Leggo le poesie di Gianluca Di Stefano, intitolate I segreti del silenzio subito dopo l’ora del mio seminario di Letteratura francese all’Università di Viterbo. Il seminario riguarda Michel Houellebecq che da noi è noto soprattutto come romanziere e invece è anche un ottimo poeta e saggista. Houellebecq nei suoi versi ritorna a Charles Baudelaire e il set delle sue poesie è la metropoli parigina, molto simile alle altre metropoli della Terra. Anche I segreti del silenzio sono ambientati in una metropoli, una Milano stressata e stressante, zeppa di gente che beve “solo brut / sfrecciando su auto-jet / .. / pensando al mondo come un set / e navigando sullo yacht ed internet.”
Come nelle poesie di Houellebecq, anche qui l’io è ansioso, nervoso, pronto a giudizi sferzanti, anche se la depressione e con essa l’odio per la vita non sopraggiunge. Di Stefano è un poeta neo-espressionista fuori tempo massimo. Usa parole da scapigliatura milanese anche con le sue donne, con le quali ha sempre un atteggiamento aggressivo, graffiante. “Vorrei lacerarti / o ridurti a fanfaluca / dopo aver visto arderti / d’una fiamma caduca. // Ma poi un grammo / di disperazione / una goccia / di contrizione / ed ecco poche dimesse / parole, quasi promesse. /Ma non sono mai soddisfatto.” Qui però la donna è la poesia stessa. Altrove il poeta si definisce “bislacco” e canta: “Vorrei non avere più cuore / allora vivrei tranquillo; / ma ho sete, significa che sono vivo.”
Leggo volentieri i versi di poeti fuori dal giro. Sono preso soprattutto dall’uomo che c’è dietro. Vi è l’uomo? si chiedeva De Sanctis. E qui c’è un uomo che vive nella nostra contemporaneità, pieno di risentimenti, di nevrosi, di voglia di lacerare il tessuto stesso delle parole, un uomo che tituba dinanzi al senso, che cerca nei segreti del silenzio una ricompensa alla vita spasmodica della sua città.
Vuole che qualcuno lo avverta se per caso la sua vita assomiglia a quella degli idioti che è costretto a incontrare.
La poesia più bella mi è sembrata quella intitolata “Di nuovo, una sera come tante” dove dice: “Di nuovo qui, rincasato / una sera come tante, incapace / di soldi ed un po’ provato / Tanto più che il telefono tace.” Il poeta si siede davanti alla tele come un automa, con niente da leggere, da bere, fa lo zapping. E’ sorpreso dell’immaginarsi seduto in quella posizione come milioni di altri esseri umani, in “scomode posizioni” prima di addormentarsi.
Ecco la solitudine del poeta nella metropoli. Egli fa parte del gregge globale, si appisola, ma è come se volesse resistere. In nome di che cosa ?Come mai siamo finiti tutti davanti alla tele ? Sono domande che Houellebecq verseggia dopo aver letto i filosofi del pessimismo cosmico, dopo aver scritto di uno scrittore come Lovecraft, dopo aver compreso che è stato scippato della sua infanzia, della sua adolescenza, senza più desideri, in un mondo adulto, che è soltanto morte contro morte.
Rileggo le frasi di un autore come Thomas Mann che Di Stefano stampa come introduzione ai suoi versi. “Io sono un minatore nel pozzo dell’anima” scrive l’autore del Doctor Faustus “e scendo zitto e senza tema giù nel buio // e non più bramo risalire alla felicità.”
In quel pozzo buio ci sono per Mann i cani arrabbiati del suo istinto.
Renzo Paris