Dannazione cosciente
di Velio Carratoni
Le notizie clamorose non sempre
favoriscono discussioni o interventi obiettivi; presi
dall'emozione o trascinati dall'influenza di parte si esprimono
concetti netti spesso gonfiati. Tutta la stampa, compresa la
televisione, hanno parlato di Pasolini e della sua tragica
uccisione. Moravia, ai funerali a piazza Campo de' Fiori, a
Roma, lo ha ricordato con tono celebrativo come a lui sarebbe
dispiaciuto. Pasolini odiava qualsiasi ufficialità esteriore,
infrangeva lo schema tramite un modo di vita diverso non tanto
per la stranezza del comportamento, quanto per la provocazione
che doveva seguire a ogni suo gesto o azione. Voleva
scandalizzare perché appesantito da un bagaglio ideologico non
ben accetto alla società. La combatteva, pur vivendoci in
mezzo, reputandola ipocrita, specchio riflesso di un potere
costituito che incoraggiava la delinquenza ad ogni livello. Si
rassegnava alla sua dannazione non con acquiescenza, ma con
rabbia, cercando di sentirsi al centro di ogni situazione.
Pur di liberarsi dal fardello delle istituzioni ipocrite
preferiva suscitare sdegno e indignazione negli altri, ma prima
ancora rimaneva « scandalizzato » in senso giudaico-cattolico.
Frequentava i ragazzi di vita non per corromperli, ma per farsi
accettare. Qualche pseudo moralista può a questo punto
asserire: « Amava mercificarli ». Non era lui a prostituirli,
ma la società in cui tutto è prostituito. La sua ironia lucida
e sprezzante gli faceva accogliere anche questo non per
proporre, ma per confermare, prendendo atto di una situazione
che non certo lui poteva modificare. L'omosessuale in Italia è
visto con sospetto, con ilarità; è odiato; per essere sopportato
deve pagare alla stessa maniera di come il cliente retribuisce
la compagna occasionale o la mantenuta.
La società non giustifica il rapporto autentico tra
l'omosessuale e il suo accompagnatore sia esso fisso o causale.
E' questo il motivo per cui in un ghetto isolato fiorisce la
prostituzione maschile per uomini facoltosi. Chi sono i
prostituti? Ragazzi, militari, studenti, non solo di borgata, in
cerca di carta monetaria che il lavoro (o lo stato permanente
per i militari o studenti) non sempre fa realizzare, così si va
con il personaggio che paga « prestazioni » che la società non
riconosce. E con le prostitute non avviene lo stesso? Il
procedimento è il medesimo; differiscono solo la condizione e
l'ovvietà di un simile mestiere. La donna, sia pure con il nuovo
diritto di famiglia, in molti casi non è ritenuta uguale, ma
inferiore. Prova sia che, pur praticando atti che la società si
sforza a non reputare innominabili (alla stessa maniera del
prostituto uomo) ricerca un corrispettivo che la morale
borghese non potrebbe non far applicare. Diversamente ella
farebbe la figura della sfruttata.
Per la morale corrente Pasolini avrebbe fatto meglio a
mantenere relazioni fisse con ragazzi rispettabili e
compiacenti o a frequentare comode stanze di garconnieres
piuttosto che ricercare giovani casuali e luoghi triviali. Fa
scandalizzare di meno il rispetto delle apparenze. Un contatto
in sacrestia (praticato reconditamente) o in una profumata
camera da letto è meno disonorevole di un approccio dietro ad un
albero nei pressi di qualche latrina pubblica. Il far di
nascosto del marito, della moglie, della famiglia, degli amici o
degli uomini della strada ha favorito pratiche degradanti, le
quali, in quanto proibitive, sono anche salite di prezzo.
A Pasolini, la lucidità lo aveva indotto, a non farsi illusioni.
In tal modo, in senso pragmatico, desiderava una vita diversa,
pur non ammettendolo. La sua denuncia partiva di qui; era però
una voce nel deserto o che induceva troppi ben pensanti a
stracciarsi le vesti per quello che aveva detto. Un certo F. M.,
nel numero del 29 settembre '75 della « Discussione »
settimanale politico-culturale della DC, in risposta alla
proposta di Pasolini di processare gli uomini di regime della
democrazia cristiana, affermava tra l'altro: « ... processo alla
DC uguale processo all'Italia uguale processo all'Europa. Dirlo
può essere divertente e anche intellettualmente stimolante.
Farlo implica un prezzo che non risparmierebbe certamente gli
amici di Pasolini e nemmeno lo stesso Pasolini ».
L'uccisione dell'autore de « Le Ceneri di Gramsci » ha sottratto
alla cultura italiana un uomo lucido che protestava in nome di
una società più autentica. Fin qui siamo in campo di una
retorica orazione funebre simile a quella di Moravia a Campo de'
Fiori, se non si aggiunge che oggi nessuno scrittore italiano
aveva parlato con uguale coraggio e con identica apertura.
Nemmeno Moravia aveva attaccato gli approfittatori, gli aguzzini
del regime politico con una dialettica da fustigatore, ma anche
di analizzatore cosciente. Nel secolo ventesimo abbiamo avuto
una cultura che si è detta laica, pur derivando dalla
controriforma, si è detta libera, pur dipendendo dalle cellule
partitiche nere, rosse, giallo-bianche, bianche; si è dichiarata
innovatrice, avendo invece imitato francesi, tedeschi,
americani, russi; si è detta marxista, ma è mancato un
espositore coerente di tale ideologia, condizionata da un
dogmatismo settario di derivazione parrocchiale; si è detta
spregiudicata, risentendo invece di un peso bigotto e
farisaico, tipico della mentalità giudaico-cattolica che ama il
potere di quel consumismo che ripugnava a Pasolini,
presentandoci il peccato come ai tempi del medioevo. Per tale
specie di cultura per peccato si intendono le deviazioni o le
tendenze che la società ci tramanda di padre in figlio in nome
della salvaguardia di un regime borghese che ha infognato
chiesa, scuola, famiglia, sentimento, libere unioni.
Pasolini odiava tali istituzioni in quanto emblemi di un potere
di comodo e di profitto.
Incominciai agli inizi (degli anni sessanta ad interessarmi di
Pasolini, quando una certa stampa destraiola lo denigrava,
lanciando invettive contro di lui perché era omosessuale ed
aveva noie con la polizia. Così tale stampa montò a dismisura il
caso Pasolini, facendolo apparire come un personaggio sporco.
Con acredine tale stampa giornalmente attaccava il corruttore,
l'amante di atti innominabili. Fu pertanto schedato come
nevrotico, psicopatico, stercomane, ecc. o come nuovo dottor
Jekyll della morale borghese senza ricordare che tutti i grandi
pensatori come del resto tutti gli uomini chi più chi meno sono
casi patologici, resi tali da una società che abbrutisce e
disumanizza.
Quasi ogni giorno passando di fronte alla sua casa all'EUR
vedevo scritte contro di lui; non c'era giornale di destra o
democristiano che non lo vituperasse; anche Paese-Sera del 23
ottobre scorso, a firma di Adolfo Chiesa, aveva scritto: « in
lui non solo c'è stata sublimazione, ma la rimozione per usare
una terminologia psicoanalitica, è avvenuta solo in senso
iterativo, repressivo... Prendiamo l'ultimo articolo che ha
pubblicato sul « Corriere della Sera » del 18 u. s. Già il
titolo è un programma: « Aboliamo la tv e la scuola d'obbligo ».
Inutile ripetere la tesi, sono sempre le stesse: torniamo
(anzi, « tornate », non credo sarebbe facile attaccargli il
benessere, i privilegi che ha raggiunto... »; « niente film
pornografici (soltanto i suoi, che sono belli...) ». «
Cerchiamo... di afferrare le radici d'un discorso sempre più
ossessivo, banale e noioso. Pasolini è troppo intelligente per
non sapere che le sue tesi non hanno un fondamento sociologico
rigoroso, sono ridicolmente patetiche nel contesto di un
approfondito discorso politico. Possono tutt'al più, le sue
tesi essere considerate dei paradossi giornalistici, talora
divertenti, anche se di gusto assai dubbio (ma allora perché
lo scrittore se la prende tanto con i giornalisti, il loro
stile, quando certa sua prosa, certo suo stile si potrebbero
confondere con quelle di un qualsiasi Zappulli?).
Quella del paradosso, comunque, può essere una ipotesi, un
divertente trucco per farsi leggere, per gridare alcune verità,
enunciare molte stranezze. Ciò che tuttavia appare desolante è
il fatto che uno scrittore del talento di Pasolini tanto insista
sul terreno del paradosso, dello state a sentire che vi dico
io, «del vi lascerò tutti a bocca aperta», sempre alla ricerca
di qualcosa che ci colpisca, di formule e trovate nuove per
farsi leggere, suscitare scandali, polemiche, discussioni. A
bene guardare, non è questa in fondo la peggiore forma di
consumismo, quel consumismo che pure Pasolini dice tanto di
combattere? Consumista è anche chi, come appunto Pasolini,
combatte solo a parole e sempre con le stesse parole-moduli
precostituiti, con formule altrettanto precostituite, portando
rimpianti, emozioni, immagini strettamente personali come unici
argomenti.... ». « ... Pasolini finisce per fare soltanto della
cattiva letteratura... ». Il
livore di Adolfo Chiesa espresso in un giornale di sinistra lascia
intendere che Pasolini per molti aspetti era scomodo anche al PCI.
Eppure durante i primi anni di successo era stato difeso ad oltranza
da quel partito che lui « indipendente marxista di sinistra »
successivamente condannò per certe forme manifeste di dogmatismo
politico, da volterriano, amante del paradosso per contrapporlo a certa
prassi immutabile.
Non sempre però risultò obiettivo; la sua opposizione preconcetta
all'aborto, ad esempio, era identica a quella di certi vaticanisti.
Esprimeva la sua concezione, in quanto si riteneva estraneo al
problema. Il suo limite può essere stato quello di aver interpretato
realtà di fondo dalla sua angolazione di diverso. Ma è stato più
obiettivo di certi carrieristi partitici di destra, di centro, di
sinistra che lo hanno combattuto per non aver egli avallato nessuna
prassi immutabile.
Armando Plebe lo ha ritenuto un marxista sterile, in quanto incapace di
adottare un rigoroso discorso filosofico; ma era un poeta-ideologo
nemico dei bigotti, degli speculatori, dei falsi profeti e non già un
filosofo. Cosa rimarrà di lui si chiedono molti pensatori. E' difficile
prevederlo. Comunque ha lasciato spazio a troppi cialtroni della
cultura, privi della sua vivezza e della sua acutezza interpretativa.
Dalle varie Bellonci ai Parise, ai Prisco, ai Bassani, ai Bevilacqua,
ai Saviane prevale nei nostri scrittori un piattismo che sa di
conformismo e di consumismo dell'informazione. I loro temi logori non
hanno innovato nulla. Hanno determinato una tale stagnatura che Pasolini
aveva cercato di rimuovere; si era dovuto rifugiare nel cinema per
sopravvivere e per ritrovare se stesso, in quanto nel cinema si possono
attuare forme espressive meno statiche o sterili. La letteratura è
divenuta un feudo dell'inamovibilità. Pasolini era troppo ribelle per
accettarla per quello che era; così dopo i primi tentativi felici di
Ragazzi di vita e di Una vita violenta e dopo la felice produzione con
cui ha innovato la poesia civile italiana è rimasto uno scrittore
dell'immagine come Giacomo De Benedetti era rimasto narratore in campo
critico. Si sentiva sradicato dagli accademismi formali, da una
politicizzazione di potere. Alle sue prese di posizione facevano
riscontro non le repliche ma le contumelie. Si sentiva pertanto non solo
diverso, ma isolato e amante della distruzione. Ogni forma di
distruzione parte sempre da se stessi. Vi era giunto partendo dalla
dissociazione per giungere all'annientamento di sé.
Rischiando ogni volta di morire, in occasione delle sue battute,
sfogava non solo un certo masochismo, ma uno scherno nei confronti di
una società che con il suo consumismo aveva sempre più omologato
sentimenti, idee, relazioni, contatti. La sua non era una scoperta, ma
una violenta presa di coscienza. Ora gli ipocriti gioiscono. I ragazzi
di vita non incontreranno più un uomo infantile, desideroso di studiare
le reazioni degli altri. Gli uomini di cultura vorrebbero dimostrare,
nessuno escluso, di averlo sempre amato e seguito con attenzione. Forse
su di lui presto cadrà un silenzio equivoco che saprà di timore di certe
prese di posizione insolite.
Il caso Pasolini è divenuto a torto un fatto di cronaca che ha superato
di gran lunga il significato culturale. Egli era essenzialmente un uomo
di cultura, anche se odiava l'accademismo manieristico. Questo non ha
capito chi io definisce un corruttore della morale corrente. Cosa
rappresenta tale morale? Un'accozzaglia di ipocrisia, ove il bigottismo
più farisaico viene consacrato a norma di massa. Eppure si parla di
evoluzione del costume, di trasformazione o superamento della morale
borghese. Solo perché si parla di più di sesso e di accoppiate e si
tollera ormai certa stampa pornografica con linguaggio da latrina, che
tratta la donna come strumento e l'uomo come un semplice manichino? Il
consumismo ha favorito lo scialacquamento del sesso, ma, nel contempo,
ha livellato l'autenticità di una ricerca libera del fattore erotico.
L'amore libero nelle sue manifestazioni globali, è un archetipo, in
quanto non fa comodo a nessuno. Né all'uomo che vuole rimanere il
dominatore, né alla donna che teme le reazioni del maschio, evitando di
ammettere le proprie esigenze sessuali. Di fronte ad una falsità de!
genere era allora più ammirevole la diversità di Pasolini, che non era
posa esibizionistica, ma determinazione di un modello di vita per
persone coscienti. Nella sua ricerca mancava però il rapporto di
autenticità; i ragazzi di vita non lo amavano, ma lo sopportavano e
spesso lo dileggiavano, Così si sentiva isolato, rifugiandosi nella
rabbia violenta e provocatoria.
Pasolini è stato l'unico scrittore italiano che non abbia fatto parte
stabilmente di un circolo salottiero bellonciano o di banchetti
conviviali tipici dei premi letterari da cui ormai si era allontanato.
Odiava i mass media anche se gli editori se lo contendevano non perché
il suo linguaggio fosse valutato nella sua giusta proporzione, ma in
quanto capace di suscitare scandalo e quindi di incrementare il fattore
di cassetta? Odiava la DC immagine della prostituzione politica,
criticava il PCI, per suo certo dogmatismo; la Chiesa per la sua
ambiguità; i cattolici, in quanto mistificatori; i giovani per il loro
doppismo; la società per l'apparato infernale che lo avrebbe travolto;
la cultura ufficiale immagine del parrucchismo piatto e sterile; la
famiglia per l'ipocrisia istituzionale.
In una scena di Ultimo tango a Parigi, film d'arte, Brando mentre balla
con la protagonista si toglie i pantaloni, mostrando le natiche. E' un
attacco alla morale corrente secondo cui non è lecito essere se stessi
per non scandalizzare gli altri. Chi dice ciò si batte il petto, ma spia
dal buco della serratura o origlia per interferire nei fatti altrui.
Pasolini è morto per sorprendere, per far ricordare a qualcuno che
esiste anche l'Idroscalo; esistono i ragazzi che si prostituiscono, per
usufruire di un consumismo divenuto simile a evacuazioni stonate e
meccaniche. E certi benpensanti obiettano: « Ma poteva andare almeno in
camera d'albergo ».
A lui non piaceva la ricercatezza di contorno, anche se possedeva un
castello ed abitava in un quartiere per miliardari. Ci abitava, ma non
ci viveva. Quando poteva, partiva, o usciva fuori dal quartiere
asettico, standardizzato, perfettamente in ordine, in cerca di una
verità più sofferta.
Ciò dimostra che non era un crapulone. Pur essendosi arricchito era
rimasto semplice e connaturato nel mondo dei relitti.
Culturalmente non si sentiva un professore, pur avendo tutti i requisiti
per insegnare a molti di essi.
Walter Pedullà ha affermato che non erano nuovi certi discorsi o certe
sue prese di posizione. Era nuovo però il modo con cui si esprimeva.
Con asciuttezza, con dolcezza, con essenzialità critica. Per lui
l'assioma diveniva ironia; il paradosso regola del discorso per
significare la contraddittorietà dell'immobilismo concettuale. Propose
di abolire la scuola d'obbligo, pensando che la vita, il mondo potessero
meglio insegnare della sintassi, della geometria, della storia che
vengono spiegati nozionisticamente con gli stessi metodi in vigore nella
scuola media secondaria e nell'università. A scuola vengono a mala
pena tollerati i testi di cultura. Per tali motivi i vari Petrocchi,
Paratore ed altri sfingi del mondo baronale cercheranno di dimenticare
Pasolini per avere avuto poco a che fare con la scuola del ministero
della pubblica istruzione.
Egli pedagogicamente rimarrà come esponente della scuola di vita che si
fonda sull'esperienza vitale partendo da testi come quelli di
Dostoewski, Marx, Tolstoi, Dante, Boccaccio, Pascoli, Matteo in cui
viene messa in risalto l'essenza della sofferenza umana.
|
PASOLINI: nemico della violenza ?
di Gino Raya
« Può essere vero che un uomo nemico della
violenza abbia colpito per primo »? (Ulderico Munzi, art. sulla
tragica morte di Pasolini, « Corr. d. sera », 4 novembre 1975). La
definizione affiora, ora più ora meno caricata, in centinaia di
necrologi, sì da indurci a discutere questo solo volto del fatto e
del problema. Il quale (s'intende) non sarebbe risolto se si
dimostrasse chi colpì per il primo. Altra premessa, la distinzione
tra il cordoglio (rispettabile e plausibile in chiunque) e la
critica (che, mescolata al primo, finisce in giudizi tipo
iscrizioni sepolcrali).
La violenza, per altro, è un fenomeno biologico che segue la
spirale dalla fame all'aggressività; suscettibile, dunque, delle
espressioni più abiette e più nobili, a seconda il livello
culturale dell'agente. Caratterizzare un individuo come violento
significa, semplicemente, lumeggiare una sua prevalenza
fisiologica; la quale non esclude il mostro, ma neanche Dante o S.
Domenico. Che dire, da tale punto di vista, di Pier Paolo Pasolini?
Che i suoi cromosomi, tra migliaia di termini che la genetica
impone, avevano un ritornello costante: la violenza. I romanzi e i
film (Ragazzi di vita, Una vita violenta, ecc.) sono troppo noti
perché vengano qui ricordati. Ma nessuno fa parola di episodi più
direttamente operativi, come quello del 29 giugno 1960 che diede
luogo ad un processo per « favoreggiamento » di teppisti, concluso
con assoluzione « per insufficienza di prove », oppure la rapina al
benzinaro Bernardino De Santis, avvenuta l'8 novembre 1961, reato
per il quale il Pasolini fu prima condannato, poi amnistiato, e
infine (die. 1967) assolto per la solita « insufficienza di prove
». La cultura, l'ambizione, la platea incuriosita dalle pratiche
ipocritamente tabù, critici ed enti avidi di sfruttare il fenomeno
commerciale o per semplice conformismo, hanno operato l'evoluzione
pasoliniana dell'ultimo decennio, la quale raggiunge bensì livelli
non volgari, non perciò attua l'impossibile soppressione della sua
principale componente genetica.
La cultura: cos'è dunque questa inclinazione alla violenza che mi
pervade, e che perciò io vedo prevalente nel mondo? Deriva dal «
consumismo », dalle strutture sociali, più dalla periferia o dai
Parioli? Problematica irta di parole grosse, di prese di posizione
apparentemente paradossali (come la proposta di abolire la TV e la
scuola d'obbligo), ma appunto per questo rivelatrice dell'indole. La
quale reagisce alla voce fisiologica con atteggiamenti radicalmente
contrari, con momenti serafici (da « uomo mite, dolce e gentile »,
scrive persino lo smaliziato Moravia, 4 nov.). Oppure passa, dalle
derisioni blasfeme della Ricotta (che gli fruttano una condanna a
quattro mesi di reclusione con la condizionale: marzo 1960) e dal
turpiloquio di Mamma Roma che (sett. 1962) i carabinieri del Lido
di Venezia non possono non denunziare al procuratore della
Repubblica, al Vangelo secondo Matteo (1964) o secondo la « Pro
civitate christiana » che dir si voglia.
Il sesso. Ritiene, uno psicologo (Ferruccio Antonelli, « Il Tempo »,
4 nov.) che il comportamento di Pasolini può lasciare perplessi «
coloro che hanno idee approssimative o preconcette sulla
omosessualità »; alla quale andrebbe addebitata « la stessa
possibilità di sostituire il Tanatos con l'Eros, e cioè di usare la
violenza per ottenere l'amore ». Indi richiesta, per questi «
soggetti » (leggi, tra le righe, « sciagurati ») di « pietà più che
di condanna ». Ch'è la linea, in forma parascientifica, d'un altro
articolo della stessa pagina, dove Fausto Gianfranceschi tuona
contro il relativismo, e geme perché Pier Paolo « ancora non aveva
alzato lo sguardo » alle « stelle fisse ». Con buona pace delle
quali, Amore e Morte non formano un'alternativa biologica, ma due
facce d'un solo impulso, la cui moderazione non dipende
dall'indirizzo etero o monosessuale, bensì dalla cultura del
soggetto.
L'omosessualità, biologicamente parlando, non è affatto soggetta a
tutti i traumi sopra immaginati. I quali derivano, invece, da una
bimillenaria campagna da parte di una casta che autorizza il
connubio solo per benedirlo (e quindi assoggettare i coniugi al suo
potere) e, posteriormente e preferibilmente, per ottenere nuovi
individui obbedienti (crescete, moltiplicatevi, e fate le crociate o
altro che io vi ordino). Di qui le persecuzioni e le calunnie e (in
mancanza di meglio) le condanne morali contro adulteri concubini e
omosessuali. In che, dunque, ci può illuminare l'inclinazione
sessuale del Pasolini? Non perché essa implica la violenza (Gide era
forse un violento?), ma perché — nei momenti poco o nulla
controllati dell'uomo, che si verifìcano sotto l'estro venereo —
affiorava più facilmente la disposizione genetica di lui, Pasolini,
alla violenza.
A parte la colluttazione della tragica notte, ascoltiamo una
testimonianza preziosa sul suo « gusto de menà », raccolta da
Ulderico Piernoli (« Il Tempo », Roma, 5 nov. 1975, p. 5) in bocca
ad un ragazzo di vita: « Arriconteno che 'na sera a un bar qua
vicino, proprio dopo er Casilino, ne ha sdraiati quattro. Lo
sfottevano, volevano li sordi prima de monta sulla machina, allora
lui ne ha preso uno e l'ha crocchiato. L'altri je so' zompati
addosso e ha crocchiato pure loro ». La questione dei soldi, come
si vede, è un pretesto per l'alterco, una valvola attraverso la
quale scaricare (o cominciare a scaricare) il rigurgito aggressivo.
Un'altra espressione di questo, a livello culturale, è
nell'intervista concessa a Furio Colombo nel pomeriggio di sabato
1° novembre, poche ore prima del delitto (v. « Tuttolibri », Torino,
8 nov. 1975); intervista traboccante di frasi violente (« Siamo
tutti in pericolo »: titolo voluto da Pasolini; « c'è la voglia di
uccidere »; « tutti sono pronti al gioco del massacro »; «
l'educazione ricevuta è stata: avere, possedere, distruggere »; «
l'inferno sta salendo »; ecc). Frasi che (se ci è lecito sconfinare
per poco nel livello culturale pasoliniano, che non è l'esplicito
oggetto del presunto articolo), non ostante la loro tortuosità e
approssimazione apocalittica, rivelano un barlume di maturità, in
quanto il cosiddetto male non è più addebitato secondo falsarighe
ideologiche o fa ziose, ma a tutti, perché tutti vogliono « avere,
possedere, distruggere » (e sia pure non per colpa della «
educazione », sì per legge biologica). A questo Pasolini, che a 53
anni arrivava, sia detto con indulgenza, alle soglie del famismo,
si aggiunga, come contrappeso negativo, quell'abito « piagnone,
ultramoralista », di cui parla Alberto Cavallari nello stesso numero
di « Tuttolibri », abito che va addebitato alla sua provenienza di
maestro elementare. Il maestro elementare fornito d'ingegno (o di
genio che sia), può diventare Mussolini o Bargellini, Sciascia o
Pasolini; ma conserva, spesso, un abito pedagogico e protettivo, i
cui esiti (nobili o grotteschi che siano) dipendono dal contesto
fisiologico e sociale.
Si dirà che Pasolini deplora, non esalta, il fatto che « oggi sono
in molti a credere che c'è bisogno di uccidere »; mentre proprio il
sottoscritto è l'autore di un libro intitolato L'arte di uccidere
nel quale non si deplora per nulla l'omicidio, ma si indicano e
caldeggiano i suoi sviluppi culturali. Discorso, questo, che
conferma quanto poco peso abbiano le facciate e le dichiarazioni di
voto, quando non si osservi ciò che ditta dentro. E osservare la
vocazione di Pasolini è possibile anche durante la cena con Ninetto
Davoli (« l'ultimo amico che lo ha visto in vita »: « Stampa », 3
nov.); il quale riferisce: « Eravamo al ristorante, Pasolini
parlava della violenza sciocca e assurda ». Sciocca e assurda: due
rotondi aggettivi che provengono dalla cultura, in parte dalla
convenzionalità linguistico-sociale, e in parte ancora dalla
sotterranea pretesa di operare ma non subire violenza. Violenza: il
sostantivo che proviene dai DNA del corpo di Pasolini.
|
Perché i nostri letterati sono inerti
e narcisisti ?
di Abelardo
La celebrità di Pasolini dipese molto
dall'amicizia che ebbe, durante gli anni dei suoi primi
tentativi letterari con Moravia, a differenza del quale
possedeva una preparazione più approfondita dei problemi
culturali. L'autore de Gli Indifferenti è stato buon narratore
in certe sue opere, ma come critico militante o studioso di
argomenti socio-politico-culturali ha messo in risalto un certo
dilettantismo. Le sue dichiarazioni sono derivate spesso dalla
frettolosità dell'occasione di cronaca guidato più dall'intuito
che da un cosciente approfondimento del tema; è stato un
informatore, non un analizzatore. Pasolini partiva in fondo
dagli stessi presupposti, ma i suoi interventi erano impregnati
di una dialettica più forbita.
Mostrava più aggiornamento e assimilazione di testi. Moravia è
stato (uso il passato prossimo, dato che negli ultimi tempi la
sua ispirazione si è come di colpo inceppata) un tipico
narratore; Pasolini un pensatore più vivace; un narratore
mancato. Le sue prove riuscite sono le sue raccolte poetiche,
gli interventi degli Scritti corsari, certa produzione
cinematografica.
Con i romanzi documentò ambienti e personaggi cronachistici,
essendo a lui congeniali, al punto che partendo dall'opera
narrativa, sentiva l'esigenza di riprendere i temi medesimi per
renderli più incisivi (si pensi ad Accattone a Mamma Roma, in
cui si riscontrano più vivaci le componenti discorsive di
Ragazzi di vita e di Una vita violenta). Pasolini era un
narratore dell'immagine, mentre Moravia lo è stato della pagina
scritta. Diede nuova dignità alla poesia civile che prima non
era stata in Italia, come ha detto Moravia, di destra, ma di
altro genere.
Moravia ha definito di destra persino
Petrarca, oltre a Foscolo, Carducci, D'Annunzio. Petrarca fu
poeta lirico che con il Canzoniere ci diede un breviario d'amore
del periodo tardo medioevale; Foscolo sentì i problemi politici
in chiave disperata. Jacopo Ortis si uccide, dopo che Venezia è
stata venduta all'Austria. Nei Sepolcri esaltò le illusioni;
nelle Odi e nelle Grazie celebrò il culto della bellezza; nei
Sonetti il senso del dolore e del mistero. Dunque poeta di
destra per che cosa? Moravia è solito accennare, ma
difficilmente dimostrare. Carducci e D'Annunzio, più vicini a
noi, possiamo definirli di destra perché furono simpatizzanti
della monarchia sabauda? In letteratura il significato politico
è diverso, poiché è soggetto a mutare di senso a seconda dei
tempi e delle circostanze.
Quindi considerare Pasolini poeta di sinistra (è stato sempre
Moravia a definirlo tale) vorrebbe dire che fu cantore di
contestazione? Perché esprime significati, presi la mano da
presupposti faziosi e di parte? Pasolini si definiva marxista
indipendente, ma questo non vuol dire che fu un poeta di
sinistra. Dopo i fatti di Valle Giulia attaccò con acrimonia gli
studenti « figli di papà » in contrapposizione ai poliziotti «
figli di povera gente ». Per tale sua presa di posizione non
potremmo certo definirlo di destra. Né per i suoi attacchi
all'aborto, a certo dogmatismo del PCI, alla delinquenza dei
pariolini come dei ragazzi delle borgate. Pasolini fu poeta,
proprio perché senza alcuna tessera partitica si sentì vicino
agli uomini in lotta, siano stati essi comunisti socialisti o
radicali. Questo fu il Pasolini più autentico per il suo
antidogmatismo e per l'imparzialità di giudizio degli Scritti
corsari che rimarrà la raccolta più capace di risvegliare dal
letargo certe coscienze di alcuni nostri intellettuali, uomini
di cultura, politici.
Sforzandosi di lanciarsi a viso aperto
nella mischia attaccò di recente Moravia per il suo silenzio,
per la mancanza di presa di posizione: sapeva firmare appelli,
lettere, ed inviare telegrammi senza andare oltre. Compiici
erano inoltre scrittori come Calvino, i cattolici, i politici.
Perché Pasolini li accusava di silenzio? In quanto costoro,
difficilmente in tutti questi vari anni di lotte, di proteste
hanno rischiato di persona. Seduti sui loro troni
o ben accomodati in poltrone di velluto, ben retribuiti da
editori d'oro non hanno preso posizione. Prenderla non significa
dirsi a favore dell'aborto, del laicismo, dell'erotismo, del
femminismo, ecc, occorre pure (come ha fatto Pasolini o come fa
Pannella) finire in tribunale, rischiare insomma di fare una
brutta fine pur di smascherare l'ipocrisia e abbattere certi
miti.
Moravia (ma a questo punto si possono ricordare anche i vari La
Capria, i Malerba, i Parise, gli Arbasino, i Silone, i
Sanguineti, i Montale, i Sinisgalli, i Gatto, le Bellonci, i
Soavi, i Nìevo, le Cerati, le Ronchey,
i Bonaviri, i Sapegno, le Ginzburg, i Soldati, i Bo, i
Castellaneta, gli Eco ecc.) che contributo di lotta hanno
svolto? in che modo hanno risvegliato gli animi ad una coscienza
dei problemi del paese? In senso pratico hanno adottato il
disimpegno. Hanno molto parlato, scritto, ma preso rare
iniziative a favore di chi soffre, langue, muore, vive in
ristrettezze. Da buoni narcisisti hanno rilasciato interviste,
divisticamente si sono fatti fotografare in pose vanesie, hanno
banchettato, partecipato a convegni sconclusionati, si sono
fatti fotografare con belle figliole per dimostrare la loro
vitalità, hanno corteggiato editori, si sono fatti corteggiare,
si sono specchiati nominandosi e adorandosi, hanno imitato o
hanno proseguito a ricalcare i moduli prestabiliti della prosa
d'arte, hanno usato aggettivi per compiacere e compiacersi, da
giurati di premi letterari hanno favorito gli imposti di certi
editori, hanno consolidato il potere dei Garzanti, dei
Mondadori, dei Rusconi, dei Bompiani, ma hanno fatto poco di
nuovo o di originale a favore della letteratura.
Se sono critici hanno scritto alla stessa maniera di come
durante gli anni trenta si esprimevano i Cecchi, i Borgese, i
Momigliano, i Pancrazi o se sono scrittori ancora imitano
Bacchelli e Tecchi o salamandrescamente come gli Arrigo
Benedetti, i Davide Lajolo, i Guido Piovene, gli Arnaldo
Frateili sono passati dai fogli neri a quelli rossi, senza
imbarazzi. Ma i su citati autori sono rimasti essenzialmente
borghesi, hanno odiato in pratica il popolo anche se in teoria
hanno mostrato il contrario, schifiltosamente o raramente hanno
fatto esperienze di vita, studi di ambiente. Nello scrivere si
sono sentiti « sacrali » e per questo si sono romanticamente
sentiti dissociati dal reale. Si sono comportati da tipici
baroni di cattedra, da luminari di una scienza decadente, da
banchieri sempre pronti a riscuotere e a investire. Però certi
vantaggi sono andati sempre alle stesse persone. Molti politici
e sindacalisti si sono scandalizzati per la giungla retributiva,
in tema di stipendi, ma nessuno, compresi certi sindacati, si
sono interessati di certi scrittori che pur essendo validi e
pur avendo una produzione consistente, sono privi di un editore
e sono ignorati, in quanto non facenti parte di certe cricche
che contano.
Pasolini faceva parte anch'egli di certe cricche; i vari Moravia
lo avevano lanciato o difeso in varie occasioni, ma
coerentemente li attaccò lo stesso. Di lui si pubblicava tutto
anche le banalità. Questo avvenne in quanto da noi v'è l'usanza
che scoperto un mito o ingrandito a dismisura, bisogna poi
gonfiarlo, specularci sopra, spremerlo, imbastire su di esso
una fama tipicamente divistica che solo i Garzanti i Mondadori
possono consolidare. Per questo Pasolini fu vittima del suo
ambiente da cui però inutilmente manteneva certe distanze.
|
CARMINE DI BIASE
La figura di Pasolini,
nella sua natura antitetica, nel suo volontarismo di presenza, nella
sua posizione di estrema anarchia, facente parte, nello stesso tempo,
del « sistema », artefice e vittima di se stesso, delle proprie
contraddizioni come delle ambiguità del mondo contemporaneo, resterà
come « segno » aberrante, ma autentico nella sua sincerità, dei nostri
tempi movimentati e smarriti, incapaci come siamo di autenticità.
Dopo il disperato sforzo di Vittorini, nella sua azione astratta di
sommuovere le acque stagnanti della cultura italiana, e dopo la ricerca
ansiosa, altrettanto disperata nelle sue forme esistenziali, di
Pavese, in quest'ultimo ventennio, l'operazione umana e culturale di
Pasolini, si pone, di primo piano e con forza di urto demolitore e
demistificatore come sempre: ma anch'essa disperata e delusa nella sua
assurda solitaria anarchia, quanto più vivo e drammatico era il suo
autentico bisogno di « sincerità » e di « necessità », che lo spingeva
a punte estreme, a vivere « una vita violenta ». Fino a rimanere vittima
della violenza: aggressivo e « violento » lui stesso, contro il
consumismo, ma divenuto, anche lui, soprattutto in questi giorni
drammatici, oggetto di consumo.
Il suo rifiuto, di fronte alle mistificazioni del mondo contemporaneo,
era totale e senza remissione, eppure ingenuo, persino estetizzante nei
suoi modi e forme: segno delle contraddizioni della sua natura e della
sua ideologia, interprete com'era, pagando di persona, del
mistificatorio pluralismo del mondo e della società di oggi. Dì qui la
sua azione ed operazione culturale contraddittoria e provocatoria,
sotto tutti i versanti: come poeta, narratore, saggista, polemista,
traduttore, cineasta, « moralista ». Una volontà di presenza, unica dopo
D'Annunzio, come è stato affermato, ma più bruciante e demolitrice,
con tutte le incongruenze di uno spirito oppositivo, in contraddizione
con se stesso e con il reale, ma in cerca di autenticità: con una sua
sofferta esigenza religiosa, che era qualcosa di più di una « fisicità
esistenziale », esprimendo una sua tendenza anche mistica, dietro
l'urto di forze antitetiche e nel nudismo della sua disperata fiducia
di cambiare gli uomini e la società, avvertendone lo scacco, il vuoto,
la regressione di valori.
Egli cercava lo « scandalo », per un richiamo di presenza, ma pronto,
poi ad abiurare, in cerca del « diverso », con una sensibilità sempre
attenta e pronta ai problemi del mondo contemporaneo, sentendosi, lui
prima dì tutti, colpevole, in una società di violenti e di colpevoli,
ove tutti restano omologati, senza fisionomia e senza responsabilità,
ossia inautentici e vuoti. Contro tutti i ricatti ideologici del
consumismo contemporaneo, Pasolini sì pone, « segno » e interprete delle
contraddizioni del nostro tempo, come artefice e vittima insieme: un
richiamo, per noi, non al « rifiuto », ma ad una maggiore
autenticazione di valori, ad una vera ricerca di identità, di fronte ad
una visione « riduzionista » dell'uomo, in cerca di una dimensione più
ampia e vera.
|
WALTER MAURO
La morte di Pier Paolo
Pasolini, così tragica e incredibile nella cieca violenza che l'ha
provocata, prima ancora di rappresentare un lutto fra i più gravi della
cultura contemporanea, non soltanto italiana, si configura con i
drammatici connotati di una tragedia sociale nella quale tutti ci
sentiamo coinvolti e che pochi come lo scrittore friulano hanno sentito
in questi ultimi anni con maggiore intensità. Se infatti le poesie in
dialetto della sua giovinezza rappresentano un momento spirituale «
vergine », vale a dire non inquinato dal veleno della metropoli, come
accadrà nei suoi romanzi, l'ultimo Pasolini è forse quello che resta
più vivo nella mente, poiché in lui, nei suoi « Scritti Corsari » la
provocazione si alterna alla passione ideologica e lo sdegno per la
follia del mondo di oggi trova una sua moderazione del dolore profondo
che ne sgomentava la coscienza ad ogni nuovo episodio di cronaca nera
che ha finito per vivere in prima persona.
|
MARINO PIAZZOLLA
In un paese evoluto in
cui ci fossero una cultura aperta e un costume aperti si dovrebbe
ottenere dalla TV che ha trasmesso il dibattito sulla morte di Pasolini
l'intero resoconto perché si possa avere la possibilità di sviluppare
un'ampia e spregiudicata discussione sull'argomento stesso. In tal modo
si presenterebbe l'occasione di fare intervenire tanti di quegli
intellettuali che in Italia sono tagliati fuori dalla politica o dalla
cultura ufficiale composta di narcisisti veri e propri che hanno
svisato più o meno le ragioni della morte di Pasolini. Nessuno dei
presenti al dibattito ha avuto il coraggio di denunziare che in Italia,
ii tabù sessuale ha reso l'omosessualità sullo stesso piano del peccato
originale senza tener conto che ben altre tare più gravi affliggono e
deteriorano la nostra caotica società civile. Perciò diventa grave il
fatto che Pasolini sia stato ucciso per ragioni delicatamente private e
che divengono, quindi, esecragli, mentre non diventano delitti la
speculazione edilizia, i ministri che rubano, lo sfruttamento degli
operai, lo strapotere dei vari centri di potere politici e culturali, le
varie mafie, le ipocrisie praticate da tutti gli ideologi, la violenza,
l'aver messo le masse nell'impossibilità di controllare le malefatte
della classe dirigente e la demagogia delle opposizioni, di accettare
la ipocrisia come norma di buon costume, il farci diventare compiici di
un andazzo politico-sociale-morale che sta dilagando e che ha
trasformato la società in un coacervo di delitti che sono molto più
gravi della pratica dell'omosessualità.
Dal dibattito non è emersa nessuna verità oggettiva e si è, invece,
confuso la sacralità della cultura con l'assassinio vero e proprio. Il
fatto che la morte dì Pasolini comunque sarà spiegata, analizzata,
giudicata dalla Magistratura non dà il diritto a nessuno di scagliare
la prima pietra sìa contro l'ucciso che contro l'uccisore. La tragicità
dell'evento anziché promuovere un discorso più vasto sulle condizioni
attuali dell'Italia si è disperso in bizantinismi narcisistici fuori
luogo. Tranne qualche raro felice intervento, il dibattito si è svolto
all'italiana e cioè in senso trombonistico opinabile e spesse volte
deviante dalle ragioni più serie che costituiscono il fondamento della
tragedia e del valore culturale di Pasolini. Nessuno mette in dubbio
che Pasolini sia stato un uomo coraggioso, capace di sensibilizzare la
critica ad una società corrotta molto di più di quanto non sia la vita,
l'esistenza di un omosessuale. C'è da dire inoltre che il tempo, con
l'aiuto di sempre più vaste discussioni, metterà in rilievo il valore
autentico di Pasolini, scrittore, poeta, saggista e regista.
Tutto questo accade e non può essere diversamente in un paese in cui
non c'è stata una lunga tradizione di cultura libertaria.
Alcuni dicono morte squallida, altri fanno vita squallida.
|
FRANCESCO MEI
Pasolini è stato
l'artista italiano del nostro secolo che ha interpretato intensamente
sia sul piano della vita vissuta che della creazione artistica la
tensione fondamentale del nostro tempo, soprattutto per ciò che
riguarda la realtà italiana. Cioè il confronto fra cattolicesimo e
marxismo.
La sua scelta del marxismo è stata una scelta polemica e provocatoria
più che ideologica, in quanto ha sentito che la giustizia sociale era
la cosa più importante in questo momento.
Pasolini ha avuto una visione religiosa delia vita proprio per il suo
rifiuto dell'ipocrisia, de! perbenismo e di ogni forma farisaica di
rispettabilità.
Anche la sua esperienza di vita rispecchia un'esigenza cristiana per il
suo volersi identificare con i poveri e con chi subisce ingiustizia.
Egli ha incarnato la massima di S. Paolo: « La nostra lotta non è con la
carne e con il sangue, ma con i principi e i potenti ».
Ha riscoperto certe verità della chiesa primitiva, secondo cui non è
grave la debolezza della carne in se stessa, ma l'atteggiamento dello
spirito.
Non è importante che l'uomo viva nella perfezione di una morale
esteriore, ma che si ponga in un atteggiamento di ricerca autentica
della verità e della giustizia.
L'uomo può trovare Dio anche nel momento in cui viola una morale
precostituita.
Pasolini ha riproposto una realtà essenziale che aveva affascinato
Dostoewski: che la vera virtù è la carità. Ha diritto ad essa anche
chi ha compiuto i delitti più atroci.
in Pasolini c'era anche una visione marxista (gramsciana) della realtà.
Era una visione politica non in contrasto con un certo suo fondo
mistico.
La sua poesia civile è ispirata alla immedesimazione con il popolo
contro ogni retorica ufficiale.
L'elemento della sua opera narrativa è l'identificazione con il mondo
delie borgate; cioè con chi viene rifiutato dalla società. Nel cinema,
a parte l'interpretazione di Cristo come fustigatore dell'ipocrisia,
c'è tutta una serie di films (Decameron, I racconti di Canterbury, I
fiori e le mille e una notte) in cui si abbandona a una specie di gusto
favoloso della vita e dell'amore visti con tenerezza e gioco.
Non si tratta di compiacimento erotico, ma di un recupero
dell'esperienza amorosa in chiave di innocenza.
Anche in tal senso Pasolini ha fatto un'opera di liberazione da certe
incrostazioni moralistiche.
Nella sua opera, pur ispirandosi alla ideologia marxista, ha riscoperto
anche la dimensione della giustizia sociale e quella dell'amore.
Contrariamente alle apparenze anche la morte di Pasolini, comunque la
si voglia interpretare, è coerente con tutta la sua vita. E' una
testimonianza della difficoltà e quasi impossibilità dell'artista di
esistere nella società contemporanea. Pertanto la sua fine è simile a
quella di Majakowski, Garcia Lorca, Dylhan Tomas, ecc.
Chiunque cerchi di rendere più civile il proprio popolo, facendo
compiere un salto di qualità oltre gli interessi costituiti, deve essere
disposto ad accettare il rischio della morte. Forse nessuno ha espresso
così bene tale concetto come Apollinaire quando ha scritto: « Abbiate
pietà di noi che combattiamo sempre alle frontiere dell'illimitato e
dell'avvenire ».
|