«Allor' le staggitine nen venivene / l'una arreta all'atra. Echete na mmatina / fiurett' i bancospin'e le fratte se / smuivene de serpe. Curreva alla pinet' / e in mezzo al rio ce steve na poca d'acqua / fredda cumma i marme de le chiese» (Allora le stagioni non venivano / l'una dietro l'altra. Eccoti una mattina / fioriti i biancospini e le fratte si / muovevano di serpi. Correvo alla pineta / e in mezzo al rio ci stava un poco d'acqua / fredda come il marmo della chiesa») (pagg. 44-45).
Da questi semplici versi ci si rende conto che l'atmosfera è quella naturale della campagna, nello specifico di quella abruzzese.
Sono poesie del ricordo e della memoria, con le quali Renzo Paris spiega i moti e le situazioni della sua infanzia, con i suoni e le creature: il grano, gli uccellini, la bicicletta, i prati, le corse dei ragazzi, le piante, i giochi, gli scherzi. E un brulicare di immagini del passato che l'autore coglie con la semplicità del dialetto e le lega lungo un cammino che lo accompagna fino al presente. La raccolta - vincitrice del Premio nazionale di poesia 'Anna Borra' 2002 - non a caso ha il sottotitolo di Poesie etniche, perché, tra Celano, Avezzano e Ovindoli, ci conduce nella specificità degli usi e dei costumi abruzzesi, tra particolari e aneddoti che diventano veri racconti popolari.
Il verso lungo di Paris aiuta il lettore a seguire questo andamento di racconto e di folclore popolare, di umanità di gruppo: «Me beveve nu cucucciglio / ke me stireva e m'addormiv '/ tutta la jurnata / mamme e prateme currivene / a Fucine all'alba e ce remanevene / fino a notte, povre anime» («Bevevo un decotto di papavero / che mi rilassava e mi faceva / dormire per giorni / così i miei andavano a Fucino / a guadagnarsi qualche giornata / quando erano diventati poveri») (pagg. 60-61).
Le poesie di Paris sono ironiche e personali. L'autore racconta e si racconta e lega il suo passato a quello di rutta la sua terra natale.
G. B.