stanislao Nievo. Autore: Humberto Soora

Nella foto, Stanislao Nievo.
Autore: Humberto Soora

Queste premesse sono onestamente necessarie prima di gettarci nel ritmo incalzante di questo valzer prosaico che diventa improvvisamente un flusso di tinte morbide, di sen­timenti che spingono la mano dell'autrice a giochi di parole e versi musicali che sono quelli che conducono l'avventura de Gli occhi della genziana, opera emozionante quando è densa, intrigante quando accostamenti di termini e strofe sono intricati, sempre dotata di virtuosismo d'equilibrio.
Nella vicenda appaiono poeti e personaggi della storia del Novecento a condurre i pensieri della protagonista e que­sto è il punto di forza dell'eroina innamorata per scandaglia­re e sorreggere il suo cuore. Al tempo stesso costituisce la trama linguistica nascosta di questa storia in versi.
Il ritmo dei versi permette di attraversare il libro con attenzione anche fiabesca nell'atmosfera di semplice classi­cità amorosa che offre. E il passo doppio che fa penetrare nei meandri linguistici i compagni di viaggio di Angelica, e della sua autrice. Il finale è a sorpresa, la vicenda si fa realtà stori­ca, quasi un secolo dopo il suo esordio. Un documento ritro­vato, che si mette in moto al ritmo di una locomotiva inizio secolo con un pluf pluf onomatopeico, porta prima nel Futurismo e poi nel futuro. Cioè nell'oggi che viviamo, con i suoi provocanti squilibri. Le parole impazziscono, le lettere tornano alla loro neuronica origine formando figure sospese geometricamente leggiadre. Lampi, esseri, fiori, catarsi, chis­sà. Poi la storia mangia se stessa e ci rivela i minuetti d'oggi, sale la cronaca, scende la ricerca, corre la vicenda tra le nazioni odierne più chiacchierate e le cronache di color peg­giore. Al termine voli e rapidi gorgheggi d'uccelli portano via il libro.
E questa forse è la risposta alla domanda iniziale. Probabilmente il destino d'un poemetto in prosa è quello di sollevarci usando le ali della lingua, al di sopra di ogni moda, sentimento e ricerca, in cerca d'un momento d'assoluto. Dopo essersi bagnato nelle lacrime di una donna innamora­ta, questo è il volo del mondo umano, dal Papa a Castro applauditi insieme nel quarto tempo del libro, al colore rosso che tinge e svuota il quinto tempo, all'epilogo dove il minuetto riprende tragico e urlante di speranze, egoista e pettegolo, finché "la guerra vestita da fanciulla con Testa di drago" (passaggio bellissimo) infuria coi suoi ritmi che diventano cardiaci, orribilmente naturali tra il rosseggiare del secolo che predilige all'aurora, al meriggio e al calar della notte questo colore di fuoco e sangue.
La composizione di questa stona è giungere attraverso la poesia di Gemma Forti a cui possiamo - nel nome e nel suo preferito gioco letterario - riconoscere la "gemma" di quel che ci ha raccontato e le "forti" e inusuali emozioni letterarie che porta. Gemma percorre una strada che altri in altri tempi hanno battuto da esploratori calligrammatici e icastici, ma lei lo fa con totale libertà d'uso cantandoci una storia d'amore non solo negli atti ma anche nell'estetica della narrazione.
Unisce elementi del nostro vivere ma che abbiamo sem­pre tenuto distinti. E che Gemma raccoglie ed offre in una ballata attuale, autenticamente linguistica, dal grido del cuculo agli sbarchi degli

Stanislao Nievo