Circa quarant'anni dopo la prima edizione di "Vento Caldo", cosa rappresenta per te tale romanzo introvabile, vincitore del Viareggio opera prima nel 1949?
Dopo quello, ne ho scritti altri quaranta per cui ogni libro cercavo di farlo meglio del precedente. Però non ci sono riuscito. Il clima de il Vento Caldo è irripetibile perché la giovinezza e i sogni, la fiducia e la speranza, la rabbia e la malinconia che avevo prima dei trentanni non li ho avuti più. Comunque nella stessa maniera, con lo stesso calore e lo stesso stupore di aver scritto « un libro ». Forse sono diventato più elegante, più icastico, più filosofo e anche più cosciente delle idee che scaturivano naturali come sorgenti nella jungla, mentre invece adesso la mia fantasia viene incanalata per gli scaltri acquedotti della letteratura. Anche cercando di essere pulita e litiosa. Per concludere, un libro come « Vento Caldo » non è più possibile scriverlo: né io né alcuno della mia generazione. Speriamo che nelle generazioni venture ci sia un giovane che un giorno si mette a scrivere una lettera a una donna e poi continua per trecento pagine fino che ha fatto un romanzo. Così è stato. Per amore ormai non si scrive, le passioni vengono frantumate attraverso il telefono, cancelli un numero e non resta più niente delle parole passate attraverso il filo.
Sta per uscire, con la Newton Compton, "Gente al Babuino". Quali sono le novità, rispetto alla prima edizione?
Gente al Babuino che ripubblica la Newton Compton per illuminazione dell'Editore dopo trent'anni di latitanza nelle librerie italiane (intanto negli anni successivi fu pubblicato negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Giappone, in Germania, in Austria, in Grecia, e in Spagna) è intatto e identico alla sua prima stesura per cui molti personaggi — facilmente identificabili negli Anni Cinquanta oggi sono scomparsi, come sono scomparsi certi fondamentali ambienti, al Circolo Artistico alla trattoria di Colombo, da Peppino lo Zozzone a Mondino, dal Piccolo Slam alla Sala da Té delle Russe. Al Baretto, invenzione disperata mia e di tre amici, si sono avvicendati quattro gestori da Orlando a Bruno, da Gianni alla sua Vedova ma il clima è rimasto sempre lo stesso. Da Notegen, Tomaso il più anziano ha raggiunto il suo sogno, di vivere a Ibiza, ma l'energica cognata Teresa sta rinverdendo le glorie del caffè più antico del Babuino con l'ospitalità dei poeti sotto il segno di Montale, ninfa Maria Luisa Spaziani. Non ci sono più il Pincio e La Vetrina, i cui prestigiosi tenutari Anna Salvatore e Tanino Chiurazzi ahimè, ci hanno lasciato, come Totò e Cagli, Muccini Mazzacurati Gentilini e Capogrossi, Franchina Sadun e Mafai, Omiccioli e Fantuzzi e Leoncillo e tanti altri che a ricordarli si farebbe un calendario di artisti martiri allegri e pieni di peccati ma ciò non di meno santi. Le tumultuose brigate da Menghi oggi sono decimate e disperse, l'arte sopravvive attraverso i più giovani, Tardia e Filibek, La Barbera e Rasia, Fortunato e la Patrizia Patti, e intorno al mausoleo di Novella Parigini non c'è più il suo maestro di pittura e di vizi, Giò Staiano, che si è transessuato e veleggia tra le più prorompenti ficone dei Quartieri Alti. Non c'è più Corrado Alvaro e De Chirico, Gianbattista Vicari e Pasqualino Festa Campanile che quando arrivò lo chiamavano Sabato Santo, non c'è Emilio Villa e Leonida Répaci e Moravia ha passato la Porta, come me, Massimo Franciosa, Gillo Pontecorvo e tutti gli esuli del Babuino lasciando eremita Federico Fellini e Turcato e Bora Kosak. Via ce n'è tanti da ammazzare prima che perisca il Babuino.
Le novità sono queste: ho aggiunto quattro lunghi racconti che raddoppiano le pagine del volume; in più i miei amici pittori hanno voluto illustrare un racconto per affiancare la mia testimonianza sul Babuino con il loro consenso. Le illustrazioni sono, nell'ordine, Maccari, Frosecchi, Sughi, Dragutescu, Giuffra, Patrizia Patti, Anna Salvatore, Avenali, Franco Fortunato, Ugo Uva, Roberta Correnti, Agostino Raff, Benaglia, Delle Site, Èva Fischer, La Barbera, Vincenzo Schirippa, Porzano, Pandolfini, Razzi, Fefé, Masci. La copertina è di Aldo Pagliacci. I racconti aggiunti sono un ponte tra l'epoca degli Anni 50 agli anni 60. Poi la Dolce Vita ha trionfato sulla Bohème il vincitore Fellini si è arroccato sulle rovine del Babuino, imprigionandosi nell'eterno fascino di Via Margutta.
In questi giorni, escono inoltre, le tue poesie erotiche. Si tratta di una raccolta omogenea su tutto quanto hai scritto in versi su tale argomento o di un nuovo discorso a se stante?
Le mie poesie sono uscite fuori da contingenze sentimentali. Ho amato molto e sono stato amato abbastanza perché il flusso continuo delle passioni facesse fiorire questi versi dalla pianta spontanea del cuore. Non ho mai amato una donna nello stesso modo di un'altra, e anche loro sono diverse, di fisico e di comportamento: quindi le poesie hanno diversi toni, ritmi, colore. Gioia panico e ironia, malinconia e gratitudine sono gli ingredienti della ricetta lirica e la sostanza è la sincerità dei sentimenti, l'autenticità delle sensazioni, l'essenza dell'amore. Non sono solo a sperdermi nel labirinto di parole che cercano di definire questo sconfinato concetto di « amore ». L'unica traccia da seguire è la poesia, e forse avrai un chiarore nella vita.
Da Saffo a Baudeleire, da Catullo a Borges, da Re Salomone a De Musset e così via, i poeti che sono stati amati hanno sciolto questi enigmi-dilemmi sfogliando la margherita del proprio cuore. Mentre l'infelice Leopardi che non è mai stato amato, non è un poeta d'amore. Farneticava su uno sguardo, si faceva le seghe per un sorriso e quanto l'ambiente e i soldi glielo consentivano, andava in casino. Le mignotte di Roma e di Napoli non hanno corrisposto alla struggente voglia d'amore, gli hanno dato soltanto il corpo. In occasione del 150° anniversario della nascita del poeta di Recanati, in mezzo all'alluvione di biografie, commemorazioni, rievocazioni, conferenze che hanno vivificato il clima dell'anno letterario, io ho scritto uno strambotto-rimbrotto « a moyen d'age » ispirandomi a Marziale. Te lo consegno inedito perché è troppo tardi nel volume totale delle mie poesie erotiche che un altro editore, giovane e illuminato, Antonio Porta, sta stampando, nella sua « Janua » con il titolo: « 69 images par tous ».
INNO ALLA FICA
A Giacomo Leopardi
Amorfo e torpido pertugio
tra prezzolate carni
per faticata finzione del piacere
che pretendi, malfatto poeta
dall'alito fetido e duro di reni
da chi di cui non conosci il cognome?
Senti dal limo gracidar la rana;
son le parole che mormora amore
dall'alma tua rivolta a una puttana.
Eppure si può amare una puttana, purché anche lei ti ami. L'amore non è soltanto nelle parole. È negli occhi, nel sorriso, nelle parole, nella mano, nel rischio, nella speranza, nell'orgia, nel pensiero e magari anche nella menzogna. C'è più amore nel saluto lontano di una cartolina che in una spalloppata dichiarazione di profferte e di giuramenti, di minacce e di promesse e di blablabla sciorinate in un clima di libidine inesaudita. Se hai dei soldi puoi ricattare e corrompere un carattere fragile e comperi la menzogna, ma più della fica, non avrai mai l'amore. E, naturalmente, mai la Poesia.
Le illustrazioni sono di Mario Russo. Come ha visto, Mario il tuo erotismo epicureo-liberatorio?
Ho deciso che Mario Russo, tra i miei pittori amici che sanno disegnare, fosse il migliore per questi temi erotici perché più consono ai canoni estetici delle donne e degli accadimenti che metto in versi. Non perché gli altri siano scadenti e impotenti. Anzi, sono maledettamente scopatori. Se ci fosse un club delle mogli di pittori o qualsivoglia amanti o conviventi, avrebbe l'aspetto di una mandria di renne in trastumanza, per quanto corna agitate si portano sul capo. È un destino delle mogli dei pittori. Bene: da questo ipotetico club sarebbe esclusa Gianna, la moglie di Mario Russo. Non perché Mario è distratto o disinteressato o qualcosa di peggio. Il fatto è che Mario sfoga le sue libidini represse sulla carta da disegno e sulla tela e alla sera torna a casa e si dispera perché una modella come Gianna sua moglie non l'ha compiutamente realizzata in pittura, e allora ci fa l'amore, e ogni volta è un capolavoro. Ciò premesso, Mario Russo ha trovato questo « erotismo epicureo e liberatorio » nelle mie poesie e ha tirato fuori dall'archivio della memoria le « mie » donne, (non le sue perché Gianna ha distrutto il taccuino degli indirizzi del marito), ma ha rappresentato lo spirito delle « mie ». Puntualizzando che « io » sono un « loro » uomo tra tanti che hanno fissato una bandiera nel loro itinerario di vita. Tappe intersacate di campioni d'amore fino al traguardo finale. O vinci o arrivi secondo o arrivi in gruppo, se prima — saggiamente — non ti ritiri all'inizio di una salita che — ormai, mai più — ce la potrai fare.
Come critico d'arte, come ti senti di definire l'ambiente artistico di oggi, rispetto a trent'anni fa?
Sull'ambiente artistico di oggi rispetto a ieri ci sarebbe da scrivere un ponderoso volume e quando sarà stampato ci saranno i problemi di domani. Quindi mi rifiuto di liquidare con un calembour l'arte degli amici o degli artisti nemici.
Dammi dei soldi, (ma molti), e ti stenderò un saggio sui parametri dell'arte contemporanea. Anzi, risparmia i soldi e io la fatica, e non ne facciamo niente.
Che ne pensi di certo monopolio di critici-accademici come Menna o Bonito Oliva?
Ho sempre scritto e sostenuto che un certo tipo di critica copre calli di interessi di mercato. Non vorrei ripetermi a proposito della oscena sistemazione della Quadriennale e lo sfacciato, arrogante sistema di lanciare certi pittori e talune correnti. La libertà di esprimersi sconfina nella licenza di imporre un proprio regime e questo è possibile se si dispone di soldi. La massiccia operazione iniziata negli anni dell'immediato dopoguerra è stata finanziata dai fondi americani per fronteggiare la fioritura del « realismo socialista » che invadeva dall'Est sull'abbrivio delle conquiste proletarie. In questa strategia sono stati coinvolti talenti geniali affascinati dalla novità del linguaggio pittorico e figli di mignotta che hanno astutamente colto l'occasione per saltare sulla groppa del cavallo vincente. Chiaramente la seconda generazione annovera più figli di mignotta che talenti, il linguaggio pittorico si è arricchito di nuove novità fino a deformarsi a diventare incomprensibile, ambiguo, inutile. Ma l'affare va avanti, i mercati rigurgitano di astratto già vecchio, scontato, frusto. Nessun mercante riacquista un'opera che ha già venduto dieci anni prima. I malcauti collezionisti che avevano pagato opere che non capivano ma che l'autorità del critico gli ha imposto, oggi continuano appoggiare certi valori che l'inflazione dei talenti e degli « ismi » ha azzerato. La confusione tra i crolli repentini (nessuna galleria batte all'asta un « buco » di Fontana, i craclé di Burri, i cartoni pressati di Crippa ecc. ecc.) è l'insorgenza di scuole di moda, consigliano i clienti a investire su valori collaudati, se di accurata fattura e di chiara comprensione. Un amico mi ha proposto un cambio: per un piccolo Purificato offriva due Rotella, un Accardi del 52, un disegno incompiuto di Gastone Novelli e un cartone bombato che lui giurava che fosse opera di Tancredi ma era firmato nel retro Sebastiano Carta. S'è preso tante di quelle pernacchie che s'è convinto a pagarmi il Purificato in contanti e a pulire le pareti dove era appesa tutta quella porcheria.
Quali pittori italiani di oggi reputi tra i maggiori?
Mi piacciono molto quei pittori che sanno dipingere, non quelli che parlano di pittura. Non faccio nomi, rischio di dimenticarne qualcuno. Una selezione faziosa e parziale. Faccio il nome di uno che non mi piace; Annigoni.
In tema erotico, di cui sei un esperto, si parla di una certa liberalizzazione. Esiste davvero? Eppure molti articoli del codice Rocco, che nessuno ha il coraggio di riformare o sopprimere, sono rimasti gli stessi, a distanza di decenni.
I temi erotici sono sempre stati liberi, se uno ha il coraggio di trattarli. Ma se non hai questo coraggio, puoi anche bruciare il Codice Rocco ma sarai sempre prigioniero di pregiudizi moralistici. D'altra parte un pretendente alla Casa Bianca è stato costretto a rinunciare alla candidatura per una banale relazione con una modella mentre noi portiamo alla Camera l'allegra Cicciolina che, suona un fragoroso schiaffo alla morale cattolica. I cattolici sono quel che c'è di peggio nella società italiana. Le « persone per bene » hanno in eguai misura il bigottismo e l'impudenza. Bollano con l'improprio aggettivo « pornografo » uno scrittore che tratta l'eros, il sesso, la realtà dei sentimenti: ma se gratti l'intonaco della « persona per bene » che firma lettere indignate ai giornali « un padre di famiglia », scopri che è adultero e ricambiato in cognite corna della « madre di famiglia »; ricatta una ragazza povera e la corrompe pagandole il mantenimento; fa la spia nell'ambito del suo lavoro, è un calunniatore, un intrallazzatore, viscido e arrogante. Però si vanta d'essere « persona per bene ». Ha più peccati di quelli del Decalogo e si erge a difensore della morale cristiana. Questi mascalzoni fanno finta di non sapere che il cattolico è nato dopo secoli che hanno crocefisso Cristo, e sono stati loro a fare la spia.
Cosa stai scrivendo attualmente?
Niente. Leggo.
"Fortuna di notte", "Natale in casa d'appuntamento", "Più che donna", "Doppia morte al Governo Vecchio", altri tuoi libri da ricordare, oggi che posto occupano, secondo te, nella Storia della Letteratura contemporanea?
Non credo alla Storia. Ci sono dei punti di riferimento nel tempo. Ci sono nomi e opere che determinano uno stato animistico o temporale: omerico, boccaccesco, pirandelliano, kafkiano, saffica, sadomasochista, ed ancora verghiano, manzoniano, dannunziano, dantesco, machiavellico, gargantuelico, freudiano, donchisciottesco, balzacchiano, ecc. ecc. Io non credo che un certo tipo di letteratura — audace e melanconico, ironico e lirico — che si può definire nei mie libri può coniare un certo tipo di personaggio « morettiano ». Bah! Mi viene da ridere. E anche mi irrita. Personaggi come i miei sono a Dublino e a Pechino, a Roma e a Cantù. I miei personaggi sono individui, non le comparse di un coro, non le figure di fondo di un affresco. Anche la vecchia sbilenca che attraversa la strada è una protagonista. Quindi niente aggettivi, nessuna attribuzione. Vale nell'affermazione di Flaubert « Madame Bovary c'est moi » estesa a tutti i miei personaggi.
Quelli della critica ti hanno veramente capito ?
Non lo so. Non sono abbonato all'Eco della Stampa. Costa troppo il ritaglio che ti elenca tra gli ospiti d'una manifestazione mondana. Però il mio tributo di riconoscenza a quei critici che mi hanno apprezzato glielo debbo e voglio dare: per primo Geno Pampaloni che senza conoscermi ha scritto un pezzo da « pennino d'oro » su Vento Caldo e poi, da direttore della Vallecchi, mi ha pubblicato Natale in casa d'appuntamento. Poi Carlo Muscetta, lettore di Einaudi, che ha spedito il manoscritto di Vento Caldo a Torino. Sfortuna volle che il manoscritto fu intercettato da Natalia Ginzburg che lo respinse con motivazione « torinesi » che — se non fosse stata una donna e vedova di un martire della Resistenza — gliel'avrei fatta mangiare, senza burro e senza zucchero. Vento Caldo uscì un anno dopo, presso una casa editrice scamuffa e fantomatica (era la copertura fiscale degli Scalera) che pubblicavano libri che non si vendevano per aumentare il passivo della società. Comunque, per la forza dei bastardi, Vento Caldo prese il premio Viareggio opera prima e la tiratura si esaurì in due mesi. Fu ristampato dalla SucarCo undici anni dopo. Pavese, quando mi conobbe l'anno dopo, allibì a leggere la lettera che la Ginzburg aveva scritto a Muscetta. « Non lo sapevo » disse e mi regalò Il mestiere di vivere aggiungendo al titolo « ... da scrittore ».
Gli altri critici che mi apprezzano; Giuliano Manacorda, Carlo Salinari, Francesco Grisi, Walter Mauro, Antonello Trombadori, Domenico Porzio, Franco Matacotta, Pierfrancesco Listri, Pietro Cimatti, Diego Zandel ed altri che non ricordo all'impronta. Ma soprattutto i critici migliori sono i lettori, d'ogni età. I giovani mi danno fiducia che quello che ho scritto avrà presa nella loro memoria, i miei coetanei mi gratificano d'affetto. I vecchi critici per la loro natura generazionale tipo Paolo Milano o Carlo Bo, ancora purtroppo viventi e — grazie a Dio — i defunti tipo Goffredo Bellonci, Enrico Falqui, Arnaldo Bocelli, Emilio Cecchi, Gianbattista Vicari (aihimè, mi ha stroncato col silenzio per gelosia di una donna) erano offesi dalla mia intraprendenza, dai mie jattanti occhi azzurri, dal modo di scrivere, dal comportamento spudorato. La mia carriera di scrittore è stata irrimediabilmente minata dalla vita dell'uomo. Ma si nasce uomini e si diventa scrittori. E muore l'uomo ma non lo scrittore. Questo lo decreteranno i posteri e gli uffici-stampa degli Editori. E allora, che cazzo di domanda mi fai?
P.S. Caro Velio, ti ringrazio d'avermi messo a disposizione tanto spazio per tanti sfoghi che non avrei mai potuto estendere in altro luogo. Mi metto a mia volta a tua disposizione. Salvo restando le divergenze d'opinione. Per esempio: io amo Sughi e tu lo detesti. Cerchiamo di venire a un punto d'incontro? L'arte è pace, non rissa.
a cura di Velio Carratoni