II respiro del tempo è un poema in assoluto lirico,
visionario, d'una lucidità rastremante, solenne come un crinale
montuoso, incessante come un paesaggio marino. Vi si svolge una poetica
dell'armonia universale, predisponendo pensiero e immagine alla
condizione solidale di minuziosi assertori di emozioni. Il nunc stans
del testo consiste in una duplicità di intendimento: adeguare i
versi alle ragionevoli leggi dell'esistenza, intraprendere una rivolta
metafisica che spezzi la misura del conforme e liberi la hybris della
passione.
Carmelo Percipalle idoleggia il movimento cosmico, perché
avverte la corrotta imperfezione del mondo, a cui oppone il supremo
diletto della poesia, il suo esempio attento che privilegia ancora
l'archeologia dei sentimenti.
Le ricorrenti parole d'amore, edificate in tempio ("Solo un
vento,/leggero/il suono delle nostre anime"), congegnano di scoprire un
varco nel trascendente, rievocano la grazia attraverso il processo
mediato della descrizione ("Di una danza leggera/su di te/vedrò
adagiarsi i pensieri"), mostrano le fuggevolezze, le illusioni , gli
incanti della contemplazione amorosa, secondo lo spettacolo del
desiderio. Segue la ricerca eraclitea dei contrasti con la quale
l'Autore s'ingegna a ri-velare le cose come sono, rovesciando il
còte romantico nella carnalità dei sensi, dove dissonanze
e trivialità confermano che ogni realtà si risolve sempre
nel suo opposto, e che non vedere, indugiare nell'accorgersi, indulge
alla bolsa chincaglieria del moralismo ("... Teneri Amanti sui
percorsi/delle terre e fiori sbocciati sulle pattumiere astrali e
Tu/calda mano protesa sui miei genitali con innocente passione").
La perifrasi amorosa vale come atout per cambiare la vita (Rimbaud) e
attenuare le differenze con l'Altro, riconosciuto nella coscienza
profonda del suo essere: l'antistoria delle relazioni umane raccoglie
il grido disperato di tutte le generazioni soverchiate dalla politica
ingannevole, che continua a gettare guerre imperialistiche ai piedi
dell'inferno quotidiano. Il tema del bene e del male rimanda al tema
dell'innocenza originaria, imprescindibile per un Autore che si
disponga a formulare un'ipotesi escatologica di felicità per
sé e per gli altri ("E le stagioni riversano i loro odori e le
loro/speranze/sulle generazioni umane./La bambina tibetana dona il
suo/Cuore/alle vestali del mondo e inonda/di tenui e fragranti/speranze
le nostre fresche e dorate/albe").
Il respiro del tempo porta sulla pagina il tumulto storico e sociale
del postmoderno, qualificando il narcisismo cosmetico (e tutta la sua
sequela di degradazione) come la iattura di un'epoca decaduta e
sentimentalistica, che arroga all'individuo solitario, satollo di
sé, l'esserci heideggeriano, dissolvendo nell'inutilità
ogni idea di ordine generale, qualsivoglia questione inerisca ai
tributi della collettività. Lo scadimento della comunità
(gemeinshaft) in società (gesellshaft), lo stabilirsi di vincoli
puramente formali, esteriori, esclusivamente giuridici, allontana le
persone dallo stupore, dalla meraviglia ("Ed ho visto sbriciolarsi il
muro di fatale rassegnazione/eretto da burocrati il cui sedere era
ricolmo di pensieri").
Di fronte a tale dispersione esistenziale, II respiro del tempo si
aggruma intorno a un io poetante di forte valenza lirico-simbolica:
l'unità poietica e concettuale avversa le potenze del vuoto e
del nulla sempre in agguato in una struttura economico-produttiva che
ha imposto la polidimensionalità virtuale sull'arcaica
univocità della coscienza ("E divieni parte della fragranza
della natura che ti/compenetra e ti esalta./Inizi il tuo viaggio
e,/ancora fremente e intrisa di rugiadose essenze, /contempli la tua
meta,/il luogo ritrovato/dove tutto è luce, calma e armonia").
La poesia è avvertita da Carmelo Percipalle come luogo sacro ("E
il ritorno del tuo Divino Ardore/permea ogni parte del mio corpo"),
dove poter reperire ogni tipo di espressione senza sforzo: si va dal
recupero dannunziano ("Inebriandoci di ogni virgulto") alla
sonorizzazione beat ("Ho versato lacrime e feci e sperma"), che si
ricollega a Mexico City Blues (1959) di Jack Kerouac. Compare nel
Respiro del tempo la stessa carica spirituale, la medesima chiave
immaginativa per altri mondi, per sfuggire al soffocamento
dell'individuo nella ragnatela consumistico-distruttiva della
contemporaneità.
Modulati come improvvisazioni jazzistiche ("Oltre paradisi di
cascate/nella valle di gemme splendenti/in un antico oceano
rubi-neggiante/terreno di splendore sconosciuti"), i Chorus di Kerouac
prolungano la loro scia dialettica nei frammenti del testo qui
esaminato ("E tu veste splendente sui fiori del Giardino delle
Delizie/e tu risuonante sinfonia sul mio/Corpo Eterno").
Si ritrovano in Carmelo Percipalle la fluidità zen ("Svolazzanti
buddha/nelle ariose/notti di primavera"), i deliri visivi accompagnati
dal sovrapporsi frenetico di immagini ("E quali piazze si
svolgono/davanti a noi pregne di cervelli/infranti delle masse umane
che, sanguinolente e lacere,/si fissano nei nostri cuori?"), il
conversare amoroso di evocazione non solo italiana, mi riferisco in
particolare alle accensioni universalistiche della poesia di Paul
Eluard.
L'approdo di questa poesia è difficile, perché le
risposte vengono cercate secondo una personale ansia religiosa che in tutti i casi è arduo condurre a una spiegazione definitiva.
In alcuni passi del libro sembra che le improvvise apparizioni mistiche
("L'angelico figlio dell'uomo") e le deliberate, anticulturali
impoeticità ("Sgranocchi le nocche") vogliano raggelare i
frantumi della testualità solita e dell'accademismo pedante; in
altri l'autore rifluisce verso un'estetica più controllata e
tradizionale, per sostenere l'attualità e la forza comunicativa
della poesia ("Gli occhi/del/mondo/brillano/incastonati/nella
tua/anima").
Non è un caso che Il respiro del tempo si apra con Nota a Urlo,
l'incipit strafamoso di Ginsberg ("Ho visto le menti migliori della mia
generazione"), rivitalizzato da una scrittura che conosce il respiro
lungo di Whitman, come le divaricazioni cielo-terra fra ennui e idéal
di Baudelaire.
La filiazione diretta da questi autori allude, credo, alla stessa
irreparabile perdita di umanità, che gli scrittori americani
della beat generation, compresi Corso, Ferlinghetti, O'Hara, Orlovsky,
chiamavano tenderness.
Per questo le nuove Colonne d'Ercole sono divenute Corruzione e
Crudeltà: il loro superamento concerne la possibilità
stessa che si possa parlare di una rigenerazione spirituale dell'uomo
("Il mio pensiero si inabissa/nel vortice del tramonto,/in attesa di
una nuova ebbrezza,/di una nuova alba/di una nuova rinascita").
Opera per definizione antisolipsistica, Il respiro del tempo notomizza
il vissuto per isolare e rendere incandescente l'energia che muove da
una transazione all'altra della voce; si registra al riguardo una
tendenza essenzialmente a parte objecti, perché valuta
l'indissolubile legame del soggetto scrivente con l'esterno, fisico e
immateriale, oltre che la partecipazione al modo di essere di tutti gli
altri esistenti. Tale chiarezza di contenuto si riverbera nel lavoro
prosodico di natura accentuativa, fondato su una libertà
compositiva che trasforma a volte drammaticamente, a volte con ironia
il dictum in fictio.
La dimensione stilistica del libro è nell'essere costantemente
fuori-misura: se si riscrive l'haiku, si abbandona la canonica terzina,
scandita da quinario-settenario-quinario, per debordare p. e. in una
quartina composta da un quinario e un settenario per sinale-fe, da un
senario e un novenario di chiusura ("Cena eccessiva/primo troppo
abbondante./Il pianto si estingue/sulle montagne della luna"). Oppure
si rielabora la canzone a ballo di ascendenza medievale, ma la si
incupisce in un tragico espressionismo appena mitigato dalla
soteriologia amorosa, dipanata lungo una sola strofa di versi ipometri
e ipermetri, più attenti al battere ritmico che alla melodia
fine a se stessa ("Si fa smagliante/sfolgorante/presenza./E i tuoi
teneri bagliori/si infrangono nelle mie mani").
L'essere stilisticamente fuori misura è determinato dalla
necessità di dirigere la percezione del reale al di là
del consueto, del banale e omologo senso comune: riesplode il mito di
Edipo che si acceca perché il suo sguardo sia esaustivo e nessun
aspetto, anche il più doloroso (l'incesto con Giocasta), sfugga,
o venga oniricamente rimosso.
Il respiro del tempo fissa filoni lirici assimilabili a una tradizione
letteraria riconoscibile, contemporaneamente tenta una nuova
calibratura del rapporto poesia-mondo: la riuscita di un simile
tentativo è il vaglio che si sottopone alla passione dei lettori
Donato Di Stasi