Vi sono libri di poesia che ci appaiono come una sorta di dubbio cronologico d'una esistenza pura e umana; e vi sono opere in versi in cui le vicende terrestri di altri lirici si intrecciano con le proprie, facendo si che il canto s'avvalga del colore di più voci, di molte stranezze e di inquietudini che -cozzandosi- si rincorrono dando origine ad una sorta di poesia narrata. Trattare storie di poeti amati non è cosa semplice al giorno d'oggi: si potrebbe correre il rischio di frantumarne la logica, di allontanare il lettore da una possibile curiosità in cui verrebbe spinto se la trama in questione fosse alta e nobile. Tutto ciò lo possiamo rintracciare nelle poesie che strutturano "Finestra in alto" (Fermenti Editrice, 112 pp.gg.), la seconda opera di Gemma Forti, già autrice di un libro prefato da Dario Bellezza e titolato "Zefiro Cortese". Pure se ad introdurla al pubblico stavolta è la scrittura caparbia e chiarificatrice di Plinio Perilli, che ne suggerisce l'alta risonanza coll'indiano Rabindranath Tagore e coll'asiatico Pa Chin (ma, personalmente non sono in accordo con lui; soprattutto quando si cita Tagore, troppo incline all'amore, alle sue gioie e lutti, alla delicata e struggente -nonché .dolorante- presenza cosmica sulla terra, a non farmi accettare questa collocazione. Del resto i componimenti della. Forti sono estremamente quotidiani e certamente meno metafìsici del lirico indiano per avere l'accostamento di un sentimento segreto che sì appartiene ad ogni poeta, ma che si distingue per il tempo e la cultura in cui gli è dato di consumare la sua vita), è di nuovo il pensiero di Bellezza che mi porta a credere che "Trovare poeti che coltivano la passione per la parola, lontano da inutili trasgressioni e clamori multimediali, è una sorpresa... La poesia della Forti trova una sua monumentalità nella tenuta... A more per la ricerca, per la scoperta, per la natura, per il poetico e, soprattutto, per l'essere umano" (da "Stare nella vita con poesia", saggio intro-duttivo per "Zefiro Cortese"). Ed ha ragione: Mai come ora . l'urgenza di dire, la passione nel farlo e un certo tormento espositivo porta la Gemma Forti ad assumersi la responsabilità d'essere donna e poeta: "Finestra in alto/cielo plumbeo/su squallide case/giornata" di novembre/mese di suicidi/donne tristi e solitarie/aria cupa/fredda nebbiosa/acquazzoni frequenti mare di fango la strada ", e ancora: "L 'anima come libellula esce dal bozzo volando in-torno/e sorniona guarda il corpo che immoto giace e muto. /Gira l'anima più volte gira e volteggia lieta come prigioniero di recente fuggito da catene./ Gira e volteggia indi ebbra in alto si libra a cielo aperto in cerca/veleggiando sicura". Siamo di fronte a versi in cui l'affetto per il prossimo è presente in maniera costante: dove un colloquio con Dio, reso estremamente terreno, si riempie d'armonia con la morte, e in cui disperazione e senso della perdita d'amici cari (è il caso del poeta Bellezza, appunto) viene riempita coll'abbandono dolce e passionale del ricordo, sì straziante nel suo vuoto, ma certamente unito nella rappresentazione di una parola capace d'esprimere Io slancio della vita. Il libro inizia con un'invocazione alla futura esistenza: "Sarai nuvola rossa/che accarezza il sole all'alba.../Forse sorriso di bimbo/che guarda tenero/e porge le mani/e vuole che si prenda/tra le braccia/o lacrima bianca/su occhi d'amante", quasi un'invocazione del ritorno per un viaggio che ora porta le persone in posti indefiniti, oltre le linee del mondo conosciuto, per poi tornare giocosamente in un turbine di sangue che potrà essere un bimbo, un'amante o semplicemente una colomba. Ma di vita si tratta, di respiro, di cenere fattasi ancora carne, in cui la musica del verso sragiona e fa suo l'incantamento. Quasi ossessionata dalle nostalgie di presenze quali la Dicknson Bellezza o la Soder-gran, la Forti immagina la sua poesia come una sequenza visiva di un lungometraggio tutto votato alla comunione dei sentimenti: E il caso del componimento "Ada suona", in cui una madre muta suona davanti all'oceano mentre una fanciulla di nome Flora improvvisa una danza sulla sabbia. Mi rammenta molto la straordinaria fusione di musica e immagini del film di Jan Chapman, "Lezioni di piano"; questo per sottolineare la capacità di un dialogo in cui l'amore segue il cadenzato ritmo delle stagioni terrene: nascita, crescita, consapevolezza e morte. Vi si rintracciano scie che imprigionano un folle vento di segreti, esprimendo così, con la sua portata, un vuoto di sentimenti imprevedibili che ci danno conoscenza di strane abitudi-ni care a chi desidera cantare la vita e il suo tempo, l'addio e il fuggitivo senso che la dilata una fine, la ricchezza degli umori e dei profumi: insomma: tutto ciò che trova riposo sulle labbra e che, nell'essere urlato, non desidera affatto che lo si dimentichi.