Il sorriso funesto

di Velio Carratoni

Recensione di Roberto Di Pietro

Il verbo riflettere implica uno stretto rapporto col pensiero ma anche con l'immagine. Il pensiero riflette per immagini e l'immaginazione è il riflesso del pensiero (imago agens). Tuttavia il riflettere ha pure una stretta attinenza con lo specchio e lo specchiarsi. L'immagine riflette e si riflette, rimandando, non senza tramite del pensiero, alla conoscenza di sé e di altro. Dell'Altro. Da Plotino a Shakespeare, passando per San Paolo, lo specchio ha assunto funzione di tramite alla Verità. Sostituito l'oracolo delfico, è ora letteralizzazione del "conosci te stesso", letteralizzazione di cui Narciso fu vittima illustre. Quello che Carratoni ci pone innanzi non è però un semplice specchio, bensì uno specchio rotto, che, oltre alla leggendaria maledizione, porta con sé l'inevitabile processo di frantumazione. Frantumazione che nello specifico è a sua volta riflessa da una scrittura asciutta, aforistica, sincopata. Se lo specchio è metafora di Verità e la scrittura ne è la naturale espressione letteraria, la forma aforistica scelta ha qui funzione di emendare la verità, costituirsi riflesso di ogni scheggia frantumata dello specchio di partenza. Il risultato è la messa a nudo dell'Uomo all'apice della società dello spettacolo, nella quale l'immagine da proiettare è, gioco forza, quella di vincente ad ogni costo. Un io sempre più frazionato e distorto è al centro di questo mondo. Mondo apparentemente avulso e sterilizzato da una qualunque forma di sentimento, in cui ognuno sbatte freneticamente contro l'altro alla ricerca di un impossibile sé stesso. Rovescio di significato, l'Amore diventa allo specchio significante di Sesso, appagamento fugace dell'umana necessità di contatto. Non c'è più il tempo per dedicarsi all'altro, per il sentimento no profit, per la sconfitta e l'abbandono nel mare dell'Anima, mare prosciugato e delineato da frangiflutti che preservano ciò che dell'io è rimasto. il sorriso funesto, non senza ironia inserito in una collana intitolata minima verba, è per questo una denuncia del cannibalismo che ci vede tutti protagonisti, ed un potente inno all'Amore nel senso più ampio possibile, purché privo però di una qualunque forma di preservativo mentale. Eterno Narciso, innamorato della propria immagine riflessa, l'Uomo è condannato altrimenti a non conoscere sé stesso, cosa per cui l'accettazione dell'altro, il contatto fisico e no, l'amore, sono fondamentali, soggetto com'è al beffardo contrappasso di una continua masturbazione dell'ego, scongiurando, ad ogni sbattere di corpo, di non incrociare mai sguardo di Medusa.

Roberto Di Pietro