Ordito in una trama mista tra fascinazione romanzesca e attitudine al
reportage voyeristico il
soggetto narrativo dispiegantesi nelle pagine di Le grazie brune
di
Velio Carratoni (Fermenti
editrice) si inserisce in maniera del tutto singolare all'interno
dell'universo della letteratura (erotica
in particolare). Fin dalle prime pagine del romanzo, che tale è
in quanto storia se pur avvolgentesi
su se stessa, si avverte una forte presenza della carnalità,
disseminata a tutti i livelli e spiccatamente
nelle scelte linguistiche e lessicali.
L'attenzione alla "carne" in quanto oggetto-soggetto si rivela essere
materializzazione di un'aspra
critica, in alcuni luoghi anche indiretta e camuffata, nei confronti
delle convenzioni sociali per cui il
protagonista tende ad estromettersi dalla società che reputa
artificiale e edulcorata.
Una sorta di "bon sauvage" Manio, intellettuale in crisi che riafferma
con il suo atteggiamento la
necessità di una realtà non ipocrita e lo fa ricreando a
suo uso e consumo una realtà alternativa
esageratamente personale.L'esperienza erotica è strumento di
liberazione dagli schematismi imposti
dal "savoir faire" contro il quale egli arma una personale rivoluzione
consumata interamente
all'interno di una intricata rete di rapporti sessuali.
Il lettore è trascinato nel vivo dell'esperienza carnale tramite
il continuo richiamo ad una
messinscena barocca delle sensazioni (odori, tatto, sapori, ecc.) e
finanche dei più minimi e
quotidiani gesti attinenti al microcosmo della carnalità e
dell'intimità, un'intimità che, sottoposta e
questo trattamento cessa di essere tale. Il corpo femminile viene quasi
sradicato dalla sua precipuità
composita, per imporsi nella sua più essenziale e lucida
corporeità.
Il tutto avviene in un'atmosfera densa di "ennui", per così
dire, che allontana la materia romanzesca
e la pone in una dimensione fissa e ripetitiva; i soggetti narrativi
risultano condannati al loro gioco
esistenziale, quasi replicanti all'infinito le loro minime azioni
quotidiane.
Le descrizioni sono al limite del dettagliato (si potrebbe avanzare la
definizione di minimalismo
carnale) e guardate con una scientificità che in alcuni punti
arriva a contrastare con la vitalità
propria della sessualità.
Del resto Carratoni parla chiaro e fin dal principio svela le sue
carte. Nell'incipit del romanzo così
si dipinge il protagonista: "Sdraiato su un letto che porto dietro
ovunque, agisco, giro per la città, mi
reco in banca, all'ufficio postale, viaggio, mi corico, mi nutro, mi
rilasso, vomito".
Interessante condizione quella del "portare dietro" che allude ad una
pesantezza interiore
costantemente rappresentata. Tale condizione si accompagna ad una
assoluta negazione della sfera
affettivo-sentimentale. verso la quale Manio nutre una vera e propria
fobia, alimentata dalla
certezza che il sentimento sia anticamera di autolimitazione.
Manio prova "un'impressione di blocco" e dice espressamente: "Cerco di
sprigionarmi dal torpore
notturno. Niente da fare. Idea fissa. Larva in movimento, sempre
più decomposta. Ingredienti,
stanchezza, nausea, sgomento, sfaldamento degli apparati organici.
Levata cinica per riprendermi
dall'apatia." E poi: "Vorrei fare un viaggio lungo, senza programma
(...) Un senso di inerzia mi
blocca a Roma".
La scelta di Roma, pesante nel suo barocchismo anche moderno, appare in
questo senso sintomatica
tanto più perché la città viene imprigionata
nell'immagine dell'afa estiva. Si fa spesso riferimento
ad una sensazione di caldo soffocante, ad un'atmosfera opprimente
all'interno della quale la
categoria della carnalità acquisisce un maggiore peso specifico.
Presente è anche il riferimento alla
puzza di escrementi, di marcio, di muffa. Insomma la carnalità
si associa ad un senso decadente di
decomposizione mentale. Ecco allora che tutto si ferma, si impaluda. I
corpi sono "anchilosati" e
"rattrappiti". Manio sta spesso in silenzio. Il suo è un
atteggiamento da osservatore (ma non per
questo necessariamente sempre passivo) e si dichiara addirittura
"innocuo", "un fossile o un
composto del sottosuolo". Nel corso del romanzo egli intesse una rete
di rapporti vissuti
volontariamente "da lontano", piuttosto che vivere una vita reale,
preferisce spiare quella altrui,
forse perché questo comportamento gli permette di mantenere una
"finzione di un controllo", di
continuare ad autoingannare il proprio vissuto che diviene sempre
più emblematico via via che ci si
inoltra nella vicenda.
Lo stile cronachistico e addirittura apodittico ben si attaglia alla
lunga seriazione di gesti che si
susseguono e puntellano una storia ulteriore di appiattimento e
regressione. Così anche i personaggi
femminili risultano contemporaneamente molto presenti sotto il profilo
fisico ma quasi evanescenti
sotto l'aspetto caratteriale.
Ma che cosa c'è dietro tale impellenza di anonimia e di
annullamento? Perché sembra essere tra i
"desiderata" più ricorrenti del romanzo? E' forse negazione di
un principio di individuazione che, in
quanto tale, sottintende una volontà di riconoscimento sociale?
E allora che senso ha il trasgredire?
C'è, nel romanzo, vera trasgressione? Forse no, perché ci
troviamo immersi in un "continuum
trasgredendi" che diventa normalità.
Si osserva il continuo utilizzo di lessemi riferiti all'universo del
non-essere e sotto questa luce forse
va letto anche un personaggio difficile come quello di Wagner, altra
figura indefinita che si presenta
dicendo: "Sono Richard Wagner, sono di passaggio". E poi: "(...) Sono
ritornato nel mondo da
spettatore". A Wagner Carratoni mette in bocca una tirata contro tutto
e tutti ma in particolare
contro l'arte che è oggi diventata "prodotto di mestiere".
Manio si trova accanto a Wagner ma, non potendo allontanarsi
fisicamente, si allontana
mentalmente perpetuando il suo nichilismo.
Accanto a Manio altri personaggi condividono alcune sue
caratteristiche. Anche Giada dirà:
"Godevo della mia non appartenenza".
Nei confronti di Giada Manio prova il timore di lasciarsi andare al
sentimento: " Non capisce che
l'ho fatto apposta per mostrarle un'avversità eloquente, un po'
per rigettare quel certo sentimento
capzioso. Così detto amore o quasi, esaltato a sproposito da
certi
lacrimatori di storie rosa, che
incitano a sdolcinature senza fine".
Manio si sente provvisorio e in tutto il romanzo si respira un'aria di
frammentarietà e di precarietà.
Dice: " Mi sembra che la storia che vorrei conoscere meglio, essendo
parte integrante di me, non mi
riguardi". E poi: "Che desidero? Nulla". E ancora: "Vorrei disintegrare
le membra, renderle
gementi, mutilarle, paralizzarle, sezionarle, in nome di una rivolta
contro me stesso e contro il
desiderio spasmodico che non so cosa sia e perché lo avverta".
Manio intellettuale dis-integrato in una società che non
riconosce come sua diviene simbolo di una
protesta rinunciataria, tanto più dolorosa quanto più
vissuta a livello psico-esistenziale e assurge a
rappresentante di una nuova forma di malattia sociale in una
realtà nella quale alla presenza si
sostituisce l'assenza al desiderio la voglia.
Antonella Calzolari