SOLA, MA AL SICURO
da Fermenti, n. 4-5, Anno XI, Aprile-Maggio 1981
.. « ho mistificato, ho sofferto, ho sostituito ai falsi valori
altri falsi miti... ora sono sola ma al sicuro... ».
...dopo dieci anni di lotte, di guai, di tenerezze ci stiamo dividendo
le foto, i piatti, i telegrammi di nozze senza risentimenti... non so
perché... non per mancanza di amore... ci stiamo forse salutando
perché inconciliabili le mie ambizioni letterarie e le tue
escursioni in campagna... ».
o ... ho capito che la mia bontà spesso era solo una
impossibilità di amarmi, io non ero mio ma tuo, di mia madre, di
mio padre e di tante altre occasionali persone... ».
Una certa rivolta con la morale sessuale conservatrice, iniziata in
Italia, seppure sotterraneamente intorno gli anni '60, l'aver scoperto
le regole di unioni e di matrimoni coattivi basati sul presupposto
della schiavitù sessuale e economica della donna, ha creato una
coscienza diffusa di vita nuova, e nella coppia tradizionalmente intesa
e nei rapporti interpersonali. Non è facile capire quando e come
ci siamo trovati diversi perché i momenti di rottura con i
vecchi modelli sono stati via via assorbiti in modo personale, a
seconda dell'educazione, del grado di politicizzazione di ognuno, non
ultimo il passaggio emozionale da abitudini che ci volevano chiusi
nelle nostre case-famiglie, a un ambito di vita collettiva e di
risposta diretta ai continui colpi inflitti da una classe politica di
don rodrighi. Le lotte comuni per una società socialista prima,
il separatismo delle donne dopo, ha fatto maturare posizioni più
critiche e riflessive che la solita stampa di regime monopolizzatrice
dei nostri messaggi, ha chiamato di riflusso, di decadente ripiegamento
su vecchi valori. A questo proposito vorrei dire molto incisivamente
che le nostre lotte, che tutti i tentativi di questi anni, di
accoppiarci in modo non coatto ma liberamente al di fuori e al di sopra
di schemi e famiglie, ci ha portato a una consapevolezza di rapporti,
qualitativamente diversi: pieni, non superficiali ma di stima e di
rispetto, indipendentemente da qualsiasi scelta personale di ordine
morale.
« Per molti secoli noi donne non abbiamo avuto un'anima » e
probabilmente gli uomini ne avevano una fittizia e padronale, se noi
ora l'abbiamo « conquistata », loro ne hanno una più
ricettiva e più autocritica.
Ad esempio l'aver imparato a superare, negare e riaccettare l'idea del
possesso ci fa capire che amare non è possesso ma che può
anche esserlo considerando anche le regole imposte da una
società basata sullo scambio, sul baratto di ogni genere, sulla
proprietà privata e sull'accumulo di oggetti utili e inutili.
Vivere diversamente in un tale bombardamento di falsi obiettivi, ha
significato e significa pagare prezzi psichici e materiali; così
stritolati fra una realtà carica di contrasti e un desiderio
impellente di purezza, di dare precedenza alla vita di dentro, quella
di emozioni, d'istinto e di creatività dove la sincerità
viene spesso pagata con la separazione.
Personalmente, ho vissuto quotidianamente un rapporto di coppia per
diversi anni, un'unione ricca ma per certi aspetti drammatica e
contraddittoria con una buona dose di sado-masochismo reciproco. Ora
ripensando ai vari momenti di questa storia, capisco i limiti di molti
comportamenti spesso inconsci dettati da un tipo di educazione
traballante e ipocrita che genera insicurezza e fragilità nella
donna e aggressività e spirito di sopraffazione negli uomini. Ho
constatato la difficoltà di realizzarmi esternamente e in intima
armonia, quindi la fatica di conquistarmi spazio e rispetto. Le tare
ideologiche di sistemi familiari consunti e definiti, portano al
deteriorarsi di situazioni potenzialmente dense di amore e di
significati. Cercare nessi e cercare di razionalizzare sempre con
facili sociologismi è anche un errore perché i meccanismi
messi in moto in tali contesti divenuti poi di noia e di assuefazione,
sono sotterranei, dettati da sbagliati retaggi infantili e da
proiezioni materne e paterne. Non credo, siamo in grado, in questo
momento, di sostituire modelli e sistemi « alternativi »,
possiamo solo vivere e riconoscere un'ambiguità e una
lacerazione che é sopratutto storica e culturale.
E' constatare l'impotenza, l'imperfezione, il balbettìo di un
dialogo difficile e contraddittorio.
Aver ritrovato la nostra identità certamente non vuol dire
sapere a che punto siamo nella lotta verso una vita più equa e
pregnante.
Giovanna Sicari
da TU COMPOSTO
da Fermenti, Anno IX, Ottobre-Dicembre 1979
Mi hanno interrotto la fiaba
e sei arrivato tu pieno di palme inespresse
e io (bimba felice) ho danzato i miei stridori.
Per cosa prego se ancora respiro
in pentagrammi di notte:
diroccato è a tratti il tuo breve disegno.
Inconsistente voglia di te
nel mio posto caldo
finemente inconsuete le tue manine di avorio
sul mio petto adolescente ancora
di pelle evasiva e irrequieta
ma così ti voglio verso me inconsistente.
Penzolare di uomini
educati a non avere niente
e tu invece assetato di bocche indecenti:
noi, prime stelle
di ogni contraria innocenza
dei modi ancora irredenti
con pudore ci saremo confidati anche questo.
Deve essere senz'altro durevole
per dire tu pieno e solenne saluto
e perfetto perdonarsi in riti d'iniziazione
per sola dimensione privata,
nello specchio resinoso
l'intima foresta dei tuoi occhi
crudeli persine nelle pieghe
con me e con altre innumerevoli gote
percorse, irriverenti.
lo non capisco gli anni innocenti
a linee tortuose,
e loro neanche sanno
perché è soltanto mia
la storia di derive e soprusi
fino a donare a te
e per te intatta.
Ma quanto aspettare
così vicini a palmi stretti,
da fatina vestita
un po' strana la mia nicchia
in questa stagione ambigua
destinata a un certo dio apollineo.
Ma sì, doveva essere durevole
questa natalità innominabile
senza ritorni e fughe: un viaggio primitivo e primi
giorni.
Tu composto
ai fili della mia prima infanzia
di giacinti e giacigli nutrito
al latte del silenzio
contrapposto per strade remote
hai diviso da me la porta aperta
e hai dormito con l'angustia dei miei giochi:
occhi grigi come se li avessi
come di attenti ricci e palpebre di uccello
come di mandorle carnose
anche quelle portate dagli zingari
alla casa prenatale,
di unghie e vetri
anche loro nutriti di affetti
e tu più stanco con più premura mi hai fiutate
e io non più sull'unione di Raffaello
ma di foglie amaranto
ti ho aspettato fino all'indifferenza.
Se il giorno d'inverno viennese
nella mia camera solare
che tu in piedi porterai i sensi
e saprai di effetto
e io seduta su letti minori
non avrò passato il sonno
e sarò sinuosa in te
di parole e saranno tante
e si specchieranno in una alleanza
di lingue frattanto
riposi corali
e fuori sospesa ogni età futura
e dentro la meraviglia di immagini e contenente
in svariate ambascerie e militare abbandono.
lo piccola attratta da scordare
appartamenti fuori bordo;
ambivalenza dirò
e sarà poetamare intrepido e animale,
d'inverno fra cuscini non futili
amicizia e fraterno
di spose un po' maritate a uomini stanchi
e amore in poltrone di strade e caselli.
Per languente affinità di vicende
così la camera calda gremita
per uomini un po' femminili
assorbiti da altro cammino
differente, premiato per questo.
Ora non ho voglia di voi
e l'uomo dalle mani magre
mi guarda il taglio delle labbra
con confusione ci mettiamo la lingua in bocca
con pallore ci streghiamo
e facciamo finta di niente:
meglio le promesse al mio nudo
meglio la tua intonazione di adolescente
i discorsi e il mio naso arcuato e sensuale.
Giovanna Sicari