Una semplificazione
Il presente scritto vorrebbe giustificare la
seguente affermazione: l'opera di Kafka ruota intorno a un asse
«tematico» che possiamo semplificare nel contrasto tra l'uomo
normale e il diverso. Dove normale indica
il tipo caratteriale energico, estroverso, pratico,
realizzatore; dunque capace di successi «mondani», vale a dire
professionali, sociali, economici, politici; e diverso
segnala il tipo in larga misura opposto al primo, cioè poco
energico, introverso, poco o per nulla pratico e scarsamente
incline all'azione; per contro, molto sensibile e reattivo,
dotato di immaginazione ricca e perfino eccessiva; vulnerabile,
poi, nei rapporti con la realtà e con gli uomini, e portato,
perciò, a reazioni di fuga di fronte a sollecitazioni di impegni
sociali, istituzionali, professionali; fuga verso la «tana»
della propria intimità, nella più gelosa e trepida soggettività,
dove gli chocs del mondo giungono deformati, e come echi
smorzati s'avvertono le voci aggressive degli altri esseri
umani.
I termini normale e diverso sono
una scelta di comodo, ma giustificata dal modo di vedere e
vedersi del diverso (occorre avvertire che il termine,
qui, non include nessuna allusione sessuale?); il quale,
appunto, confrontando se stesso con l'altro tipo caratteriale,
tende a considerarlo normale in contrapposizione alla propria
presunta anormalità o diversità. Tendenza che denuncia una
condizione prevalente di invidia da parte dell'introverso
timido verso l'energico estroverso attivo. Invidia e, di
conseguenza, timore. I quali, comunque, non escludono che nei
momenti «positivi» sia il diverso a giudicare il
normale, «dall'alto» della sua superiorità intellettuale,
della sua maggiore sensibilità estetica, culturale, umana. Solo
che quei momenti sono poco frequenti e che, ad ogni modo,
l'oscillazione tra invidia-timore e disprezzo vede prevalere
nettamente il primo polo, generando una condizione di quasi
permanente infelicità (e insomma, di scarsa disposizione
appetitiva).
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Un surrogato della vita: l'epistolario
Un uomo fatto di letteratura, dunque, e già il Diario ne
costituisce una eloquente prova; ma ciò che disegna meglio
l'ambiguità dell'identificazione è 1 epistolario. Qui la componente
inferiore, negativa della vocazione letteraria è più scoperta assai
che nel Diario, dove, bene o male, si tratta di sfoghi privati
almeno, in prima istanza. Ma le lettere, non sono soliloqui, sono
comunicazione, rapporto, contatto, e magari conflitto, umano:
abbandonarsi agli stessi sfoghi del diario, cantare la medesima
musica di lamenti lamenti lamenti, con il centro irradiante nella
consueta autodenigrazione, significa un paio di cose poco positive:
primo, che la «malattia» della diversità era, in Kafka, più forte (e
devastante) di ogni senso della dignità personale, della virilità,
dell'onore; secondo, che questa diversità lo disponeva meglio al
rapporto epistolare che a quello fisico. Troppe, infatti, le lettere
scritte da Franz, specialmente alle «sue» donne.
E queste lettere d'amore o d'amicizia tenera sono, appunto, gremite
di confessioni gementi, di mea culpa recidivi, di autoanalisi
distruttive. Non mancano i momenti di serenità, o piuttosto di gioia
frenetica, di esaltazione euforica, di entusiasmi anche troppo
facili; ma prevalgono i lamenti. O meglio: lamenti intrecciati alle
più varie espressioni della diversità: insicurezza, indecisione,
ansia, l'incapacità di fermarsi saldamente su una scelta, la
reazione di fuga dinanzi alla possibilità di realizzare un
approccio corporale (reazione, magari, vinta, talvolta, ma a qual
prezzo di trepidazioni, ripensamenti, paure quasi fobiche) o di
concretizzare un legame affettivo morbidamente epistolare e
problematico in un impegno virile di soluzione matrimoniale o di
relazione extraconiugale completa. Tutto questo, ed altro dello
stesso conio, riempie l'epistolario, e ne fa un'opera di letteratura
inferiore, (con buone eccezioni), come sostituzione
deresponsabilizzante del fantasma verbale alla vita vissuta, come
vita vicaria, forse sublimata, ma quanto impoverita, dissanguata,
tradita nella spettralità esangue del segno che divora la cosa,
dell'immaginazione che usurpa il posto della realtà! La stessa
concitazione delle frasi incalzanti, quella sorta di delirio «frasale»
che agita molte lettere è un parametro della qualità inferiore di
questa produzione. La quale, tra l'altro, s'impinguava nei periodi
di stanchezza creativa, di sterilità narrativa, e finiva, anzi
veniva alimentata come surrogato di una produzione letteraria
impossibile. Significativamente, l'attività epistolografica si
riduceva in ragione diretta all'intensificarsi dell'impegno
creativo.
Letteratura, insomma, ad ogni costo: anche a quello di scrivere
lettere al posto di racconti e capitoli di romanzi, pagine di diario
invece di narrativa. Fino magari a una o due lettere al giorno, con
pause forzate, riprese, aggiunte (sui margini dei fogli, o — come
capitava al Verga — di traverso sullo stesso foglio), correzioni e
ripensamenti, un dire e smentire estenuante, con tanto di ora
segnata, o almeno con le varie parti del giorno bene indicate in
relazione a pause e riprese.
Letteratura, anche a costo di scadere nel lamento monotono, nella
banalità ripetitiva, nell'esibizionismo delle proprie piaghe. Fino
al punto di stancare le destinatarie.
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Fenomenologia della diversità: l'opera
letteraria di Kafka
L'intera produzione narrativa di Kafka
ruota intorno al «marchio» della diversità alle prese con la
normalità: è una fenomenologia della diversità o, se si vuole,
del Potere (come è stato scritto); ma, appunto, e sempre: un
potere visto dalla «tana» soggettiva del diverso, insomma del
debole.
Smentendo nei fatti la pretesa, radicale, dicotomia tra lavoro
«borghese» e lavoro letterario, tra ufficio (e negozio, e
fabbrica) e dimensione fantastica, Kafka non fa che trasporre le
esperienze della sua esistenza diurna nelle fantasie della
notte, le difficoltà dei suoi rapporti con i «normali» del
lavoro quotidiano nelle enigmatiche, paradossali complicazioni
delle relazioni dei suoi personaggi col potere. Lo scarto tra il
quotidiano e il fantastico è segnato dalla sua particolare
percezione dello stesso quotidiano come enigmatico (20), dalla
sua penetrazione «metaempirica» della realtà empirica; dalla
capacità di cogliere — nel filtro della diversità — i lati
mistici delle cose e degli eventi. Per questa capacità (o
fatalità) egli può ricodificare in termini di universale
polivalenza «ideologica» l'apparente unidimensionalità del
vissuto, dell'empirico: di qui, le interpretazioni metafisiche,
religiose, socio-politiche della sua narrativa: è la pagina
kafkiana a suggerire e giustificare. Salvo, poi, a rimandare a
una dimensione più profonda e condizionante, e insieme più
prosaica: quella biografica. E da questa, infine, alla realtà
fisiologica dei suoi DNA. Dove lo scavo ermeneutico può anche
non fermarsi, a patto, però, che il misticismo si scrolli di
dosso ogni pretesa di dimensionalità religiosa come assoluta e
si contenti di una cosmicità che tutt'al più si può riassumere
nella domanda: donde il mondo, coi suoi protoni galassie quark e
DNA? Una religiosità, se si vuole, del tutto laica e
smaiuscolata, che non tolleri grosse menzogne e ipocrite
edul-corazioni di una realtà che resta ambigua e (dal punto di
vista del debole ipersensibile) tragica.
Si leggano, pure, insomma, nelle grottesche storie kafkiane, i
significati universali (metafisici e politici, religiosi e
sociali) che vi si sono trovati; ma non si dimentichino due
parametri obbligati: la sorgente autobiografica e fisiologica
dell'intera fenomenologia e il carattere niente affatto
consolante e a lieto fine dell'odissea kafkiana. I significati
universali sono recuperabili alla loro scaturigine senza perdere
la loro legittimità solo se non si pretendano primari e non si
vogliano consolanti.
Inutile aggiungere che il materiale autobiografico confluito nei
meandri narrativi di Kafka non concerne solo il lavoro di
ufficio o di negozio; ma l'intera sua esperienza comprese, e non
in secondo piano, le sue avventure amorose, che tanta parte
hanno avuto nella fenomenologia della diversità kafkiana. È
stato notato come più o meno tutte le donne della vita di Kafka
siano adombrate in questa o quella figura femminile della sua
narrativa. Che era poi un altro modo di vivere «per procura», e
insomma nell'astrazione letteraria le avventura negategli dalla
vita. Ovvero, il solito destino di sostituire la vita vissuta
con la letteratura, la calda realtà dei corpi con le colorite
immagini dell'invenzione narrativa, secondo quanto si è detto a
proposito dell'epistolario. È vero: «La letteratura appariva
come una sorta di alternativa al suicidio, ma essa era anche
un'alternativa alla vita» (Hayman, op. cit., p. 26), o almeno,
«una cura definitiva alla vita» (ib., p. 27). |