Abitare poeticamente la terra è possibile ancora? Come raggiungere il fondo dell'esistenza, senza disconoscere ciò che la coscienza produce e acquisisce col suo sforzo? Tommaso Putignano, giovane e autentico talento, riunisce in una visionarietà placata le cose presenti al mondo (le scatole di ceci, il fiore rosso, il catrame, il supermercato) e la sua anima piena, sonora, più ricca di un alveare: in ogni cella (in ogni testo) si diffonde la musica come in paradiso, o forse come all'inferno.
Mezzagamba e Millesguardi presenta una scrittura asciutta, concreta, addentro ai recessi sofferenti della mente, lontana dalla tendenza a imbrattare carte senza scopo, a elevare il solito peana, stonato e falsissimo, avverso al weltschmerz (il dolore universale), mentre si gode una tranquilla condizione borghese con gli agi che ne conseguono nell'opulenza occidentale.
Tommaso Putignano è il wanderer, che incespica a causa della sua menomazione (mezzagamba), ma che non rinuncia a perseguire la meta, così immilla lo sguardo (millesguardi) e smeriglia ciò che è troppo comune, eccessivamente banale.
Dietro il velo delle apparenze, oltre la comoda Casa delle Abitudini, strane ondulazioni del terreno, inusuaii asperità attendono i passi del viandante: è la sfida a rintracciare un significato credibile nell'accidentalità tumultuosa degli eventi, nella spossante, estenuante lotta fra bene e male, fra razionale e irrazionale.
Non è detto che una risposta non la si possa trovare sfogliando le pagine di questo libro amaro, doloroso, ironico, celeste e infero: "Vi impressiona tanto la mia malandatura?/ Specchio di ciò che siete ma non volete/vedere, vedere le molteplici dimensioni/che condividono la fetta del ciambellone".
Donato Di Stasi