Le grazie brune

di Velio Carratoni

Recensione di Antonella Calzolari

Ordito in una trama mista tra fascinazione romanzesca e attitudine al reportage voyeristico il soggetto narrativo dispiegantesi nelle pagine di Le grazie brune di Velio Carratoni (Fermenti editrice) si inserisce in maniera del tutto singolare all'interno dell'universo della letteratura (erotica in particolare). Fin dalle prime pagine del romanzo, che tale è in quanto storia se pur avvolgentesi su se stessa, si avverte una forte presenza della carnalità, disseminata a tutti i livelli e spiccatamente nelle scelte linguistiche e lessicali.
L'attenzione alla "carne" in quanto oggetto-soggetto si rivela essere materializzazione di un'aspra critica, in alcuni luoghi anche indiretta e camuffata, nei confronti delle convenzioni sociali per cui il protagonista tende ad estromettersi dalla società che reputa artificiale e edulcorata. Una sorta di "bon sauvage" Manio, intellettuale in crisi che riafferma con il suo atteggiamento la necessità di una realtà non ipocrita e lo fa ricreando a suo uso e consumo una realtà alternativa esageratamente personale.L'esperienza erotica è strumento di liberazione dagli schematismi imposti dal "savoir faire" contro il quale egli arma una personale rivoluzione consumata interamente all'interno di una intricata rete di rapporti sessuali.
Il lettore è trascinato nel vivo dell'esperienza carnale tramite il continuo richiamo ad una messinscena barocca delle sensazioni (odori, tatto, sapori, ecc.) e finanche dei più minimi e quotidiani gesti attinenti al microcosmo della carnalità e dell'intimità, un'intimità che, sottoposta e questo trattamento cessa di essere tale. Il corpo femminile viene quasi sradicato dalla sua precipuità composita, per imporsi nella sua più essenziale e lucida corporeità.
Il tutto avviene in un'atmosfera densa di "ennui", per così dire, che allontana la materia romanzesca e la pone in una dimensione fissa e ripetitiva; i soggetti narrativi risultano condannati al loro gioco esistenziale, quasi replicanti all'infinito le loro minime azioni quotidiane.
Le descrizioni sono al limite del dettagliato (si potrebbe avanzare la definizione di minimalismo carnale) e guardate con una scientificità che in alcuni punti arriva a contrastare con la vitalità propria della sessualità.
Del resto Carratoni parla chiaro e fin dal principio svela le sue carte. Nell'incipit del romanzo così si dipinge il protagonista: "Sdraiato su un letto che porto dietro ovunque, agisco, giro per la città, mi reco in banca, all'ufficio postale, viaggio, mi corico, mi nutro, mi rilasso, vomito". Interessante condizione quella del "portare dietro" che allude ad una pesantezza interiore costantemente rappresentata. Tale condizione si accompagna ad una assoluta negazione della sfera affettivo-sentimentale. verso la quale Manio nutre una vera e propria fobia, alimentata dalla certezza che il sentimento sia anticamera di autolimitazione.
Manio prova "un'impressione di blocco" e dice espressamente: "Cerco di sprigionarmi dal torpore notturno. Niente da fare. Idea fissa. Larva in movimento, sempre più decomposta. Ingredienti, stanchezza, nausea, sgomento, sfaldamento degli apparati organici. Levata cinica per riprendermi dall'apatia." E poi: "Vorrei fare un viaggio lungo, senza programma (...) Un senso di inerzia mi blocca a Roma".
La scelta di Roma, pesante nel suo barocchismo anche moderno, appare in questo senso sintomatica tanto più perché la città viene imprigionata nell'immagine dell'afa estiva. Si fa spesso riferimento ad una sensazione di caldo soffocante, ad un'atmosfera opprimente all'interno della quale la categoria della carnalità acquisisce un maggiore peso specifico. Presente è anche il riferimento alla puzza di escrementi, di marcio, di muffa. Insomma la carnalità si associa ad un senso decadente di decomposizione mentale. Ecco allora che tutto si ferma, si impaluda. I corpi sono "anchilosati" e "rattrappiti". Manio sta spesso in silenzio. Il suo è un atteggiamento da osservatore (ma non per questo necessariamente sempre passivo) e si dichiara addirittura "innocuo", "un fossile o un composto del sottosuolo". Nel corso del romanzo egli intesse una rete di rapporti vissuti volontariamente "da lontano", piuttosto che vivere una vita reale, preferisce spiare quella altrui, forse perché questo comportamento gli permette di mantenere una "finzione di un controllo", di continuare ad autoingannare il proprio vissuto che diviene sempre più emblematico via via che ci si inoltra nella vicenda.
Lo stile cronachistico e addirittura apodittico ben si attaglia alla lunga seriazione di gesti che si susseguono e puntellano una storia ulteriore di appiattimento e regressione. Così anche i personaggi femminili risultano contemporaneamente molto presenti sotto il profilo fisico ma quasi evanescenti sotto l'aspetto caratteriale.
Ma che cosa c'è dietro tale impellenza di anonimia e di annullamento? Perché sembra essere tra i "desiderata" più ricorrenti del romanzo? E' forse negazione di un principio di individuazione che, in quanto tale, sottintende una volontà di riconoscimento sociale? E allora che senso ha il trasgredire? C'è, nel romanzo, vera trasgressione? Forse no, perché ci troviamo immersi in un "continuum trasgredendi" che diventa normalità.
Si osserva il continuo utilizzo di lessemi riferiti all'universo del non-essere e sotto questa luce forse va letto anche un personaggio difficile come quello di Wagner, altra figura indefinita che si presenta dicendo: "Sono Richard Wagner, sono di passaggio". E poi: "(...) Sono ritornato nel mondo da spettatore". A Wagner Carratoni mette in bocca una tirata contro tutto e tutti ma in particolare contro l'arte che è oggi diventata "prodotto di mestiere".
Manio si trova accanto a Wagner ma, non potendo allontanarsi fisicamente, si allontana mentalmente perpetuando il suo nichilismo.
Accanto a Manio altri personaggi condividono alcune sue caratteristiche. Anche Giada dirà: "Godevo della mia non appartenenza".
Nei confronti di Giada Manio prova il timore di lasciarsi andare al sentimento: " Non capisce che l'ho fatto apposta per mostrarle un'avversità eloquente, un po' per rigettare quel certo sentimento capzioso. Così detto amore o quasi, esaltato a sproposito da certi lacrimatori di storie rosa, che incitano a sdolcinature senza fine".
Manio si sente provvisorio e in tutto il romanzo si respira un'aria di frammentarietà e di precarietà. Dice: " Mi sembra che la storia che vorrei conoscere meglio, essendo parte integrante di me, non mi riguardi". E poi: "Che desidero? Nulla". E ancora: "Vorrei disintegrare le membra, renderle gementi, mutilarle, paralizzarle, sezionarle, in nome di una rivolta contro me stesso e contro il desiderio spasmodico che non so cosa sia e perché lo avverta".
Manio intellettuale dis-integrato in una società che non riconosce come sua diviene simbolo di una protesta rinunciataria, tanto più dolorosa quanto più vissuta a livello psico-esistenziale e assurge a rappresentante di una nuova forma di malattia sociale in una realtà nella quale alla presenza si sostituisce l'assenza al desiderio la voglia.

Antonella Calzolari