Difficile trovare un titolo che meglio connoti la fervida ambivalenza radicata alla base dell'ultima silloge di Vinicio Verzieri. Da una parte, la sorpresa è quella del lettore dinanzi alle immagini che appaiano i testi facendo da contraltare - anzi da complemento necessario - ai versi; dall'altra, la meraviglia è quella confessata dall'autore stesso nel momento in cui si accinge alla creazione, al confronto con l'arcano della parola poetica.
Pulsa quindi nel nucleo della raccolta la classica convinzione per cui ut pictura poesis, integrata però da una sorta di felice rivisitazione - condotta in chiave tutta personale - del concetto wagneriano di Gesamtkunstwerk (e chi conosce la produzione figurativa di Verzieri ricorderà anche i vari tentativi esperiti in direzione della fusione tra pittura e scultura). Il risultato è un suggestivo dittico, le cui pale, anche se appartenenti a due diverse espressioni artistiche, convivono all'insegna di un'armonia calcolata ma insieme aliena da freddi cerebralismi.
Sul versante letterario, la musa dell'autore muove da presupposti stilistici che congiungono la tradizione del Trecento all'eversione delle avanguardie novecentesche: quasi tutte le poesie prendono il titolo dall'incipit; parallelamente, l'uso della punteggiatura è limitato al punto (impiegato soltanto a suggello delle singole strofe), essendo banditi gli altri segni d'interpunzione. Quest'ultima caratteristica chiama direttamente in causa il lettore, invitato ad una forma di cooperazione interpretativa che è, innanzitutto, individuazione delle pause logico-sintattiche, camuffate con abilità nel fluire all'apparenza ininterrotto del discorso. Anche l'organizzazione grafica del testo e il suo rapporto con gli spazi bianchi della pagina sollecitano l'attenzione del pubblico dei destinatari, come è testimoniato dalla presenza di due calligrammi (il primo, L'elevato sentimento, contaminato con una struttura testuale convenzionale; il secondo, L'amore procede, più fedele alla maniera inaugurata da Apollinaire), di alcune poesie inserite all'interno di simil-ex libris (e stampate in un carattere modulato sui toni delle singole cornici: è il caso, ad esempio, di I cavalli irruenti segnano la storia, Fra le tante cose e Delle laudi), di liriche accompagnate da piccoli disegni in forma di diagrammi (I giorni allungati) o di ghirigori (Quando ti asciughi il silenzio, Datemi un suono e - con sembianze che sfiorano le illustrazioni delle illusioni ottiche - superando). Non manca, inoltre, una strizzata d'occhio ai procedimenti compositivi che seguono la logica combinatoria nella disposizione dei versi (A L'ascolto non consuma la coscienza).
Vettore espressivo privilegiato risulta il tema metapoetico, in varie accezioni: dalla esplicita dichiarazione d'intenti ("Datemi un suono | e lo modello materia colore | col sapore dell'inverosimile | per collocarlo | in simbiosi con la natura", in Datemi un suono) alla retrospettiva nostalgica ("mi conforto | risalendo all'origine | guardando il cielo | con poche nuvole | che non oppongono ostacolo | fino ai tempi in cui | il silenzio era puro | e la poesia gestiva l'universo", in Fra le tante cose), passando per una sorta di rivendicazione del ruolo ("Il poeta | scuote le coscienze | non quelle sporche | esse sono lontane | dai canti puri | illuminati da amori | senza colori di pelle", in Il poeta). Quando poi l'io veste i panni del progenitore del genere umano, pare rimbalzare, tra le pagine della raccolta, l'eco della voce di un fanciullino di fine Ottocento: "Adamo | tra lo sciacquio e l'orizzonte puro | del mare | […] | affido alla poesia | il compito di preservare | il canto della natura" (in Adamo). In questa ottica, sovente ritorna nei testi la dialettica tra il grigiore burocratico del presente - che è, prima di ogni altra cosa, distratta, sterile afasia - e la fantasia creatrice tipica del passato, cioè delle epoche nelle quali l'uomo possedeva intatta la capacità di stupirsi davanti alle multicolori epifanie della natura, e non era ancora andato perduto il gusto di esprimere con genuina sincerità i sentimenti. Tuttavia, la retrospettiva non ripiega sulla semplice contemplazione malinconica, piuttosto affiora tra le righe la convinzione che la fiducia nella poesia possa trasformarsi in un ponte gettato verso un avvenire migliore.
L'apparato iconico di corredo apre la raccolta con un'immagine di copertina che richiama la scena del peccato originale: nel giardino dell'Eden circonfuso da una picea oscurità, la donna - nuda - trova posto sui rami dell'albero in primo piano, in luogo del pomo della discordia di biblica memoria, mentre ai piedi del vegetale si accampa un cobra sibilante dalla testa cornuta (all'interno del volume, due variazioni di questa situazione: in una svetta il solo albero; nell'altra, presenti il serpente e la pianta, il personaggio femminile è rimpiazzato da una pera dalle dimensioni volutamente sproporzionate). Nel resto del libro, il motivo nettamente dominante nelle immagini vede ancora protagonista la figura muliebre, rappresentata - sempre nel costume di Eva - con ali piumate che le conferiscono tratti a metà strada fra un angelo caduto e un novello Icaro.
Stupore è una lettura impegnativa, visto che, per quanto estranea ad ogni tentazione bellettristica, la silloge è scolpita in un legno levigato e dal robusto midollo. S'indovina, insomma, la paziente perizia da artigiano (nel senso positivo del termine) che sottostà al labor limae - sia linguistico-retorico sia pittorico - e nel contempo si scorge, in filigrana, il repertorio di buoni studi da cui muove la ricerca artistica di Verzieri.
Fil rouge dell'opera, il bifrontismo si conferma anche nell'originale autoritratto che occupa la quarta di copertina: a guisa di gemelli siamesi - anzi di un Giano contemporaneo - due alter ego, il giovane dalle chiome corvine e l'uomo adulto brizzolato, fusi lungo la linea delle spalle, scrutano in direzioni opposte. Fulcro, architrave del quadro costruito secondo un principio diacronico, è l'atipica firma, ormai consolidato stilema d'autore: una bottiglia cilindrica dal collo corto (che nella circostanza fa capolino sopra un tavolo appena accennato, prolungando l'asse ideale che attraversa il dorso dei due profili umani). L'immagine sembra così volta a rafforzare ulteriormente, proprio nel momento di congedarsi dal lettore, l'idea che più emerge, tra le altre feconde di cui il libro è intessuto, lasciando in eredità suggestivi spunti di riflessione: conservare il passato e progettare il futuro sono la stessa cosa.
In ultima analisi, Stupore rinnova dunque la scommessa sul valore eterno dell'arte: ovvero dell'unica ancora di salvezza dall'invasivo cicaleccio mas mediale che minaccia di soffocare il nostro tempo.
Andrea Di Berardino