Nodi di rete

di Silvana Baroni

Prefazione di Mario Lunetta

Silvana Baroni frequenta con eguale malizia il segno grafico e la scrittura poetica, a metà tra la disinvoltura impetuosa e la scherma più subdola. Le sue filigrane sottili possiedono un'anima acrobatica, che si libera come sotto il controllo di una mano invisibile, e sì nutrono di leggerezza e di lieve perfidia nello spazio spesso allibito del foglio. Ma il supporto è come se non ci fosse: Silvana ha la velocità dell'aria scos­sa, o la fissità repentina di un chiodo battuto. È così, in fondo, che si gioca la vita: alla ricerca di un'esilità solida come un filo d'acciaio. Ed anche il suo disegnare, il suo grafizzare, il suo incidere sono — alla fine - scrittura, o travestimento della scrittura: proprio allo stesso (e parallelo) modo in cui i suoi testi poetici sono — alla fine — forme di disegno travestito dentro la giostra funambolica delle parole, in una serie di gesti spesso non privi di una loro svagata eleganza.
Quello della Baroni è un microuniverso in perpetuo subbuglio, e ha l'aria di un mazzo di carte sparpagliato. Il poeta continua imperterrito e magari divertito a smazzarle in solitario per ottenere una soluzione purchessia, la meno disastrosa possibile: ma più di una figura fa ì capricci, più di un seme manca gli appuntamenti dell'azzardo. E tutto esplode, in un mezzo silenzio ilare, sconnesso e allarmante, ma non più di tanto. Già, perché la marca dei testi che compongono questo frizzante Nodi di rete non è l'angoscia, ma il piacere della sorpresa, il malessere {con­tenuto) che si fa giocoso gusto della contraffazione, il dolore è esorciz­zato sulla scacchiera della consapevolezza della precarietà di tutto: e insomma, prima della morte ci sono tre, quattro, dieci vite ipotetiche. Perché rinunciarvi?

L'Amore (che magari si vergogna di presentarsi con la A maiuscola) guizza in questi testi al pari di un incidente liquido, gradevolissimo o appena un poco amarognolo. E Silvana lo vive (in versi) con la stessa nervosa leggerezza di quando si impegna nelle sue figurazioni aeree. Muove bene la lingua, il nostro poeta baronale. La sa tormentare o titillare al punto giusto: e la tiene costantemente a temperatura media, consentendole forme di moderato delirio o di moderato abbandono. Una saggezza nevrotica, insomma. Che serve anche, sul piano della pro­nuncia, a tenere a bada quel tanto di insorgenza postermetica che spes­so la tinge di pallori eccessivi. Importante è comunque si tratti di una sorta di postermetismo crudele, non banalmente rarefatto, che si avvale dì tagli frequenti dei nessi grammaticali e di passaggi repentini di senso. I piccoli scenari di Nodi di rete cambiano bruscamente nel giro breve del periodo, talvolta della frase: e lasciano il lettore a bocca asciutta, dentro quella frustrazione ridotta che in poesia è uno degli stati di felicità, o di desiderio della felicità, per dirla col meraviglioso Stendhal. Il racconto, anzi il resoconto delle fasi della vicenda d'amore che ne è al centro, è continuamente, pervicacemente frantumato: magari da una serie di esclamativi ironici, sottolineature di finto stupore: una sequenza di ictus destinati a mettere in off-side l'estatico orizzonte di ascendenza neosimbolista desublimandolo nervosamente. Così, in questi versi perlopiù brevi come respiri contratti, il gioco allitterativo è spesso frenetico, da balletto schizoide; e produce lo scarto dal binario di un discorso ironico-patetico specialmente quando quest'ulti­mo rischia di ripiegarsi su se stesso. Il Trucco, insomma, è per fortuna quasi sempre più intenso dell'Anima (onore a Ripellino): e Silvana ne è consapevole, dal momento che le zone più acute del libro sono quelle in cui si afferma orgogliosamente il governo del linguaggio, e nell'area dell'astrazione e del vagheggiamento irrompe un qualche elemento minimale di concretezza anche aspra, che fa da detonatore. Eccone alcu­ni esempi balenanti:

«...dagli accenni stupefacenti / un calendario infinito ci fa consci / ad altissima temperatura identici / afflitti nel medesimo soggiorno / ten­tiamo la prosa occhi da poco scuciti / tonsille figurate maligne riaffio­rano / tetti aguzzi vacanze di sabbia / fiori freschi boulevard / vapori tutta la vita che scorre / tra inchiostro suffumigi barriti...»

E ancora, con uno scatto "surrealistico":

«Nel giardino del caffè caldo / il pollo / s'è nascosto nell'alito / della gente complimentosa».

E nell'explicit, infine, con bizzarra efficacia:

«...galanterie forano la sera / chi le compra tira a maritarsi / tutta la notte a mandorla / a fronte del cantar del gallo / chi muove all'orticello / chi al lucchetto / della maligna donna a fiume / Una canzone tra­borda /fruga nel sapore del mondo / in pista in gara / d'acque di luna / Crusca del diavolo / innamorarsi di là / dalla via larga /Aprile torna ai falchi / Stranastoria».

Mario Lunetta