È una silloge di tipo tradizionale sul piano strutturale: si succedono infatti 42 poesie, ognuna delle quali porta il suo bravo titolo e non s'incanala in alcuna sezione. La distribuzione dei testi in sezioni delinea una scaletta o quantomeno uno sviluppo (formale, contenutistico). Ma riflettono un gusto tradizionale anche le scelte linguistiche orientate verso una nuda e cruda referenzialità (all'estremo opposto troveremmo il metalinguaggio della poesia). Tutto questo accade ovviamente perché all'origine di questa Carrozza sta un'idea tradizionale della poesia. Ne è buona riprova una parola poetica maneggiata senza alcun dubbio sulla sua carica rivelatrice e demistificatrice, sicché l'io lirico ricorda, esorta, compiange, impreca e depreca, ecc. in una totale adesione alla funzione se non legislatrice almeno moralizzante della poesia. Così procedendo, finisce per scuotere qualche corda nell'anima del lettore, ma non riesce a fugare la perplessità sulla validità dell'intera operazione.
La successione dei testi rivela un'anima calda, sensibile e aperta al vario spettacolo della natura e degli uomini; i sensi, vigili, sono pronti a scattare alla minima sollecitazione ("Quando si accendono i lumi nella strada, | la tua anima è stanca, | ma il cuore ha voglia di gridare, | lo sguardo di tuffarsi via nell'aria", p. 48). Scorrendo i soli titoli è dato cogliere un ricco campionario di temi poetabili (Clown, La scuola, A un amico scomparso, All 'amica malata, ecc.) e per quanto s'intuisca il sostrato esistenziale, non è facile sottrarsi alla sensazione del dèja vu. Non mancano d'altronde sbavature, ma disturba soprattutto una voce decisamente esuberante, spinta sopra le righe (come si può notare anche nella precedente citazione). Penso che avrebbe giovato una maggiore discrezione, una presenza meno invasiva dell'io poiché oggi, a mio avviso, nessun poeta può derogare dalla ferrea regola del basso profilo.
Ci sono naturalmente delle poesie belle, o meglio buone, che accrescono cioè la nostra conoscenza del mondo: La carrozza di Cicikov (poesia eponima), Eliogabalo, Lamento degli orfani aztechi, Meditazione serale del dotto fanariota, ecc.
Nella prima della serie, il personaggio gogoliano, colto in un momento di resipiscenza dopo tanto frenetico viaggiare alla ricerca di "anime morte", è spinto ad ammettere con accenti leopardiani che "solo il dolore esiste | solo il dolore, | senza origine o fine, senza parola che illumini, | senza preghiera che scongiuri". Tali componimenti nascono da forti impressioni di lettura e dalla volontà di elaborare situazioni romanzesche o figure storiche scomparse per suggerirne il loro significato riposto o per attualizzarle in qualche modo. Essi si sviluppano per notevole ampiezza e attestano le indubbie capacità affabulative e rievocative dell'autore.
Giorgio Poli