Come mai uno scrittore come Elio Pecora si è accinto a tanta temeraria impresa di antologizzare i poeti del Novecento? Impresa che avrebbe fatto tremare i polsi a chiunque non abbia una vera conoscenza, filologica, di questo non ancora storicizzabile momento. Ci avevano già provato, fra gli altri, Spagnoletti, Sanguineti e Mengaldo, ma per queste tre antologie erano stati rilevanti e rilevate le esclusioni piuttosto che le inclusioni; in questa antologia invece Pecora, che è un poeta in proprio di grande sensibilità, ha fatto parlare, al contrario, più delle sue inclusioni riparatorie che delle esclusioni, vedi la presenza di Wilcock, la Guidacci, Ripellino e alcuni scrittori che passano come romanzieri, Volponi, Arbasino, la Morante e Bassani.
Questa raccolta si avvale, tra l'altro, di un sicuro criterio informativo, quello del «gusto». Un gusto che impronta sia la difficilissima scelta degli autori da presentare, sia la selezione obbligatoria delle singole opere, rappresentative appunto della poetica dell'autore, come pure indicative di una scelta, da parte del curatore, di gusto sicuro e sensibile. La Poesia italiana del Novecento riunisce così in una silloge ideale un'interpretazione precisa dei materiali e degli autori, rivela una conoscenza e una passione sempre guidate dal fermo giudizio di un gusto, appunto, che rende il libro omogeneo e gradevole allo stesso tempo. In un'epoca in cui si accumulano indiscriminatamente raccolte e selezioni dettate più dall'arbitrio delle amicizie o del potere, in questa nostra Repubblica delle Lettere in cui alla enormità schiacciante dei materiali pubblicati raramente corrisponde, in ambito di finezza critica e di disponibilità editoriale, un principio estetico capace di scernere una linea, un percorso rappresentativo, questa raccolta appare come un felice evento. Un percorso che qui viene condotto a buon fine, sia per la qualità del materiale poetico riprodotto, sia per le intenzioni compilatorie che corroborano le felicissime scelte di Elio Pecora.
Da Pascoli a Ungaretti, da Penna a Gatto, fino ai più recenti poeti, il gusto di Elio Pecora conduce il lettore attraverso il pelago pericoloso della letteratura con la cura delle selezioni e la omogeneità degli scritti, ci porta a leggere il libro tutto di un fiato, consentendoci di leggere e rileggere sempre volentieri, nonché di riscoprire vecchie amicizie. Dall'ermetismo ai poeti liguri, dall'avanguardia anni '60, ai manipolatori del linguaggio, a un certo classicismo di ritorno, fino alle voci più recenti, l'itinerario proposto è sempre all'altezza dei suoi presupposti critici; un libro che, non essendo mai banale, riesce a sfiorare con leggerezza anche autori già ampiamente noti e criticati.
Si sa quale è il rischio di queste operazioni: quello della facilità, quello del voler forzare un'amplissima possibilità di selezione (data dall'ipertrofia esplosa nelle case editrici in questi ultimi anni) senza riuscire a limitarne gli sviluppi all'interno di un orizzonte funzionale e agile allo stesso tempo. Elio Pecora è, al contrario, in un'operazione semplice e articolata allo stesso tempo, riuscito a declinare, in un contrappunto leggibile e interessante, le diverse voci, le diverse storie che si sono venute intrecciando sulla nostra ribalta letteraria dal principio del secolo.
Nomi più o meno conosciuti, più o meno affermati, senza prevenzione e senza preoccupazione ideologica, scorrono attraverso il volume come a formare un ideale coro di voci, ciascuna inconfondibile e autonoma. Il risultato è informativo, certo, ma anche dettato da un criterio sempre affettivamente compreso, preoccupato dalla delicatezza e dalla difficoltà che il compito di scegliere esige nelle persone sensibili e preparate. Questa Poesia italiana del Novecento si caratterizza quindi per la sua libertà di cernita, una libertà che è già, comunque, frutto di una chiara selezione a monte di ogni scelta. Una selezione che Elio Pecora compie sempre consapevole del fatto che scegliere è optare non per l'unica strada possibile, quanto piuttosto dare forma a un'interpretazione personale dei testi e delle persone che hanno fatto la nostra letteratura.
Un'interpretazione che, mentre dispone nell'ordine nomi e parola, si rende responsabile della loro presenza e della loro collocazione all'interno di una possibile lettura del materiale disponibile, sempre suscettibile, però, di altre interpretazioni. Di qui anche l'umiltà del curatore, il suo proporre un ordine arbitrario ma intensamente personale. Mancava, in questo tipo di pubblicazioni, un tono, un timbro come quello che Elio Pecora ha usato per sigiare in qualche modo la sua operazione critica. Mancava questo gusto della parola, un piacere d'ascolto profondo e personale, un porsi ogni volta con pazienza a cercare le note più riposte e adatte a intonare, nella globalità della raccolta, nei limiti imposti ma anche nelle ovvie libertà, un discorso il più possibile fluido e omogeneo delle pur diversissime voci che si sono alternate in Italia.
Senza contare quella intimità di tono, l'oscillazione tra il sogno e l'assenza, che sembrano più propriamente caratterizzare i singoli argomenti proposti come basso continuo dall'intera raccolta. Un gusto cioè per la lirica più personale, amorosa, quotidiana. Elio Pecora ha cioè dato libero giuoco a un'attitudine in qualche modo affettuosa e intimista, cosi che ogni poeta sembra offrire di sé piuttosto il lato del cuore. È una scelta. Una scelta precisa e che connota l'ambizione di questa Poesia italiana del Novecento a porsi come un testo di sentimenti, di emozioni nei quali molti nostri poeti si sono riconosciuti e anche noi, lettori, finiamo per riconoscerci. Una ricerca lirica, quindi. Una ricerca nel lirico che è in ogni poeta e in particolar modo nella produzione novecentesca italiana. Il gusto della lirica, il piacere del testo, direbbe Barthes, impone a Elio Pecora una sua personale mitologia letteraria, un museo di allusioni, citazioni, emozioni. E di questo si sentiva il bisogno.
Dario Bellezza