Rinato all'alba di questi focosi anni Settanta, il femminismo (dapprima nordamericano, poi europeo) rappresenta senza più alcun dubbio per nessuno (tranne che per sparute minoranze impaurite di qualunque movimento e progresso) uno dei punti su cui sta fondandosi un progetto rinnovato di socialismo anche in Italia, sia pure fra polemiche e discussioni, che tuttavia si rivelano feconde se ad esserne soggetto (oltreché oggetto) è la donna, questo cosmo sconosciuto, secolarmente silenzioso quanto perpetuamente oppresso.
E' dunque naturale (storicamente naturale) che la donna, cosi rinata ad esistenza cosciente e autocosciente, si vada interrogando sulle radici — e sui guasti — di una cultura che, in occidente come in oriente, in regimi dittatoriali come sotto cieli sedicenti « democratici », non è stata altro che cultura maschile, ossia ideata gestita consumata dall'uomo, e soltanto da lui. Cosi il recupero di una cultura da parte della donna per la donna non è che una liberazione globale che, scatenando la donna stessa, libera anche la porzione maschile dell'umanità, restituisce al genere degli esseri viventi (uomini e donne) una creatività rinnovata, una vita autentica, un'uguaglianza, che rappresentano i germi indispensabili al mutamento radicale di questa società di disuguali politicamente perché disuguali culturalmente (ossia psicologicamente, intellettualmente, sessualmente e così via). Perché la principale componente di questa nuova cultura femminile-femminista è, appunto, la globalità delle dimensioni della vita umana, l'unità profonda di privato e pubblico, di esistenziale e politico, di sessuale ed economico, di giovane e adulto, di testa e corpo, di maschio e femmina.
Questo preambolo come necessaria premessa ad una recensione su di una recentissima antologia di testi poetici del Movement, La poesia femminista (Savelli, Roma 1974, pp. 306, L. 1.800), curata da Nadia Fusini e Martella Gramaglia. In una articolata introduzione, le due curatrici del volume, pubblicato con testi a fronte (sono presenti autrici statunitensi, inglesi e francesi, di cui alcune collettive-anonime. I testi sono tratti da antologie edite nei rispettivi paesi, altri da edizioni « pirata », altri ancora avuti « in regalo » dalle autrici) situano questo neofemminismo (« neo » per distinguerlo da quello dei primi del secolo) tra denuncia e progettazione, affermando con forza (affermazione fecondissima) che « il femminismo è un movimento culturale oltre che politico, o semplicemente è un movimento politico in senso integrale », di cui dunque la poesia è espressione connaturale, in quanto « fonde il momento esistenziale-affettivo-emozionale con tutte le sue sfumature e contraddittorietà ». Ma il femminismo è progettazione di che? Di un rapporto nuovo uomo-donna, donna-lavoro, donna-corpo, libertà-prodotto, oggettività-soggettività, vissuto-politica. E non è poco. C'è — nel femminismo — una ridefinizione importantissima del concetto stesso di « classe », nato col '68 e ormai irrinunciabile: concetto che supera le rigide categorie di produzione, di economicismo, di proletariato e che include le donne, i giovani, i neri, i sessualmente « diversi », gli obiettori, tutti i non integrati della Terra.
Ma passiamo ai testi dell'antologia, dovuti a più di trenta donne, alcune delle quali, come si è detto, collettive ed anonime (si tratta di testi francesi, stupendi per forza e vitalità). C'è « poesia » in queste pagine? E che cos'è « poesia »? Domande che devono essere ricollegate ad altre più vaste: in che rapporto sta oggi la letteratura (ufficiale, professionale, diciamo) con la cosiddetta « letteratura selvaggia », con l'autentica cultura di base, utile oltreché estetica, ricca nei contenuti più che nelle forme? Rispondere a queste domande (fondamentali sia per la poesia che per la politica, soprattutto per la fondazione di nuovi rapporti tra cultura e politica, letteratura e potere) non spetta ora a me in questa sede. Basti dire che le autrici e i loro testi apportano davvero molto alla conoscenza insieme personale e politica (il personale è politico) della condizione reale della donna d'oggi, facendola finalmente parlare in prima persona, con tutte le proprie e contraddizioni, ire e disperazioni, paure e iniziali angosce, se si pensa che, tranne rarissime eccezioni che hanno sempre confermato la regola, alla donna non è mai spettato altro, nella storia della letteratura e della cultura, che un vergognoso millenario silenzio.
I testi sono qui stati divisi secondo cinque grandi temi: la madre; il matrimonio, la casa, il quotidiano; donna e nera (la doppia oppressione); amore, amanti; donne nuove, donne streghe. Nell'ultima sezione si trovano forse i testi più espliciti, quelli teorici, potremmo dire, del nuovo femminismo mondiale (notevolissime le voci di Robin Morgan e di Jean Tepperman, per non parlare della grande Silvia Plath, morta suicida a soli 31 anni, infelice compagna del ben più « celebre » poeta statunitense Ted Hughes, scrittrice nei cui testi qui pubblicati si coglie davvero tutta intera la drammaticità di un certo modo di essere donna, tanto peggio se « intellettuale » e non disposta a farsi condizionare da nessuno.
Testi da leggere con commozione e adesione profonde, come « Il litigio » di Diane Di Prima, « Logica maschile » (di anonima), di forza inusitata: « Quando gli parlo, parlo a una persona / quando mi parla, parla a una donna. / ...Insomma tu parli al mio culo / prendi la parte per il tutto / sei tu a fare errori di logica ». E poi il dramma-gioia dell'amore omosessuale (ciò che « le sorelle non vogliono farmi cantare »), la drammaticità della condizione di « casalinga » (« Certe donne si sposano la casa... »), il conflitto con la madre, talora distruttivo, sempre carico di non mai risolti nodi; il perché della « sorellanza »; la denuncia dichiarata, la protesta aperta, come in questo testo di Jean Tepperman: « Oggi, / il mio corpo tornato normale, / siedo e imparo / il mio corpo di donna / come il tuo / bersagliato per strada, / rubatomi a dodici anni / come il petrolio venezuelano / con la stessa spiegazione. / Sei ignorante / ti insegno io / poi ridatomi indietro goccia a goccia... / Guardo una donna osare / oso guardare una donna / osiamo alzare la voce / rompere le bottiglie / imparare... ». E altri testi, come questo stupendo di Robin Morgan sul destino di Silvia Plath: « Ma mi è concesso, se non altro, di accusare... / le legioni di critici necrofili / di congiura: perché piangono la genialità della Plath / e insieme parlano condiscendenti della sua follia, perché annacquano / la sua rabbia, seppelliscono le sue idee politiche ».
E ancora, di anonima francese (ma potrebbe essere, come gli altri, un testo collettivo; e ci piace concludere con questa anonimità e questa collettività, speranze per una poesia davvero alternativa e diversa) : « Ero sorda e cieca / Adesso ho occhi e orecchie dappertutto... / le visite sono finite / uscirò uscirò uscirò... / Ero qualcuno / Adesso sono qualcuna / Sono donna / e le mie sorelle mi aspettano / Non sapevo cantare / Ho provato / ora urlo / e ho dimenticato le lacrime ».
Alcuni dicono che il femminismo sia una pseudoliberazione, una ennesima trappola borghese. Ad ascoltare queste donne non sembra. Perché così conclude la stessa Robin Morgan (in « Mostro ») : « Sono una "che odia gli uomini", hanno detto. / Non ho il tempo e la pazienza per dire di nuovo perché e come / non odio gli uomini ma ciò che gli uomini fanno in questa cultura, / o come il sessismo, il potere e la competizione / è il nemico — non le persone... ». Scusate se è poco aver fatto questa scoperta, avere finalmente intravisto e volere questa personale-politica libertà.
Mariella Bettarini