Una delle iniziali preoccupazioni di Velio Carratoni, pensando di
scrivere un romanzo ad eros libertario,sarà stata la
necessità di
sfuggire dalla serie di possibili equivalenti sparsi e spersi
nell'abituale metafisica della
sessualità (a gettito comodo), bavosa, mentalmente esperta,e
degradazione turgida
di un io abissale e perverso.Il coraggio intellettuale ed emotivo non
è
stato poco,così
come una difficile elusione dai canoni dettati da un D'Annunzio, per
esempio, e poi Henry Miller, Georges Bataille,Erica Jong, per fare dei
nomi
novecenteschi.
La flotta di suggestioni radicali potrebbe aver spinto questo scrittore
all'azzardo, ascoltando le voci multiboccaccesche e sadiane,
post-sadiane, di tentativi a
sublimazione naturalistica, pullulanti nella letteratura d'ogni luogo,
e
nel
sottobosco che recupera spesso stilemi vivaci, sapori residui, muffe
sepolcrali, in
apparenza inconsumabili,di tanti dettati edonistici, irregolari,
caleidoscopici,senz'altro ripresi da autori nel nostro tempo,
tutt'altro che incerti o inevidenti
e illetti.
Velio Carratoni mi sembra sia uscito indenne dalle possibili tentazioni
a imitabilità sicura, su orizzonti dimezzati delle
oscenità
costruendo un romanzo a visualità
socio-filosofica, adottando invece puri incontri di passione a modelli
franti di edonismo individuale,sentenzioso,abile,
per difendere intanto la sua polemica sul corpo erotico,e superando non
poche complessità per integrare una rettifica alle combinazioni
assecondate dalla fonte, comunque assai datata, della navigazione
nell'effimero, sottolineata
peraltro dalle curiosità nella vita.
In più squarci il protagonista (Manio Moresi) diventa il deus
ex-machina del movimento narrativo;le azioni (soavi e
deliranti) inseguono aree e vampe
pretestuali secondo cui l'autore-guida diviene il mentore e il saggio
dell'evoluzione raccontata.In zone di equilibrio (libertino) il corpo
è un incantamento e un obiettivo di felicità
umana,mortale,ma anche l'area su cui la
voluttà pronuncia la gioia del suo dramma privato,la vibrazione
istintuale commentata per
colloqui,desideri intrisi di solitudine, di circostanze in
frantumazione della realtà(comunque in
cerca del suo nulla). La carne,non più esiliata in un rapporto
sdrucciolo e grottesco,dove il vizio è pervaso della propria
avidità,occupa l'universo del suoi clamori fisici, produce un
ricambio di idolatria e di estasi che
risveglia la razionalità dell'essere, riscopre pur sempre
più
attentamente una misura della verità naturale, non
torpida,inerte,inerme o senza
contrasti.L'opera ha quindi un suo uso dialettico, non soltanto per la
melodia,il misto dolore,gli
altri turbamenti esistenziali, le idee della trasgressione o della
fissa
elezione corporale,
bensì la metafora de "Le grazie brune" in cospetto
libidinoso e
soffice di un idillico volto di neve confuso nella sazietà.
Nel panorama delle presenze e del fatti(romani e mondani) si
leggono inoltre maniere di rievocazione e di attualità del
negativo, che traducono la solerzia disquisitiva del romanzo in uno
sguardo generale di eventi,allucinazioni, commotività
moralistiche,delle cui sostanze il romanzo vive un credito
particolare.Così, la letania (erotica), per dirla con Emilio
Villa, supera le innumerevoli défaillaces di una seduzione
risaputa e nemica, per
porgere, pagina dopo pagina, un itinerario tutelare alla riflessione, a
cui mai Carratoni
si sottrae, e un' ossatura raccontata che rintraccia un recupero di
confessioni
segrete e incandescenti.
E'là che la scrittura ritrova le differenze tra se stessa il
consumo delle ovvietà e la lezione dei padri, e con esse fonda
una speranza alla continuità di meglio frequentare (e amare)
l'oggetto del desiderio connettendo la
realtà al gioco della letteratura.
Domenico Cara