Superrealisticallegoricamente

di Nadia Cavalera

Introduzione di Donato Di Stasi

La vita è l'unico foglio di carta di ciò che si dice e dei fatti di cui si parla. Sul recto e sul verso del foglio Nadia Cavalera (poliartista verbovisiva) prende ancora una volta la parola, non per soddisfare la ritualità accidentale del solito libro di poesia e svaporare dentro tonnellate di altre chiacchiere, ma per assumere la logica della libertà espressiva come spazio di partecipazione e salutare contravveleno alle melliflue consolazioni, alle mistificanti evasioni commercializzate dall'industria culturale. Lacerata la carne delle parole, Nadia Cavalera consegna al lettore la personale creazione di un monologo esteriore collettivo: monologo per il carattere individuale della voce locutrice; esteriore perché mantiene un tono costante a voce dispiegata, declamante (specie nei testi degli ultimi anni); collettivo perché scardina la realtà volgare, il realismo normativo, sanzionatorio dell'élite per inerpicarsi verso l'essenziale ontologico, verso l'Altro (preciserebbe Adriano Spatola), secondo i tratti dell'ecolalia (ripetizione variata di sillabe e suoni) e della fabulazione (creazione di un oggetto-mondo mediante la parola): "pertanto questa vita gratuita gita svoluta ch'avvita cingola stritola in gola sfrigola non è sogno: qualcosa ch'agogno" (Vita).
Voce grammaticata, ornatissima, passa e ripassa dentro la cronaca di tutti i giorni, contrastando la ragion di stato retorica: la chiusura nel poetese, nella generica e agiografica sudditanza al sublime elegiaco, incapace di tramutarsi in riflessione e di evitare le trappole della reificazione.
Nadia Cavalera, ovvero la coscienza di scrivere in profondità: produttrice di impalcature testuali lungo sequenze ininterrotte e libertarie di parole, alla ricerca di un senso più soddisfacente di quello censurato del presente.
Se i suoi coevi estetizzanti tentano di redimere metafisicamente il mondo, lei antimetafisica par excellence, non scevra di amara ironia, si incaparbisce a redimere la società ("e basta co' sta boiata botta nata referendata della Costituzione antiquata quando è vergine d'usura conclamata: da long-temps in innumeri fleurs decretizi violentata", Supplemento solidale, in parte).
Con imperiosi scatti di linguaggio, con umore adirato, con acribia l'Autrice conduce il lettore di fronte a un'apparente operazione déjà vu (Group Sixty Three et epigoni vari), per constatare invece come rimarginano le ferite dell'immaginazione, quando si accende l'opera di un'intelligenza così fantasiosa, oltre che altamente corrosiva ("è utopia d'entropia comunanza totalvirtuale nella moltiplicazione individuale da astrazione cyberspaziale", Il teatro delle merci).
Rifuggendo da svenevoli stuccature liriche, il libro qui sottoposto al vaglio ermeneutico, Superrealisticallegoricamente, sostanzia un rigoroso lavorìo sul linguaggio, in quanto facoltà di enunciare (attitudine cognitivo-comunicativa) e discorso storico-naturale: con il suo vasto affresco allegorico, tracciato in termini superrealistici, Nadia Cavalera intende attirare l'attenzione non solo sull'assai criticabile stato di cose della nostra ignominiosa repubblica, ma anche sul linguaggio come evento in sé (inserimento di senso nell'incompresa casualità esistenziale).
La peculiarità di questi testi, che slargano dalle Imprespressioni del 1970 ai 2 haiku dell'agosto 2005, si ravvisa nel loro incedere performativo, nell'agire attraverso le parole, occorrendo di frequente delocutivi, ossia termini non derivati dal contenuto semantico di un sintagma nominale, ma dall'atto stesso di proferire, di enunciare ("il n'y a pas bon olezzi / per o mer ter di pappo / solo fetidi piezzi trezzi", 6 haiku).
In quanto onnipotenti tiranni, contro i segni si incastona la prima grafia della libertà: Nadia Cavalera si fa trovare pronta a rimescolare codici, ricodificare regole, sdrammatizzare schemi; nel profluvio di fonemi, grafemi, semantemi (interpuntati, duopuntati, messi tra parentesi) vale l'idea di un linguaggio che si deforma nel suo farsi duttile camaleonte ("...200 miliardari in dollari (: 100 milioni senza casa) mca dolal'x matoca cromar niney sodas theke garelli wuppt", W l'economia bonificata).
Nella loro attività di discorso queste versificazioni non possono essere pensate in silenzio, nel dialogo della coscienza con se stessa, vanno teatralizzate per seguire le tracce sonore del pensiero, pur sottolineando che l'emissione materiale dei suoni non offusca la sapienza sintattica e l'architettura semantica; la prevalente prestazione fonologica non cade nell'autoreferenzialità, sterile e tautologica (il vizio irrisolto degli accoliti della vecchia avanguardia ! ), al contrario struttura reperti sociali autentici fino alla radice, fino a toccare le nervature del dolore collettivo e del disagio esistenziale ("Finché i tiranni rimarranno in sella lisciati coccolati tutelati risparmiati e ai remi galere il popolo la sua storia buco nero", Collaterali errori intelligenti).
Mai pleonastico o ridondante (ci sono tutti i suoni che occorrono, chioserebbe Mozart), Superrealisticallegoricamente distrugge i modi di dire mille volte ripetuti nella comunicazione fatica quotidiana, allorquando attraverso strutture a catalogo ("Luce luma leader lob luna lazo love lata loca", L'area di Broca) pretende di restituire un orizzonte credibile per fronteggiare i pericoli, le incertezze, gli sperdimenti del presente ("Venga un neoilluminismo a squarciare le tenebre di pseudointellettuali camarillosi, in degenerazione briosi!", Pensées in libertà vigilata).
L'opera qui interrogata viene cadenzata sulla contrazione ("lymisofns busteral") e sull'espansione (" parole...mutaffamate") della significazione, associando episodi di memoria, invettive, repliche alle sconcezze del potere, incubi della modernità, materiale intellettuale in forma di saggio: in aperta forma anaforica non più imbrigliata nell'abusato psicologismo, Nadia Cavalera rivela la sua seducente intelligenza nel porre in giusto rapporto l'atto e la potenza della scrittura, spareggiando le certezze statiche, conformistiche, in favore di una flottante mozione verso il futuro, affrontato in convinto soliloquio per azzerare l'horror vacui, come dire che nella terra di nessuno del tempo a venire, in presenza della parola sconosciuta (il verbum incognitum di agostiniana memoria), il sentimento perseguito non è la paura, quanto l'amoroso desiderio di sapere e di sapere con gli altri.
Si configura in altri termini una brillante operazione intellettuale di classificazione e definizione delle costruzioni mitiche attuali, tecnologicamente sviluppate, per scalzarne le fondamenta e agire contro l'arbitrarietà del simbolico, rispondente unicamente a canoni stereotipati, all'imposizione di convenzioni omologanti e consumistiche: si tratta di comprendere che l'alienazione, propria degli insiemi sociologicamente significanti, si può apprendere solo dall'interno del suo funzionamento, attraverso enunciati contrassegnati dal feroce disincanto e dal rigoroso j'accuse: "...hanno trovato Emanuele ai piedi di una torre per lampante automicidio" (Emanuele).
Sotto l'inchiostro della scrittura molte voci parlano oltre le barriere spaziali: l'io poetante sa fare intravedere dentro di sé una pluralità di persone, la dignità di tutte le esperienze di vita, intrecciando il codice alto, curiale, e il sermo humilis ("tira lo sfintere della festiva giacca la placca perciò l'album delle foto di famiglia è qua e là strappato mal'incollato sbiadito di vissuto patito s'impiglia l'altro in giusta giustizia non mi rende la pariglia", Io sono Io).
Nadia Cavalera prende la parola per mettere a distanza l'oggetto mondo, spezzando il cerchio dei simulacri coercitivi e rivitalizzando l'immaginario individuale, onde procedere a ipotizzare l'avvenire senza soverchie angosce, le stesse che invece attanagliano le corrive vicende empiriche della contemporaneità (guerre preventive, globalizzazione della povertà, tirannidi varie).
Ne deriva che la poesia può ancora varcare in exteriore homine la soglia dell'autocoscienza, seppure in modo malsicuro e claudicante, dati i tempi, ma rimane la sua visione perspicua e la carica salvifica: e poi la poesia resta poesia se vi si può impacchettare la vita, compresa di femminismo, della morte della sorella Adriana, dell'insegnamento a Modena, della riflessione sugli scempi politici sotto gli occhi di tutti; nella poesia si contano le pagine per derivarne libri, si calcolano le prese di posizione per non lasciare briciole agli scarafaggi del nulla.
Se poi la scrittura riesce irrispettosa, vale la pena di lanciare lo sguardo nel labirinto, nei marosi della palude sociale, per questo non sorprendono gli strani incontri di parole, i richiami allitteranti, l'incedere ritmico-ansimante, perché al culmine dimostrativo (non emotivo) Nadia Cavalera si strappa di dosso la parola fascinosa per associare filosofia e teoria scientifica, mescidate a insistenze sulla (ri)fondazione del futuro, pur se serpeggia lo smacco che giustizia e liberà rimarranno sempre petizioni di principio.
Se Nadia Cavaliera reclama per è l'apparire, il phainesthai, on è per brilluccicare nel firmamento delle vanità, ma per esporre la sua voce al grido di protesta contro le malversazioni della Storia, per esporre i suoi occhi e quelli dei lettori all'inconfondibiel, inappariscente sfondo della verità.

Donato Di Stasi