Le grazie brune di Velio Carratoni è un racconto che libera il desiderio d'intimità. Odori, sensazioni, una fisicità dai forti contrasti, in sintesi, una metafisica del sesso che si fonda su una simbologia triangolare del femminile: "donna - madre - amante", attraverso un linguaggio al maschile:
"Sono esausta, pur non avendo fatto nulla", mi dice prima di avviarsi verso la fermata dell'autobus, in via del Corso. "Dobbiamo deciderci. Vuoi rimanere tutta l'estate a Roma? Io, certamente dovrò accompagnare mia madre, in qualche posto". Sempre la madre di mezzo. L'ho conosciuta a febbraio. Ora siamo ai primi di luglio. Ogni saluto si manifesta, quasi sempre, nel nome della madre". (pag. 73)
Una molteplicità di storie nella storia in un'oscillante sequela di rinvii, di attese, in balia del caso, di un divenire mai concluso. La narrazione è vibrante di emozioni, il ritmo è scandito dall'ossessione per il dettaglio, anche il più crudo, osceno e blasfemo di un sesso che non ha inizio e fine. Come in un labirinto fatto di carne e parole, Carratoni ci porta a trascendere la convenzionalità del sesso oltre il finto puritanesimo, in una visione caleidoscopica di sensazioni umorali, viscerali che irrompono nel silenzio sia delle meditazioni del protagonista che negli amplessi dove uomo e donna si fondono in una monade androgina, raggiungendo quell'ex-stasi cruda e a-temporale che li riporta istantaneamente alla loro materialità corporea. In definitiva una ricerca orientata al nulla, vibrante e piatta, rievocante sensazioni fisiche e olfattive dalle tinte forti:
"L'uomo rigetta il proibito, per concezione tradizionale, ma lo preferisce… La concezione del proibito determina depressione che ha bisogno sia sublimata, tramite il ricorso ad un onere. La donna merce è ricercatissima". (pag .75)
Dialoghi fantastici rompono i toni del convenzionalismo puro in questa antropologia del sesso metropolitano. Il protagonista in un delirio erotico agonizzante si degrada attraverso le sue amanti. Don Giovanni o Casanova? Né l'uno né l'altro, Manio Moresi non conquista per distruggere, non conquista per amare, bensì rinuncia ad una banale vita ordinaria per perdersi nella trasgressione, in una deriva dei sensi, spesso travolto da una schizofrenia degradante dell'esistenza:
"La mia stanza rifugio, in cui vivo più a lungo che a casa, voglio che non possieda un letto, per non fare l'amore al solito modo. Mentre più volte ho alimentato la mia irregolarità blasfema, provando un culto per l'onanismo cerebrale, capace di frantumare un consueto rapporto, rievocando il sesso come un'estenuante pratica di morte, nel mio bunker, simile ad una tana per chi sente il pene come un imbuto da cui far uscire una inesauribile quantità di droga super, mi sono sentito come un sonnambulo, invasato di delirio, gli occhi allucinati, la camminata barcollante, i gesti lenti e circospetti. Una carica medianica deve averci legato, tanto che tu Giada non mi ponevi domande ed io tremante ti ho sentito dentro di me, dopo il primo contatto, da rendermi incinto, dopo che il tuo sputo è penetrato abbondante nella mia cavità orale. Mi hai reso gravido dall'alto, tu che conosci regole di vita…". (pag. 71-2)
Non si tratta di un romanzo sul bello bensì sul reale. Con la sua scrittura Carratoni ci coinvolge, ci travolge facendoci sconfinare oltre gli schematismi del perbenismo ben pensante, in una metropoli contemporanea con tutti i suoi degradi, attraverso un gioco di ruoli e contrasti, ivi compreso il metadialogo con il fantasma di Wagner. Una discesa nel mondo del fantastico per riflettere sulla morte dell'arte vittima della tecnocrazia imperante:
"L'arte è divenuto prodotto di mestiere". (pag. 35)
Nella sua complessità di suggestioni, Carratoni, ci offre la possibilità di esplorare un mondo sommerso, oscuro, fetido, con uno stile che lo contraddistingue come un autentico narratore del vero reale, padrone del ritmo dei suoi personaggi senza mai perdere il controllo del pornomondo che ci ha presentato.
Valerio Branchi