Presentazione
di Gualtiero
De Santi
a "Zuccheri e veleni" di Antonella
Timpano
L'autrice dei versi riuniti in questo libro - il suo primo - pensa alla poesia alla stregua di una situazione correlativa alla vita. Da ciò si potrebbe far discendere una concezione della stessa poesia quale dotazione indispensabile e necessaria all'esperienza di tutti i giorni: qualcosa che aliti e s'accenda all'interno delle cose, dentro la natura, dentro il nostro animo, e che d'improvviso e per incanto poi esploda al di fuori.
In questo senso la scrittura poetica pur piena e determinata nel senso delle proprie motivazioni non ricerca nessun assoluto nè tanto-meno si elabora e neppure si inquisisce sugli universali. Ma se assolutezza ed universalità si ritrovano nei luoghi dove elettivamente si manifestano le nostre impressioni - dove anche si sono compiute le esperienze dell'autrice - se le immagini che rimbalzano nella nostra fantasia e poi da questa si sbalestrano arditamente sulla chiarità del foglio dentro il quale scrivere; insomma se il sogno lirico allenta e vince — o comunque trascende — la nostra soggettività trasportandola dentro il flusso delle emozioni, le nostre individuali e private, e dentro il flusso delle suggestioni che promanano dal reale che ci attornia e che noi per parte nostra invadiamo: allora è vero che il composito sentimento dal quale il poetico si ritrova animato e mosso, si ricompone nella nostra loquela e ugualmente in quella della natura e, estensivamente, del mondo.
In una tale prospczione la vita esteriore e palesata - persine marcata e individualizzata con vicende e nomi come interviene in queste liriche - vale corrispondentemente la vita intima. Del resto è la precisione della prima a guidarci verso la seconda. Siamo anche noi creatori del destino, argomenta l'autrice forte di un proprio carattere positivo aperto appunto all'esistenza. Il pensiero allora, se affiancato da un suo tremulo di emozioni, fa nascere da un istante all'altro qualcosa: un suono e un movimento che corrono e vagano leggieri; parole scendenti in un momento sulle cose all'intorno, sparse e diffuse in attesa che vengano raccolte da voci a loro modo
ordinate e composite, da parole comunicative accolte in un organismo. Architettate all'interno di una raccolta di versi, all'interno di un libro che non voglia celebrare la letteratura ma all'opposto la vita.
C'è ovviamente della semplicità e persino della temerarietà in una simile concezione (che è tuttavolta un'emozione, un sentimento, persino un presagio). Pure essa sa aggirare ogni pietrificazione della vita e ogni sua tentata riduzione. Per il resto i contenuti semantici, per diretti che possano apparire, si congiungono a una qualche intensa pragmatica di enunciati, di raccordi stilistici: cernibili ad es. in specifiche varianti di un verseggiare breve e libero che potrebbe ricordare la sillabazione ermetista (per dire di un richiamo che agisce latamente) e che è in tal senso rafforzato da stilemi quale l'assenza dell'articolo, a segno di conferire forza al nome dal quale le cose e la natura appaiono designate.
Anche l'impiego della rima è tutto sommato contenuto (d'altronde si è in presenza di poesie che ricercano la corrispondenza con le cose e persino la contemporaneità, l'atto del dire o meglio del sentire prima ancora di ogni sua rubricazione: "A word is dead / when it is said", talquale recita e sentenzia l'amata voce di Emily Dickinson). Ma quando la rima è presente, sa funzionare con bell'agio e con una sua destrezza: "Bruma, / l'aria è di talco / e il sole / profuma / trasparente / dai colli" (II mattino).
Ma è comunque ben evidente che l'espressione libera e immediata ignora e perciò macina ogni macchinazione astratta o verbale (o meglio ancora verbalistica) e ogni eventuale e incidentale tornitura di specie stilistica. Quel che qui, in questi versi, conta e preme, è esprimere la propria condizione fantastica. Con una tale precisione d'intenti, rimane tanto più evidente (se non sempre più persuasiva) la forza di germinazione delle immagini. Sia che ribattano sulla descrizione e sulla restituzione di un'esperienza (lo sguardo fulgente di un paesaggio, una vacanza, la lucente cristallizzazione di volti amati desiderati e anche perduti), sia che esse si elaborino sugli sfagli della memoria oppure sui ricordi e sulle loro riverberazioni; sia finalmente che si accingano e si dispongano alla costruzione di compendiose concrezioni espressive ottenute per via metaforica e, nei casi migliori, per congiunzioni sinestetiche, tenute libere sopra il
gancio di una figura, di un breve verso, sullo scatto di una parola che riesca a impennarsi e a crescere quasi espressionisticamente dalla linearità del discorso e dell'esposizione.
Rileva da queste composizioni e dal loro intramato disegno l'immediata visibilità dei bozzetti e dei quadri pittorici. Il che forse equivale a dire che esse poi si stampano in finestrate e vibrazioni di colori e luci, accese nella loro autonomia ma pur sempre riconduci-bili alla dimensione intcriore. L'interazione speculare quando è viva agisce allora sul dinamismo del racconto lirico e, in certi speciali casi, sulla spiritualizzazione di una realtà costantemente traguardata con l'occhio del desiderio e sempre trasfigurata, e tuttavia rispettata nella sua concretezza, nel suo darsi dentro l'esperienza individuale.
Il paesaggio inferiore, o interiorizzato allorquando si compone in una dimensione di poetica, cioè di concezione del mondo e al tempo stesso della poesia, è sempre un paesaggio definito (si veda Ancona profilata in un volto femminile e nel contorno definito delle colline sulle quali s'innalza: "I seni rotondi, / vestiti di bosco, / il ventre rigonfio, / di vite nascoste / le gambe distese, / frontiere di coste", così in Nuovi paesaggi). A sua volta il risveglio alla luce, che è anche l'approdo alla coscienza o meglio ancora all'ebbrezza poetica, è sempre risveglio in un percorso concreto e riconoscibile. Durante un viaggio in terre lontane, in abbandoni alla natura e al sapore dei sensi ricordati per l'appunto nei versi e destinati alla rapida e però viva memorabtlità di parole assediate dall'ansia e dalla mendacità.
Il fatto è che l'autrice di queste pagine — pur affidandosi a una personale loquela, alle trascorrenze della propria individualità - si dibatte nella felicità di una rete fitta di segnali che sopraggiungono dalla natura. Onde quelle sue parole nate da fatti concreti ma vive in una elisione della realtà, in una sua riduzione a vantaggio del sogno. Volta a volta abbraccianti la natura nel tentativo di armonizzarne voci e forme: allo scopo infine di arrestare e contenere il tempo della deperibilità e dell'invano. Inarcanti le differenze di luce sopra le tracce esigue di parole spalmate e depositate nella crosta del mondo, che è come dire dell'esperienza e della nostra sensibilità.
Così avvoltolarsi e anche distendersi nel mantello delle cose, o a/fiutarsi a uno sciavero di cielo, a pezzature e lame di mare,
equivale esattamente a sospendersi su una cadenza di immagini e figure, dove alla fine gesti e voci poetiche siano inconmutabili. E dove versi e azioni disegnino le immagini di una pienezza esistenziale, che la poesia lambisce ma che anche sa configurare in una propria intonazione.
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