Entrando in una qualsiasi libreria ci si accorge di quanti testi sono stati scritti su Roma: quella segreta, quella conosciuta... Ma ce n'è uno che non ha precedenti. Si intitola "Sotto il cielo di Roma" (Fermenti Editrice, 150 euro). L'ha scritto Filippo Bettini, che alla Sapienza insegna Teoria della letteratura. Ma dietro c'è una vera e propria task force, un braccio destro (Roberto Piperno), università e associazioni culturali e ben 150 consulenti sparsi in tutto il mondo. Ci sono voluti sette anni di ricerche. Il libro verrà presentato dal sindaco Veltroni alle 17 in Campidoglio. La severità del sottotitolo, "Roma nella poesia del mondo da Licofrone alle Neoavanguardie degli anni '60", fa pensare che si rivolga a una platea di soli studiosi. Non è cosi. "Esiste su Roma - comincia Bettini - una quantità infinita di antologie ma non un thesaurus, il tesoretto che rimanda alla figura di Brunetto Latini; è un testo che raccoglie potenzialmente quanto è stato scritto nel campo poetico prescelto, la letteratura poetica di tutto il mondo e di tutti i tempi su Roma, da quando esiste Roma".
Le raccolte di poesie sulla Capitale prendono le mosse dal latino di Ennio, qui si parte cent'anni prima, dal IV secolo avanti Cristo, con un poeta della latinità in lingua greca, Licofrone appunto, fino agli anni '60, il Gruppo '47 e il Gruppo '63, l'ultimo momento storicizzabile. L'idea è naia durante la preparazione del Giubileo. Nei luoghi dei cantieri furono installate delle gigantografie poetiche che affiancavano i restauri, i versi si riferivano a quei luoghi. A mano a mano si disegnò l'ampio raggio di una ricerca organica e sistematica.
C'è la Roma dei popoli non romani che l'hanno vissuta e interiorizzata; la Roma degli italiani e dei romani. Ma l'aspetto più importante è che c'è una sola Roma dal punto di vista della funzione non solo di guida e di riferimento nella storia della cultura ma di assimilazione nell'immaginario collettivo, e cioè Roma come termine di richiamo e confronto della propria civiltà. Una città che più di ogni altra diventa un reagente della storia. Veltroni nell'introduzione ricorda che Roma è una Patria comune.
"Ha ripreso il Virgilio dell'Eneide sulla funzione che già la Roma pagana aveva avuto nella crescita degli altri popoli. E poi, se c'erano state altre civiltà, nessuna in realtà riuscì nell'impresa d'aver fatto di tutte le genti una sola città, un solo mondo. Penso all'osmosi di lingue e culture diverse, un progetto che già perseguiva lucidamente l'imperatore Adriano".
Nelle altre antologie, Roma è limitata quasi sempre a un'immagine pittorica, visiva. E certo Roma è anche come appare, nell'emozione che suscita a uno sguardo vergine. Qui accanto al paesaggio e al fascino della sua presenza c'è la dimensione culturale e storica nel corso dei secoli, la grandezza, la crisi, le fasi di passaggio.
Ma cosa troviamo nella prima testimonianza su Roma, quella di Licofrone? "Sembra quasi un preveggente, in un periodo in cui la città non è ancora una potenza militare, lui ne predice il futuro destino". Le sorprese sono tante: i poeti islandesi del XII secolo ("si dice che Roma sia lunga 4 miglia e ampia 2..."); il Corano sul passaggio dello scettro dall'impero romano alla civiltà islamica; gli inediti del poeta romanesco del 1300 Lorenzo Chiera sulla gente comune di Trastevere, tra osterie e prostitute; Goldoni per una volta non commediografo ma poeta, e il titolo del poemetto "La visita delle sette chiese" è entrato nel lessico comune; il poema in versi che Pirandello dedicò al Tevere; le lettere di Freud e le sue "passeggiate" alla maniera di Stendhal. Ci sono autori mai apparsi prima, romeni, polacchi, albanesi, maltesi. E poi lo sconosciuto Ianus Vitalis i cui versi del '500 ("Tu che di giro in giro per Roma Roma cerchi, novello forestiero, e in Roma di Roma nulla in giro tu trovi...") furono ripresi per tre secoli da più autori, e di quale stoffa, tra cui Ezra Pound ("In Roma cerchi Roma, o pellegrino, e proprio in Roma Roma non ritrovi"). Non può mancare il Belli, ma benché lui ne sia estraneo, se una griglia c'è stata è la rigida selezione d'ordine estetico. Insomma ci sono poche concessioni al folclorismo e al vernacolo.
Valerio Cappelli