A tutti coloro che, seppur brevemente, si sono accostati ai temi e ai modi del dibattito culturale degli ultimi decenni del secolo che ci siamo lasciati ormai alle spalle, non può essere sconosciuto il nome di Alberto Scarponi. Dalle riviste del marxismo critico che accompagnarono il lungo, travagliato, percorso degli anni settanta all'organizzazione sindacale degli intellettuali che si riconoscevano nella creatività letteraria salvaguardata dalla precarietà economica e culturale negli ultimi trentanni del novecento. E ancora. L'organizzazione di discussioni sui temi centrali dell'ideologia e della cultura italiana ed europea nella seconda metà del xx secolo, la capacità di individuare i motivi portanti sia della complessa problematica di un marxismo vissuto sempre più in funzione di un accrescimento della coscienza critica individuale, sia di quella cultura occidentale che aveva rigettato il marxismo ma che pure non si sentiva estranea alle grandi prospettive libertarie disattese e tradite dalle vicende del "socialismo reale". Scarponi è stato un testimone attento, non disposto a farsi ingannare né da irrealistiche utopie, né da rassicuranti pentimenti. Ma c'è da dire che l'aver attraversato questa lunga, complessa, drammatica, durissima fase storica ha affinato in lui l'attenzione e l'analisi per quella dimensione estetica della realtà che gli appare oggi irrinunciabile, tanto più dopo la caduta del comunismo dei regimi, tanto più dopo le guerre di religione, tanto più dopo il terrorismo globale.
Seguendo da decenni le vicende letterarie, mi sono imbattuto in personaggi, progetti, scommesse culturali di ogni tipo, ma debbo dire che l'approccio di Alberto Scarponi alla letteratura (da cui nasce quest'opera prima, tardiva ma, spero, inaugurante una lunga serie di testi) è un processo che colpisce per densità e, come dire, per determinazione. Dunque, Scarponi compone il libro del suo esordio letterario a partire, non dall'abbandono della "militanza" più tradizionale, ma da un suo approfondimento, a partire dalla necessità di conoscere il mondo e di riflettere sulle dinamiche più nascoste dell'esistenza: e sulle "parole per dirle", tanto per citare un universo di discorso - e un ambito culturale
- sicuramente caro a Scarponi.
Da questo insieme di motivi, come si vedrà, emerge - con una semplicità di disegno che e anche perentorietà e determinatezza
- una pagina che pare capace di caricarsi dei significati più com
plessi, rivelando insieme alla consapevolezza letteraria l'entusia
smo di chi ha ancora voglia, nonostante tutto, di conoscere il
mondo e di capire come sia possibile viverci meglio. In questa
prospettiva, l'universo di Scarponi è un universo in cui si muo
vono alcuni dei personaggi più tipici della nostra cultura moder
na e postmoderna, tra crollo degli ideali, esplosione dei consumi,
smarrimento di identità, analisi dei casi clinici dominanti. Ma,
prima ancora che con la tipologia puntualmente ritratta di que
sta fin-de-race tardonovecentesca, c'è da fare i conti, per quest'o
pera prima, con la peculiare costruzione formale del testo.
Scarponi, che, per cultura e per tradizione, guarda più al Lukács
del realismo che alla tradizione dei formalisti - sebbene si tratti
di un Lukács rivisitato con in mente la lezione linguistica delle
avanguardie (il lavoro strutturante o destrutturante del linguag
gio, la sua funzione attiva nel formularsi della coscienza, la sua
realtà ancipite, soggettivo-oggettiva) - organizza un impianto di
scrittura ricco ed estremamente mosso, al di sotto dell'apparente
neutralità - medietà - del tono.
Dietro al titolo ambiguamente sospeso tra suggestioni di sensi diversi, all'insegna di una precarietà della scrittura ideologicamente enfatizzata, nell'indice troviamo una serie di titoli che vanno a disegnare come una mappa o una serie di tappe di un percorso di luoghi, voci, personaggi di una realtà plurale e polivoca. Se si leggono in sequenza - Affari, America, Amici, Amore, Appuntamenti, Attualità, Autostrada, Caffè, Campagna... - si ha la sensazione di essere dinanzi ad un regesto epocale, un elenco dei luoghi comuni della cultura del quotidiano di una modernità che ha perduto ogni possibilità di attingere alla totalità. Voglio dire: in un'epoca marcata dal globalismo, la conoscenza del mondo va registrata nella parcellizzazione degli incontri, delle esperienze, degli eventi e della memoria di tutto ciò. Insomma Scarponi sembra muovere da una idea ben precisa, ancorché non proprio facile da accettare: non è più possibile raccontare il mondo, a evitare la disperazione non basta più, raccontare, per modificarlo, il mondo umano come totalità. Occorre invece o si può solo registrarne le voci frammentarie, i tic, le variazioni di registro: diventa una approssimazione parziale pensare ad edifìci complessi in cui racchiudere il senso forte, definitivo di destini e linguaggi. Insomma il significato che il giovane Lukács vedeva nel romanzo novecentesco, la sua capacità di tracciare un disegno complessivo degli eventi e dei destini, al di là della perdita di totalità, della "morte di Dio" che segna la cultura moderna, sembra, anch'esso - il significato del romanzo - oggi perduto (definitivamente?).
È da questa realtà osservata con sguardo fermo e ciglio asciutto - anzi con una capacità di sorridere di sé e del mondo che non può non far pensare all'altra grande lezione lukácsiana, quella dell'ironia come conoscenza critica della realtà - che Scarponi comincia ad inanellare ritratti e aneddoti, grotteschi e metafore, diari intimi e dialoghi tra realtà e metafìsica. I registri in azione sono i più vari, le voci che ascoltiamo spesso contrastanti, ma è proprio dall'assemblaggio di materiali linguistici tanto diversi che emerge la dimensione di una pluralità irriducibile del reale, della vita, che appare come l'ultimo orizzonte che la scrittura può impegnarsi a registrare e a descrivere.
Il siparietto brechtiano che apre la successione dei capitoli - dettato di una semplicità didascalica: «"Si fa per dire" disse il mentitore/ .../ "per dire" disse "uno altrimenti muore"» - mette in scena la condizione di radicale precarietà della parola nel quotidiano mondo alienato. Si continua con figure (forse, come diceva Roland Barthes, a proposito dei suoi fragments, da intendersi come figure ginniche, esercizi di posizioni assunte dalla lingua o dal racconto) che fissano un carattere o un modo di essere della soggettività. Ad esempio: Affari: ""Sarebbe tuo interesse se", ha gli occhi luminosi, "potessi concordare. " Silenzio d'attesa. Allora deliziosamente parla: "Prudentia maxima audacia, si dice". (Chi dice?)...".
Oppure: Campagna: "La vecchia accanto al finestrino, così nera e chiusa, sa di monacale. Da qui il suo profilo transita sul fondale fuggevole (il variabile paesaggio tosco-umbro dilà del riquadro metallico, oltre il vetro) e sta, istoriato piccolo masso antico, sempiterno...". O ancora certi manieristici intarsi sul senso delle singole parole: Contro: "All'alba, qui alla finestra, io sono contro la specie umana come inesistenza dell'uomo / All'alba, qui alla finestra, io sono contro la specie umana come inesistenza/ All'alba, qui alla finestra, io sono contro la specie... ". Tante voci diverse, tanti registri dissonanti per costruire un tessuto vocale assolutamente armonico, duttilissimo, capace di reggere i racconti più diversi: da certe tumultuose prove di flusso narrativo, che scorre raccogliendo i materiali alluvionali di un dire senza fieni; a certe pagine scandite invece su una costruzione ragionata, prudente ricognizione sulla singola parola e sulla sua specifica carica significante. Ed e in questa peculiare costruzione della pagina, insieme spontanea e calibratissima, piana e pienamente consapevole della propria portata letteraria e ideologica, che vive la ricerca di Scarponi di un rinnovato ruolo dello scrittore, libero da schematismi e rivolto a riconsiderare, con la saggezza tranquilla della disillusione, gli scopi possibili della letteratura: un modo di porla nel mondo senza forzarne i modi e le possibilità di parlare della realtà.
Solo al termine di questo frastagliato, appassionato e insieme disilluso, viaggio nel racconto del quotidiano, comprendiamo a pieno la saggezza gnomica - umile ma insieme ferrea nella convinzione a continuare - contenuta nel titolo: "Si fa per dire" come unico modo possibile di raccontare il mondo, ma insieme ineliminabile chiave di sopravvivenza.
Giorgio Patrizi