Bisogna prendere arto che nel panorama editoriale romano, ben pochi
editori possono con semplicità ma anche con orgoglio essere
presentati come un
fiore raro. Uno tra i pochissimi è proprio Velio Carratoni.
Velio Carratoni, amico dei talenti romani, consigliere a suo modo di
'immagine',
oltre che editore-stratega fine e tenace, per oltre vent'anni di
attività indefessa
sul territorio letterario, ha presentato di recente anche se stesso,
come autore di
tutto rispetto, con il suo romanzo "Le Grazie Brune".
Con questo libro, erotico in modo troppo appariscente per crederlo
tale, Velio
firma un 'vedere' stranamente mensurale del vuoto di ragioni e di senso
della
società attuale. Come a dire che la sua scrittura narrativa
è in grado di fare da
monitoraggio al microscopio delle forme che il vuoto, o, meglio, il
terrore del
nulla può assumere nella contemporaneità.
Avendo di persona avuto a che vedere con questo mondo di mercificazione
estrema, in cerca di dati per una mia indagine letteraria, ho ravvisato
nel libro di
Velio una esattezza sbalorditiva e nel contempo una velocità
distrattiva, come
un'ala di ironia e di compassione che nel disegnare gli eventi ne
lascia aperte le
ferite di senso, come se davanti allo spettacolo la sua penna sapesse
lasciare un
po' scostate le scenografie, di un verissimo guardato, rivelando i
marchingegni fanatici del 'fantastico già visto' fra le tenebre
di un al di là che non c'è.
I personaggi sono davvero quelli che s'incontrano nella metropoli
barocca più
sacra del mondo, sono persone senza affetto né ruolo affettivo o
che del ruolo fanno strumento di contesa,
di potere, di autoflagellazione, di penitenza, raramente di benessere.
Il terrore, dicevo, infiltra ognuna delle figure, consapevoli tutte del
baluginio caldo della vita come della costanza di una morte troppo
pervasiva, nella sua lontananza, delle strutture esistenziali
più minute
della vita quotidiana.
La decostruzione dell'Eros come valore di vita è attivata da
Velio con procedure
tecniche di grande pregio e spessore filosofico e anche 'sincere' -
perché nate da
un'attività del guardare che ricerca unità o volumi - che
polverizzano appunto gli
atti umani, in vista di... un godimento finale, e li allontanano da
esso con un
movimento matematico di suddivisione infinitesimale degli stessi. Essi,
dunque,
nel loro procedere verso..., invece, se ne allontanano, e quando lo
raggiungono
sono del tutto distratti, dubbiosi e destituiti di forza di
fascinazione come di fede.
Più che la reificazione dell'oggetto sottomesso alla costante
mercificazione del
reale, c'è in questo andamento narrativo di Velio, un tentativo
di interrogare
l'azione umana e chiedere: che senso ha l'azione in vista della merce ?
Perché
continuare nell'azione ? Il protagonista è cosi dall'inizio alla
fine tutto proteso e
strappato fra i due punti cruciali e opposti del desidero da soddisfare
e del senso
da ricercare, come se l'uno fosse contro l'altro e l'attività
dell'uno castigasse la
ricerca dell'altro. Desiderio e senso emergono dalle descrizioni negli
eventi-
incontri in dissidio feroce: la trattativa del Don Giovanni non
è fra sentimento e
piacere ma fra il senso e il piacere, la trattativa di Casanova non
è fra verginità
del mondo e peccato, ma fra il peccato e la sua ragion d'essere.
Velio narra le sue storie nella direzione di una riflessione molto
seria avvitata
sull'oggetto-corpo e tesa a un allontanamento per ricercare un 'sacro
quotidiano'
che invece, tristemente, non trova.
Peccato che il libro scelga il versante eminentemente erotico per
esperire i
risvolti esistenziali di questo movimento all'indietro implicito nella
corsa del
vivere. Magari si può tentare di avvicinare questo suo pur
notevole romanzo ad
altre scritture più casuali - ma non per questo meno strutturate
del romanzo -
come certi raccontini e certi aforismi, dove l'autore rivela quello
spessore di
ricerca e di intenti complesso che annoda alla cronaca più
minuta la sottile
riflessione critica in un tutt'uno di spietatezza umanissima.
Daniela Negri