Mario Lunetta, poeta iconòfagodi Aldo MastropasquaNella inesauribile vena poetica lunettiana questo Doppio fantasma, ultimo ma non ultimo dei suoi titoli più legati al vedere, al senso della vista (citando a memoria mi vengono in mente Autoritratto con acrostici del 1987 e Panopticon, del 1990) raccoglie una estesa produzione di testi poetici dedicati ad artisti, editi e inediti, testimonianza di una diuturna frequentazione di studi, ateliers, gallerie, loft e quant'altro dove l'attività artistica ferve, progetta e si materializza nelle forme più varie e spesso inusuali. Sottopelle il poeta Mario Lunetta, romanziere, teorico e critico della letteratura, nasconde una seconda natura, di artista e di critico d'arte. Convinto assertore - da giovanile veterano dell'avanguardia — della ineluttabile fertilità di ogni ibridazione possibile tra linguaggi artistici che puntino alla sperimentazione e alla ricerca, Lunetta da prova di come si possa - ad un tempo - scrivere testi di grande raffinatezza letteraria ed insieme esercitare un'azione critica militante anche su un versante certo più complesso e stratificato come quello dell'arte contemporanea. Nei testi di questa raccolta, la scrittura poetica non pretende di sostituirsi all'immagine nella rappresentazione del reale, né tantomeno di farsi doppio dell'opera in absentia dell'immagine, ma di fornire poeticamente una chiave critica di interpreta-zione dell'artista e delle sue elaborazioni. Si tratta alcune volte di fulminee e sinteti-che definizioni (come - per Baruchello - "i disegni a tranello / del tuo universo micron / illimitato, ingovernabile / come una pulce innamorata"), in altri casi di splendidi equivalenti poetici di un'opera o di una serie (è il caso di Del grumo, dedicato a Cosimo Budetta). Altre volte ancora il verso di Lunetta coglie un aspetto saliente della poetica dell'artista (come in Nodo scorsoio, dedicato a Ernesto Lombardo, dove il paesaggio siciliano - dolce e cruento insieme - viene rivisitato en poète, con gli occhi dell'artista: "le fontane di pietra si nutrono di miele e sangue, il ricciolo / barocco somiglia a un nodo scorsoio"). C'è da osservare un crescendo di sempre maggiore complessità assunta dai testi più recenti, per la più parte inediti - dove Lunetta sembra ormai approdato a forme poetiche di densità saggistica assai nuove e originali - nella cui genesi il rapporto con l'artista e con il suo lavoro, profondamente penetrato, sembra essere stato determinante (è il caso di Nessun dorma, costruita come un esercizio critico di grande finezza e suggestione direi visionaria, sulle opere di Cloti Ricciardi: "non si vede sonno, o riposo che sia, in queste resine marine, in questi / acciai che sono sistemi di ossa raggelate in un cerchio di gesso, spazio / destituito di colpo del suo senso, percepito come effimero / irrimediabile, traccia svanita del pianeta"). La fascinazione che subisce il poeta e il critico da parte del lavoro artistico è dovuta - almeno per quanto riguarda Lunetta - sì a un'affinità epidermica e a un comune sentire la sperimentazione e l'innovazione linguistica come preziosa risorsa condivisa (ed è evidente come oggi vi sia molta più audacia e disponibilità al rischio in arte che in letteratura), ma anche molto, a mio avviso, a quel di più di tattile, di materico, di pluridimensionale che il lavoro artistico, sempre a contatto con la materia, garantisce rispetto all'immaterialità del linguaggio verbale, che deve vestirsi del flatus vocis interpretativo, riscoprendo così antiche e consolidate consuetudini di teatralità performativa, per non continuare a giacere estenuato sulla pagina, in attesa di una individuale e silenziosa lettura mentale. E si veda in proposito l'attacco di Aniconico, plastico, plurale - il cui dedicatario è Sinisca -: "Contaminarsi nell'ossimoro grazie all'acrilico, al ferro, all'inox, al perspex: / in purezza d'immagine, nettezza di scultura, dentro la distanza (astrale, o quasi) / di un punto di vista affermativo & devastante, insieme". La sfida di Lunetta è quella di incrementare anche nel proprio linguaggio poetico - che già ne è ricco di suo - il grado di matericità, di rapporto semantico e fonosimbolico con le sostanze materiali più impensate e allotrie alla tradizione, che l'artista contemporaneo utilizza e piega ad assecondare la propria progettualità. Materialità del segno artistico e materialità di quello poetico che cooperano entrambe - e in concomitanza - a denunziare il degrado fisico e insieme culturale che nel nostro tempo corrompe i luoghi, urbani ed extraurbani, oltre che - e non è certo il minor danno -le menti: "in questa città triturata, reperto di polistirolo / anche lei, polistirolo e resine, pioggia, mestruo, sangue, seguendo / senza costrutto le tracce dell'oggetto assente, dietro la città scomparsa..." (Lo stato delle cose "per Maria Luisa Ricciuti"). È ancora un'altra stazione - questa dai colori lividi e dal disegno inquietante di Doppio fantasma - del feroce e impervio percorso intrapreso dalla lunettiana "scrittura dell'orrore". |