La poesia di Piperno ha il suo perno tematico nella contingenza temporale. Lo dimostra questa sua seconda raccolta (che segue i precedenti Frattali, editi da Manni nel 2001), di cui basta scorrere l'indice per riscontrare in tutta evidenza come i titoli dei singoli brani siano legati spesso all'occorrenza di una data o di un periodo, oppure di una parte del giorno, di un mese, di una stagione. Insomma, abbiano in grande misura un rapporto con il tempo. Tant'è vero che si apre con "Primo Gennaio" e si chiude con "Venticinque anni e più". Non solo: addentrandosi nella lettura, ci si trova facilmente in presenza nella puntualità del "qui" e dell' "ora" e ci si imbatte nella figura di Giano, dio dai due volti e nume tutelare del passaggio dal prima al poi. Per giunta, proprio nel titolo più importante, che è quello complessivo, "Al tempo stesso", Piperno allude a una istantaneità dell'accadere, quasi a voler dire che la poesia ha da farsi il più possibile contemporanea all'evento. L'evento, poi, è principalmente quello dell' "incontro" (termine-chiave, anch'esso disseminato nei testi e nei titoli), che è un istante affatto singolare e speciale. Ricordando l'ultimo Althusser, si potrebbe parlare di un "materialismo dell'incontro". La "presa" dell'incontro è l'unico fatto consistente e solido nella precarietà e caducità dello scorrimento cronologico. L'incontro è il punto in cui l'isolamento si rompe, l'"io" si apre al "tu" - col che la poesia assumerà una disposizione dialogica, sempre rivolta a un interlocutore concreto - e dove l'"io" e il "tu" diventano "noi", stanno "insieme" (ecco un altro termine-chiave, di frequente ripetuto). Anche il linguaggio, nella sua sostanza, viene a corrispondere al gesto unificante dell' "abbracciarsi".
Si delinea, così, un terreno esistenziale-individuale: e questo terreno, per la poesia di Piperno, è - lo ripeto - l'unico fondamento possibile. Ma è, al tempo stesso, la base di un discorso che si allarga. Sì, perché la coppia formata dall' "io" e dal "tu" concreti, dal "noi" duale, contiene una promessa utopica, la garanzia e la prefigurazione del fatto che gli esseri umani possono convivere. Per questa via, una poesia che, per sua natura, appare radicata nel presente (il tempo-ora dell'incontro), si trova proiettata verso il futuro, nel mentre il suo nocciolo eudemonista (dove l'eros si lega al cibo) si riempie di responsabilità etica ("per sentirci insieme / responsabili di quanto futuro / ci sarà ancora possibile"; e: "insieme / sempre / con il medesimo appassionato amore / al centro di questa umana convivenza"). Allargandosi, il "noi" duale diventa un "noi" collettivo, teso a comprendere l'intero genere umano, e questo proprio nell'epoca in cui la coscienza generale appare in crisi ("Corriamo per l'Universo / dove qualcuno si è perso"). Del resto, l'incontro tra due individui, come "miracolo laico", non può non fare i conti con un contesto quotidiano che crea continue difficoltà e disturbi. Il mondo-della-vita, l'unico in cui può esistere la felicità (e sappiamo bene che anche i ragionamenti e le esortazioni della politica e dell'etica non contano nulla se non convincono il mondo-della-vita), è sottoposto all'assedio delle anonime forze comunicative del "sistema" alienante e ne subisce l'invasione, l'oppressione, l'inquinamento. Fin dal momento iniziale del risveglio, la vita quotidiana è assorbita dai media ("e ti rifrangi nella voce / suadente dell'intermittenza / della radio che già ti allaccia") e sconta il moltiplicarsi delle occupazioni ("acceleri con le dita / lo sbigliettamento dell'agenda"), in una organizzazione sociale "globale" che, interessata solo al buon funzionamento dei suoi circuiti, non si preoccupa dei problemi creati alla psiche e al corpo viventi (alimentando così i "fumi fetidi" che - come inquietanti serpenti stritola tori - "s'attoreigliano alle gambe dei passanti"). È per questo che la poesia dei "pulviscoli" e dei "fiori" non può evitare di essere, al tempo stesso, poesia della polemica civile e dell'invettiva.
Ma, ritorniamo ancora per un momento proprio su quel titolo complessivo: "Al tempo stesso". Credo vi si possa vedere il significato ulteriore di una dedica. Il libro, cioè, è dedicato al tempo e alle sue diverse dimensioni. Ed infatti in queste diversamente si dirama. Sul piano esistenziale, la poesia dell'incontro è anche poesia del ricordo, quel momento in cui il passato è vissuto, in noi, come nuovamente contemporaneo. Sul piano interpersonale, la dimensione del tempo si dilata a dismisura, retrocede fino alla massima distanza dell'origine ("Ab initio"), si allunga nell'arco di una storia che e addirittura cosmogonia. Perché qualunque cosa, anche la più umile (anche il vasetto de "La marmellata"), ha una storia che è giusto ricordare e che rimanda agli intrecci della "trasmigrazione della vita". L'allegoria "naturale" di questa esorbitante ampiezza temporale è, in questa raccolta, il mare. Il mare rappresenta la profondità ineludibile di ciò che c'è da sempre. Ma esso è anche il luogo a rischio della degradazione ambientale e della alienazione quotidiana (che si delinea, nella sua dispersività futile e annoiata, proprio nel tempo vuoto della vacanza; vedi "Spiaggia di Fregene"). E come lo spazio del mare non se la passa bene, intasato com'è di merci e di coscienze distratte, neppure il tempo se la passa bene, alle nostre latitudini. Il tempo è "rotto"; noi, con le nostre prospettive, siamo "arenati"; il passaggio storico-dialettico custodito dalla figura di Ciano, invece di propendere verso l'euforia del cambiamento, trasmette un messaggio di preoccupante incertezza ("In questa epoca di trasformazione / anche tu non sai quale corso seguire").
Una poesia dedicata al tempo, dunque. Ma la poesia ha anche in se stessa il suo proprio tempo, che è il suo ritmo. Significativamente, in Piperno, l'elemento ritmico principale e più frequentemente praticato è l'anafora, la ripresa del segmento iniziale. Questo parallelismo è essenziale all'autore per scandire e articolare una materia poetica che, altrimenti, legata com'è all'accadimento, tenderebbe a una eccessiva "puntualità" e opinabile dispersione. Il tempo interno della ripetizione, allora, funziona massimamente proprio come rilancio e sottolineatura della partenza, dell'abbrivio, del punto di spinta; vale a dire dell'istante fondamentale del "sorgere" della parola dalle istanze molteplici del vissuto. Attraverso questa modalità di "ritorno", il testo assume - nella sua stessa organizzazione tecnica - la funzione dell' "addestramento al tempo", che è contenuta anche in molta della sua tematica ("Imparo ad aspettare", dice uno dei titoli parziali). Vicina all'esperienza concreta, la poesia di Piperno assume il linguaggio come forma di vitalità, residuale ma intransigente. Una carica dinamica che si svolge in diverse direzioni: è nella percezione dell'istante, che si coagula sulle singole occasioni; è nella relazione interpersonale che collega, riconosce e coinvolge l'altro-da-sé in uno scambio dialogico; è nella rielaborazio-ne e costruzione riflessiva che scava negli strati della storia e della contraddizione sociale; è al tempo stesso queste cose e altre. E su questo "insieme" di istanze poetiche individuali e collettive, va alla ricerca di una espressione il più possibile liberata dalla confusione e dalla finta semplicità dell'universo immaginario imperante. Fino a configurare la poesia come strumento di "umana convivenza".
Francesco Muzzioli