Scritto in punta d'intelligenza, spendendosi l'Autrice a cavare sentimenti e idee mai di maniera, tranne un leggero surplus di intellettualismo, Iperpoema assume le fattezze di un'opera tripartita nella struttura (materiali psicologici, didascalico-filoso-fici e onirici), monodica nell'essenza (tentativo di porre fine all'esilio dalla coscienza e dalla realtà). Con un originale mélange di osservazioni scientifiche e impennate mitiche Maria Teresa Ciammaruconi cerca nella scrittura un'energia nuova, capace di andare a pungolare il nervo dell'enigma esistenziale.
Se la contemporaneità galleggia in un sopravvalutato,
interminabile presente (il tempo-spazio della Palude Globale), la
letteratura può impegnarsi ancora nella dis-articolazionc
espressiva per rintracciare laceri i di senso?
Sembra di sì, se Maria Teresa Ciammaruconi non teme di viaggiare
in una oscura logosfera con la sua vocazione antidogmatica, curiosa per
i variegati linguaggi circolanti, aliena dal mero vagheggiamento lirico
(il fardello crepuscolare-ermetico di una tradizione alta, ma consunta
e inattuale), disposta a rischiare le incognite di un contatto vivo e
permanente con la materia sonora, avendo rinunciato alla gratificazione
immediata del verso a effetto.
Iperpoema si configura come un canone polifonico a tre voci (43
Frammenti, 12 Ipotesi, 12 Sogni), diverse per stile e attrezzeria
concettuale, ma solidali nella configurazione di un labirinto
minuzioso, pitagorico, dove applicarsi a tendere il filo che congiunge
cose e luoghi altrimenti alteri e fuggevoli ("Tengo strette le
radici/che legano le caviglie/e mi lasciano sospesa//non mi
appartiene.../il nulla", Frammento II). Il riconoscimento della
complessità del reale comporta la pulsione biologica onnivora a
fagocitare linguaggi, stili e poetiche allo scopo di comporre un'opera
che prova a salvare e a salvarsi, moltiplicando postulazioni e gangli
emotivi (il termine opera inteso come plurale del latino opus).
Iperpoema si palesa come un'allegoria di se stesso, determinando con la
sua componente immaginativa l'individuazione dei varchi di
comprensione, la saldatura dei rapporti io-mondo, la rivitalizzazione
della parola Storia ("nell'ovatta delle nebulose/fragilità
millenaria/per dare nomi antichi al bianco/e umani/ a quelle isole
universo", Nona Ipotesi). Ripristinare le condizioni frantumate della
comunicazione interpersonale non è possibile se non in presenza
di una forma-progetto, alla quale il lettore può partecipare
attivamente, essendo chiamato a dialogare con il farsi della scrittura
e non a subire supinamente il fatto poetico ("l'ordine di un
endecasillabo/da forma al vento/che passando tra la vita e le
cose/lascia alle foglie/il compito di ricominciare", Frammento XXXI).
Questo spiega perché l'Autrice si muova coraggiosamente fra la
struttura aprioristica dell'atto creativo e il suo correlato
intenzionale, la comunicazione d'esperienza, utilizzando reperti
archetipici (il frammento filosofico di Anassimandro risalente al VI
sec. a.C.), moduli scientifici (cellule, corpuscoli, nuclei "di materia
posseduta", molecole), indicazioni emble-matiche raccolte da
un'interiorità intricata e magmatica, poi sviluppate sulla
pagina secondo scansioni rapide (la lama radente del disagio, le
accensioni emotive, l'angoscia di non arrivare a capire).
Come non si possono immobilizzare i dati corporei-percettivi,
perché bisogna riconoscerne la frequenza, il movimento, la
durata, così il gesto estetico aziona la mitopoiesi, derivandone
una poesia quantitativa, fortemente ritmica, recitata coram populo a
dispetto della distanza incommensurabile che separa oggi produzione
letteraria e letteratura. Se il cachinno carbonaro ammannito a pochi
adepti non serve più a nessuno, Iperpoema con la sua moderna e
intrigante struttura a mosaico (dalle viscere dei sentimenti agli
sconfinati spazi astrali), prova a intercettare i gusti del pubblico,
altrimenti dispersi in innumerevoli surrogati dell'arte e della
letteratura ("mentre intorno la folla s'infiamma e confonde", Il sogno
di Paola). Maria Teresa Ciammaruconi getta lontano il gheriglio di una
ricerca inesausta, dittologicamentc divisa tra Caso e Necessità,
ontologicamente evocata come un'essenza più profonda della
semplice apparenza sensibile: i microcosmi dell'io e i macrocosmi
siderali esigono la multiformità che si attaglia ai momenti di
veglia e agli stati onirici con velature surreali e indicazioni
concretissime ("il tormento dell'illimite/ha succhiato per sempre la
promessa di foreste/e il verde che doveva raccogliere la sua
stanchezza/si è perso nell'inconsistere che ondeggia
fuori/mentre quello che un giorno era il suo corpo/è diventato
coagulo di spinte in guerra", Il sogno di Anna).
Con Iperpoema si riabilita il desiderio di una riconciliazione con il
cosmo ("voglio ancora dire le stelle", Frammento XXX), si riacquista la
dimensione creaturale che riavvicina il Sé alle fibre
dell'universo, senza che ciò prenda il gusto muffito di uno
spiritualismo obsoleto, né la disposizione donchisciottesca a
voler travalicare a tutti i costi l'orizzonte sensibile, piuttosto si
manifesta una passione metafisica che non esclude la carnalità,
limitandosi a indicare come si possa essere accanto alle cose e dentro
la natura, non solo contro di esse ("il battito solo un poco
visibile/ci stringe attorno all'asse", Sesta Ipotesi). Iperpoema
confina a suo modo con la Gaia Scienza di Nietzsche per la medesima
arte di modellare il mondo secondo le pulsioni vitali autentiche
dell'individuo, per la stessa provocazione dell'ordine normativo
attraverso l'immaginazione ("e rivendico fragilità di donna/di
uomo destinati allo scandalo", Frammento V).
In senso retorico il macchinario testuale ordito da Maria Teresa
Ciammaruconi tende alla massima evidenza realistica e al contempo alla
deformazione come contrapposizione alla uniforme piattezza imperante;
più consapevole si dimostra un simile progetto, più ferma
diviene la volontà di sperimentare codici e linguaggi dissimili.
Si assiste a una feconda contaminazione di registri,
dall'arcaicità mitica al barocco felice, all'espressionismo
gioioso e straziato: pluritestualità volutamente irrisolta,
sottesa a una trama fonetica che esplode in accensioni verbali
improvvise per dare esca ai tamburi eschilei che reclamano un esito
diverso per la vicenda terrena e materiale ("lo sa solo lei del sangue
versato e dei ritorni/poveri più della partenza sa la tristezza
dell'infedele che per sempre la tiene con sé", Il sogno di
Teresa).
Tagliente come il rasoio di Ockam, duttile come l'impasto
Sanguineti-Savinio, la lingua di Iperpoema si fa raziocinante,
saggistica, viscerale, ora rastremata, ora elaborata, a tratti
straniante, a tratti perfettamente aderente agli oggetti nominati,
così da lasciare nella mente echi, tracce, sinopie di una
realtà outre nella quale si vorrebbe disperatamente abitare.
Seppure in alcuni momenti le asperità concettuali soffochino la
potenza del canto, Iperpoema è un tentativo stimolante di
superare le secche della poesia epigonica odierna: l'inchiostro della
sua scrittura può apparire nient'altro che una pozzanghera al
lettore distratto, ma anche così rimane una sfida riuscita alla
vita, al mondo, alla bellezza.
Donato Di Stasi