"il brivido | di questo suolo | per sempre | non mio || non c'è
| un abbraccio ; che oltrepassi | quest'esilio": non è che un
esempio del dolore dell'esilio, prosciugato e struggente, illacrimato e
pungente, incolpevole e però accaduto, sdipanato nelle poesie di
Ana Maria Andrino Botaelho. Dalla prima all'ultima linea la
constatazione della lontananza forzata, avvenuta, non colmabile o non
più colmabile, non lascia spazio tra il sé, anche quello
della poesia, e il perduto e l'impossibile del presente: il luogo che
''si legge | nei | libri || e | non | esiste" è luogo del canto
e della distanza raccorciata, così come è luogo di un
presente e di un futuro in negazione.
Fuggita per costrizione di guerra dal suo Mozambico, l'autrice si
rifugia a Lisbona, poi a Roma, poi a Ginevra con le sue radici e le
radici di una terra che esiste ora, dopo essere diventata il suo "sogno
ossessionato | dolore infantile". Queste radici, tuttavia, "in agonia i
di luce", non mettono dimora: un po' come accade alle rose del deseno
che ruzzolano a ogni vento in altro spazio serbando in sé,
così Cechov nel racconto in Italia conosciuto come Ruzzolacampi,
la nostalgia della prima terra.
Allora i versi (che potrebbero ricordare i moduli de L'Allegria
ungarettiana, ma che si situano in realtà in una dimensione per
nulla astratta e non ermetizzante) diventano gocce distillate, sillabe
scandite e parole sincopate per significare un cuore che scruta ogni
sua piega dentro il lasciato e l'abbandonato e dentro il viaggio senza
ritorno, dentro gli appostamenti, provvisori sempre, di contro a una
identità segnata con il sempre.
La poesia di Ana Maria Andrino Botelho si affida e si situa tra i due
segmenti del sempre posti l'uno al limite dell'altro. Sono segmenti
irriducibili e inconciliabili e però ormai fissati
nell'esistenza e nel consapevole scorrere di uno spazio-tempo
rintracciabile tra un niente-tutto (il prima) e un tutto-niente (il
dopo). Vive - scrive Gualtiero De Santi, in una "Prefazione" che
è lettura critica e contestuale insieme - in una sorta di
vertigine supponendo "la dispersione ma anche la ricerca del senso e
dell'identità, lo smarrimento e l'anni-chilimento del proprio
corpo e della mente, ma anche lo spingersi sino a un limite della
soglia di coscienza, dove la memoria distenebrata nei meandri delle
sensazioni e delle nostalgie ritrovi infine la profondità delle
cose nel loro stato incondito."
Maria Lenti