Non sono poche le antologie della poesia italiana contemporanea, ma rarissime invece le non faziose. Fino a poco tempo fa, e cioè prima dell'antologia di Alberto Frattini di cui diremo tra poco, veniva infatti, e a ragione, raccomandata più di ogni altra silloge a chi avesse voluto seriamente e serenamente documentarsi di poesia italiana contemporanea ma scevro da prefabbricatigli fanatismi od idiosincrasie da fargli condividere, la « Antologia dei poeti italiani dell'ultimo secolo » (Martello, Milano 1963). Era stata curata da due critici di chiara fama e di autonomia e probità proverbiali. Che tali furono, come tutti sanno, Giuseppe Ravegnani e Giovanni Titta Rosa. Ma ormai, ad oltre un decennio dalla Ravegnani-Titta Rosa, ancora più esemplare, e al punto da dovere riuscire addirittura inoppugnabile come fondamento guida ed ammaestramento ad eventuali giuste antologie, c'è la recente poiché possiamo a tuttora dirla tale, antologia «Poeti italiani del XX secolo» (La Scuola. Brescia). E' di Alberto Frattini e Pasquale Tuscano. E di questa, che fu edita alla fine del '74 e che praticamente fu nelle librerie dal 1975, prendiamo atto intanto, anche se la notazione è soltanto libraria, che in poco più di un anno è già alla seconda edizione. E sappiamo anche, e per diretta esperienza, che l'opera che è particolarmente destinata alle università ha sortito nelle stesse ciò che naturalmente si proponeva, il successo pieno. S'intende che è pure dedicata ai comuni cultori di poesia, come d'altra parte era pure detto. Ma anche costoro subito avevano fiutato, dai nomi dei curatori, che, grazie a Dio, non si sarebbe trattato di una delle solite antologie di compromissione e intrallazzo tra le carbonerie letterarie lombarde fiorentine romane. E, da ciò, l'ottimo incontro pure con il pubblico. Ma se si voglia puntualizzare ancora meglio circa il livello precipuamente universitario dell'opera frattiniana, c'è da estrarre allora dalla prefazione utilmente, perché è ben vero, che: « Opere antologiche adeguate mancano, per questo settore dell'italianistica, al livello degli studi universitari, dove, da vari anni, l'interesse per la letteratura e la poesia contemporanee va progressivamente crescendo, sì che ì docenti, anche per l'esemplificazione testuale, sono costretti nei loro corsi a ricorrere ai laborioso e non di rado costoso sussidio delle dispense. Si aggiunga infine la necessità da tempo avvertita dai più giovani insegnanti di lettere italiane di potere contare, preparandosi a concorsi per l'abilitazione o cattedra su opere dove alla serietà dell'aggiornamento e dell'approfondimento critico risponda l'ampiezza della base documentaria: avremo così un quadro pressoché esauriente delle principali motivazioni su cui quest'opera ha fondamento: cui si può aggiungere, al di là di un intento propriamente didattico-editoriale, il desiderio da tempo avvertito dall'autore dell'Introduzione che segue (e trattasi del Frattini, nota dello scrivente) e al quale si devono anche le singole introduzioni ai poeti, di mettere più organicamente a frutto le sue ricerche, maturate nell'arco di un venticinquennio, sulla poesia italiana del nostro secolo ». Quel venticinquennio di assidua esegesi, anche se il Frattini, decente di letteratura italiana moderna e contemporanea alla Facoltà di Lettere dell'Università di Roma, lo condivise anche con quella sul Leopardi (e uno tra i più noti leopardisti) è attestato, per ciò che riguarda la poesia contemporanea, che è quello che ora ci interessa, da un suo corpus critico ingente. E che, sempre da lui aggiornatolo, va da « Poeti italiani del Novecento » (1953) a « Dai crepuscolari ai novissimi. Studi sulla poesia italiana del '900 » (1969). E forse può anche essere seguito qualche altro suo libro rimasto non ancora a nostra conoscenza nel mare magnum della critica. In ogni modo, a quei due termini (1953-1969), o meglio dire (1953-1975), ora, con la ancora recente antologia in collaborazione con Tuscano, stanno in mezzo: « Studi sulla giovane poesia italiana del dopoguerra » (1955), « Critici contemporanei » (1957), « La poesia e il tempo » (1957), « Da Tommaseo a Ungaretti » (1959), « La giovane poesia italiana » (1964), « Poeti e critici italiani dell'Otto e del Novecento » (1966), « Poeti italiani tra primo e secondo Novecento » (1967), « Poesia nuova in Italia fra ermetismo e neoavanguardia » (1967). Va inoltre precisato, affinché inconsultamente non si faccia scalpore ad esempio dal non trovare nell'antologia frattiniana Pasolini, o che so Nelo Risi o Dario Bellezza, che, nell'introduzione è chiaramente dichiarato, che: « non è stato possibile aprire questa antologia ai poeti più giovani affermatisi nel secondo dopoguerra »; e ciò « perché non abbiamo forse ancora un distacco storico sufficiente, per compiere senza tròppe perplessità il relativo vaglio ». L'avvertenza non manca di ragione, tanto è di per se stessa ovvia. E tanto più, poi, se si considera che una dovuta conoscenza dei giovani poeti fu riservata addirittura a quasi tutti i giovani poeti (vedi, Falqui « La Giovane poesia. Antologia e Repertorio » 2a edizione con i testi di ben 140 giovani poeti nel 1957! E oggi quanti sarebbero ) fu già cura, o fraterna attenzione e premura, di generosi poeti (anche se un po' più esigenti del quasi repertoriale Falqui), e quali Salvatore Quasimodo e Renzo Laurano, e anche di Luciano Erba che è proprio uno dei migliori tra i poeti del dopoguerra stesso, nonché di uno dei nostri narratori meritatamente più letti, di Piero Chiara che in quel tempo fu pure assai aperto alla poesia, e di un critico come si è già detto dalla preparazione del già ricordato Enrico Falqui che è, a tuttora, rimasto insostituibile nella ricerca a fondo e specie nella documentazione e puntualizzazione. E ciò soltanto a proposito di quella che fino al 1960 circa fu detto la « giovane poesia ». Che se poi ci avviciniamo alle successive più giovani stagioni poetiche ci sono le Antologie redatte da équipes: I novissimi, Gruppo 63, Antologia della poesia visiva, Poesia della poesia, ecc.... C'è sulla poesia dall'immediato dopoguerra proprio fino a tutt'oggi, da documentarsene insomma a iosa, nient'altro che questo, ma da altre fonti da quelle che non si può ancora pretendere che Frattini, o altro critico al pari di lui serio e non procacciante e avvenirista, già avalli e storicizzi nel già sufficientemente assodato. Ciò ricordiamo, mentre è già uscita la seconda edizione della felice antologia di Frattini e Tuscano. E così, mentre facciamo ammenda di occuparcene con un certo ritardo, valga almeno ora il doverne dire con attenta conoscenza. Si sappia così che l'Introduzione, che è di Alberto Frattini, consta di ben 51 pagine. E' un vero trattatello magistralmente elaborato da chi sapeva il fatto suo, come era già scontato. Seguono, prima dei testi poetici, altre 14 fitte pagine. E sono codesto la bibliografia più completa fino ad oggi sulle antologie della poesia italiana contemporanea. Il metodo poi, che fu culto tanto caro ai germanici quanto già prima lo era stato a Descartes, vi ha il suo altare potremmo dire deliziosamente fruibile. Ecco, allora, messa a nostra disposizione la seguente sistematica: 1) Opere e contributi di interesse generale; 2) Studi utili ad approfondire ricerche settoriali: a) Sulla poesia italiana tra i due secoli, b) Sul decadentismo, e) Sui rapporti della poesia del Novecento con Carducci Pascoli D'Annunzio, d) Per Pascoli, e) Sui crepuscolari, f) Sul futurismo e sui poeti futuristi, g) Sulla Voce e sui poeti « vociani », h) Sull'ermetismo, i) Sui problemi della lingua e del linguaggio poetico del Novecento, I) Antologie della poesia italiana del Novecento: Opere non scolastiche. Opere scolastiche. Con struttura in parte diversa, da quella surriferita per la ricerca bibliografica, si presenta invece la raccolta dei testi poetici. Li troviamo sistemati in: I) Fra i due secoli, II) Crepuscolari, III) Dai futuristi ai «vociani», IV) Dalla poesia pura all'ermetismo, V) Le varie strade della poesia italiana tra le due guerre. E qui, con soddisfazione notiamo subito il largo margine di giudizio lasciato al lettore da una esposizione sufficiente di testi, e non da speciosi saggi poco più che unici. La produzione di poesie per ogni autore salvo rarissime eccezioni è infatti congrua, compatibilmente ad una antologia, sia alla possibilità di una seria osservazione sia al potere anche costituire un fondamento solido e imparziale allo studio di ogni autore compreso. E ciò lo si è fatto presente anche dal fatto che ogni poeta è preceduto da un ampio saggio bibliografico e critico a suo riguardo. E detti saggi sono tutti di Alberto Frattini, e non di un vario assortimento di critici, come d'uso nelle altre, siappure poche, antologie che li hanno. Con il saggista unico, e se equo come ci è parso che sia avvenuto con Frattini, si evita il rischio dei fanatismi o infatuazioni e anche dei do ut des di convenienze reciproche, di alcuni critici per o con, questo o quel poeta, o anche per o con questa o quell'altra corrente. E anche le esaurienti premesse a ogni singola poesia di ogni autore sono di Frattini. Non così è, invece, per le note esplicative in calce a ogni pagina dei testi poetici che sono di Pasquale Tuscano. Perché va pure avvertito che « Poeti italiani del XX secolo » è anche l'unica antologia non scolastica (se non quasi provocatoriamente per il suo livello di confronto che va ben oltre a quello velleitario, scarso di testi e di rappresentanti, e quasi sempre faziosissimo letterariamente, e talora pure politicamente, delle antologie per le scuole per le varie « maturità », livello che è tale invece nella Frattini-Tuscano da soddisfare le esigenze universitarie di consultazione anche da parte della più severa e non chiacchierona italianistica), che abbia i cosiddetti commenti, le note, che è l'unico pregio che hanno le antologie scolastiche nei confronti delle non scolastiche, perché i commenti, siamo sinceri, servono e non soltanto nella dantistica. Le note, dunque, e sono abbondanti, quasi sempre occupano più di metà di ogni facciata e il tono, la terminologia critica, lo scandaglio ben addentro, i richiami davvero i più a proposito alla saggistica sull'autore, le impreziosiscono. I ritratti dei poeti sono stati tutti eseguiti dal pittore Eugenio Dragutescu. Una sola grande mano che non ha assolutamente consentito, pose, ringiovanimenti, mistificazioni e miticizzazioni (o gli imprevisti, nella mise, alla Mario Soldati) pure nell'immagine. Perché, parrà strano, ma i più dei poeti in genere, ma soprattutto quelli che li avresti pensati i più ostili alle mondanità, i più nemici di Satana e delle sue pompe, i più schivi di restauri e di correttivi e di accaparramenti di simpatie anche da un favorevole aspetto personale affidato almeno alla fotografia o similari, risultano poi, proprio loro, i più bramosi di lustrini e di migliorie alla loro esposizione visiva. Per l'effigie... Detto questo, nonostante il concorso di un universitario e di un critico quale Pasquale Tuscano per i commenti, e di un pittore quale Dragutescu circa l'immagine, risulterebbe, però, per tutto il resto (il vero e proprio trattato introduttivo sulla poesia italiana nel XX secolo, la bibliografia esaurientissima e la sua sistemazione, i saggi bibliografici e critici, e ampi e precisi su tutti i poeti in antologia, e la bibliografia della critica aggiornatissima su ogni poeta, le premesse minute strettamente testuali ad ogni singola poesia) che, Frattini tutto considerato, per un'opera, di tanto intendimento (e a non volere ora considerare la riuscita e anzi il successo che ebbe), abbia voluto tant'è anche un poco strafare. Non si poteva forse oggi, più che mai prima, anche soltanto coordinare équipes, avere « negri » in gamba, i faticanti? L'Università non ne manca, ne trabocca. Ma c'è anche il gusto insopprimibile di lavorare bene al modo che personalmente più ci piace, assentire a un lavoro soltanto nostro, e non al lavoro in genere, e tanto meno se visto dall'alto, da Padrone delle Ferriere. E poi bisogna anche riconoscere la quasi alfieriana vocazione al « fortissimamente volli » lavorativo, non certo soltanto di Alberto Frattini ma di non pochi critici, come lui, tra i migliori della generazione di mezzo. Vocazione generazionale, che ci fa riferire, anche a fare un solo esempio ma immediato, pure a quella di un altro illustre critico, a Giorgio Bàrberi Squarotti, pure notoriamente laboriosissimo. Ciò detto, va poi soprattutto osservato se entro le cinque partizioni entro le quali i poeti sono stati situati e anche per comodità di studio come farà presente Frattini, le collocazioni risultino, o non, tuttavia appropriate. La cosa non è certo indifferente quando è consegnata ad un'opera impegnata al meglio fino ad oggi. Prima però di procedere a questa verificazione rimandiamo, per la completa citazione di tutti i poeti compresi nell'antologia, all'ottimo saggio e molto particolareggiato di Paolo Marletta (« Un'antologia di poeti del XX secolo »), apparso nell' « Osservatore romano » del 23 giugno u.s. Se non andiamo errati è anche il primo scritto di annuncio della ristampa dell'antologia. E vediamo allora, circa le partiziani, se l'esame di Frattini nei poeti è stato intus et in cute come si diceva una volta, o meglio se è stato più intus che non in cute. Ci sembra che si. E' ben giusto per esempio, anche per noi, che il sostanzialmente rimasticatore carducciano, e anche con se stesso retore indomabile (ben più che non proprio molto pochino poeta essenziale e novatore), Ceccardo Roccatagliata Ceccardi lo si debba trovare proprio come Ada Negri genericamente tra i poeti « Fra i due secoli ». Così pure, in quella stessa sopraddetta genericità, non è per noi motivo di stupore alcuno, se, con causali del tutto diverse da quelle per Ceccardi, e sempre con le dovute avvertenze che il Frattini non fa mai mancare, quel critico stesso vi collochi anche Gian Pietro Lucini. Per noi il Lucini fu l'asso pigliatutto dallo sproloquio, fu l'anti-Ungaretti e l'anti-Montale, ante litteram; e francamente non parrà invece strano il preferirgli... Frattini che non è mai polemico, che non è mai nervoso (e glielo invidiamo), non può tuttavia fare a meno di osservare, che, nonostante « la larvata istanza di sliricamento in chiave d'epica sociale il lessico di Lucini è d'estrazione marcatamente letteraria », il che « è spia d'una tradizione lunga a morire, e l'enfasi del discorso, tutto sostenuto sul respiro di una sintassi interrogativa, ancora ci riporta a certo penchant retorico-populista di fine secolo ». Sicché, aggiungeremmo noi, che, nonostante il panegirico per guadagnargli la serie A (dove non è riconosciuto) dedicatogli da Sanguineti, indubbiamente bravissimo nei suoi assunti, la famosa per modo di dire iconoclastia di Lucini risulterebbe soprattutto insufflatasela, e animata dal suo esibizionismo, che è il supremo suo ideale. Mai il suo campionario ne fu sprovvisto. Nell'hortus, conclusus ma non del tutto neppure oggidì, dei « Crepuscolari », perché vene esoteriche ne affiorano anche in certe angolazioni della poesia recentissima, che, grazie a Dio, ha ormai fatto lo sgombero delle burlette e dell'antipoesia, notiamo, oltre a ben s'intende Corazzini, Gozzano, Moretti, ecc... anche Chiaves, Valimi, Giannelli che anche Frattini come già altri critici, ma invero ancora pochi, stabilizza anch'egli in antologia. E specie per Vallini, riproposto sensatamente da Sanguineti, la decisione frattiniana non è di poco momento. Entro il folto assembramento, usiamo al proposito questo vocabolo che ha in sé qualcosa di tumultuante, dei « Dai futuristi ai vociani », e che, a volerne ricordare soltanto i maggiori e con una certa elasticità sotto la troppo compendiosa insegna, e che ci fa imbattere dunque in Marinetti, Govoni, Palazzeschi, Soffici, Papini, Rebora, Jahier, incontriamo anche Sbarbaro. A tanto riguardo, sottolineiamo è pur ovvio il « vociani »; e che, il suo posto, anche se tanto a modo suo, in realtà è lì. Questo poeta, che è tra i grandi, non ha infatti niente a che vedere, però, o proprio ben poco (e lo stesso valga per Rebora per il quale egualmente se ne è tentata la distorsione), con la cosiddetta poesia pura, come invece si è cercato da taluni, ma arrampicandosi sugli specchi, di introdurveli. E li troviamo poi, sempre in Frattini, tutti appropriatamente dove devono stare i poeti « Dalla poesia pura all'ermetismo ». E alcuni d'essi sono nomi che senz'altro fanno vertice. E altri invece sono poeti pure essi, ma anche con la riserva del beneficio che ebbero dall'essersi, come se votati, impegnati e mossi entro la corrente di poesia e di critica in cui si elevavano quei vertici. In quello stesso consorzio che per molti anni si autopensò dogmaticamente infallibile ed unica vera poesia e specie anche in conseguenza di una data critica, senz'altro ad alto livello ed euforica nei riguardi della poesia pura e dell'ermetismo (ma che fu certo poi non molto coerente, usiamo un eufemismo, come carattere e relativa condotta, perché fu molto voltagabbana dopo il sopravvenire di altri indirizzi alla poesia, dato che si assistette al suo quasi totale trasferimento di detta critica in diametralmente opposti, sempre nuovi, entusiasmi, pure di apparire sempre in compagnia della moda del giorno) le stature dei poeti, per tornare esclusivamente agli stessi, risultano in ogni modo ben diverse nella storia di quella temperie di poesia. Li ricordiamo, comunque, tutti quanti quei poeti; e non per qualche proposito preferenziale per quel periodo o situazione, ma perché obiettivamente c'è da considerare che la proiezione del periodo « dalla poesia pura all'ermetismo » andò ben oltre il lasso cronologico della sua pure lunga stagione. Ecco, dunque, e nell'ordine cronologico frattiniano: Onofri, Campana, Ungaretti, Comi, Montale, Quasimodo, Gatto, Sinisgalli, De Libero, Luzi, Bigongiari, Parronchi. Un'insegna infine quante altre mai veridica è poi quella « Le varie strade della poesia tra le due guerre ». Vale a dire che qui Frattini molto assennatamente vi ha posto quei poeti dei quali ne sarebbe stata altrimenti arbitraria (oltre la stessa libertà della critica) la catalogazione degli stessi in correnti o in movimenti, o in insofferenze o in « credi », anche soltanto in qualche modo collegiali. E così, se ci mettiamo volta a volta a percorrere quelle varie strade dei gelosamente individuali, e per restare ai maggiori, ai più personali, ai più di spicco tra quei solitari e meritatamente tanto attraenti viatori e sempre attenendoci all'ordine anagrafico oppure a quello del primo libro o a quello di altre connessioni, seguito da Frattini e da Tuscano, incontriamo allora: Saba, Valeri, Cardarelli, Vigolo, Betocchi; e i meno lontani nell'anagrafe Pavese, Caproni, Penna, Laurano, Sereni che chiudono e serrano la rete delle diverse strade di poesia tipicamente del singolo, e con le quali anche l'intera rigorosa silloge ha il suo punto fermo finale. La ponderosa antologia (1108 pagine) è anche, come già minutamente si è specificato, altrettanto una vera e propria meditata crestomazia, quanto, se non vi fossero i testi, un prontuario come s'è pure detto di critica a se stante molto provveduta. Infine, e tolgo da Paolo Marletta, questa antologia vuole anche: « avvicinare il lettore a ogni singolo poeta, anzi a quello o a quelli che gli sono spiritualmente più affini, che possono dargli di più, e invogliarlo a una frequentazione sempre più assidua e affettuosa, ad una sorta di osmosi (parola cara a Frattini) degli animi, per una continua fraterna elevazione». Proprio così. Grazie infatti ad antologisti imparziali ed egregi può consistere, dunque, una sorta di mistica tra lettori e poeti, un intimo loro sodalizio ideale.
Carlo Alassio