"Mi sveglio, mi chiedo/ chi è il poeta/ il sole gioca tra le case/ gli alberi si agitano vivi,/ la fagianella in giardino/ guarda/ il camaleonte tunisino/ poi, sempre tu." (pag. 11).
Versi di una semplicità estrema e pur densi di quei contenuti che, dal quotidiano, avviano a figure e paesaggi dal sapore stranamente misurato, come autentico bisogno di accarezzare un fotogramma in sfioramento continuo o nella messa a fuoco di una tensione distillata.
Possiamo nominare i riverberi mirabilmente strutturati nella introspezione, una sfaccettatura che scommette sull'irraggiungibile esplodere dei colori, per tramutare in lirica i propri nodi ed allentare le lacerazioni, le angosce della vita, la violenza diuturna, le banalità rapidamente ingurgitate, l'ardire delle annotazioni.
Il serpeggiare inquieto delle ombre giunge nervosamente sul ciglio della memoria per affondare nel suono ed innestare il ritmo del dettato:
"Dimenticare il percorso andato/ incastonandolo tassello/ estraneo,/ per osservarlo intero disegno/ incastrato nella complessità/ delle altre tessere,/ tristi colorate originali recenti/ lontane./ Testimoni di noi stessi/ ma indifferenti narratori/ di un passato incancellabile." (pag. 66).
E' chiara la scarnificazione delle cose, degli oggetti, dei fenomeni naturali, delle persistenze umane ed esistenziali, quasi ancorata alla ricerca dei tempi e dell'esistere, per poter poi riferire le pulsioni e le inquietudini dell'esistere, esclusivamente come poeta, come entità creativa fuori del caos che circonda.
Il respiro di questa poesia diviene formulazione suggestiva e fantastica nel movimento ampio e perfettamente riuscito del fraseggio. Versi per lo più brevi, quasi mai l'endecasillabo, che pur determina il suono musicale della lettura, in una fusione tra parola scritta e immagine visiva: tenui, fascinosi acquerelli che raffrontano e stabiliscono un rapporto discorsivo nutrito e sostenuto.
Il tenue tocco della filosofia si affaccia come sostanza in cerca di diventare altro:
"Una la carta vincente,/ il segreto della saggezza/ è capire di aver sbagliato:/ non avrei mai dovuto, quella sera/ trascinare il sole nella mia casa/ e incatenarlo senza rispetto/ per avere un po' della sua luce." (pag. 58). Recita l'intento più sottile delle accensioni che spingono a trovare un altrove, nel senso degli accadimenti del quotidiano in una miriade di scintille.
La Rossella si sottomette ad una festosa modulazione, immergendosi nella poesia quasi con una non dichiarata consapevolezza delle risonanze vibrate ed armoniose. Concordando in accostamenti attraversa le ombre che condizionano la forma, una parola che riesca ad andare contro il vuoto, e che si possa palpare adeguando lo strumento invisibile della irrealtà al modello del canto.
Antonio Spagnuolo