Dalla rivista Fermenti Luglio-Ottobre 1978, anno VIII
VITALDO CONTE dal "Premio Cave" altre 10 POETICOMANIE Propongo un'appendice alla « Sintomatologia del giovane morbo » (ultimamente esplosa in FERMENTI) con altri materiali di scrittura « poetati » da giovani mani con l'augurio (non certo di pronta guarigione), di una possibilità di ulteriore contagio. E con la possibilità di un accresciuto panorama delle diramazioni del morbo: anche se questo può « ammorbare » (nel senso di irritazione corporale) i non-contagiati. Il nuovo materiale è oculisticamente estratto dalla vista della Sezione Inediti del « Premio Cave » (appena concluso), con le naturali miopie non corrette, da una équipe di - « criticanti » — poeti riunitisi (per codificazione) in una giuria del « Cave »: dal me-ideante Vitaldo Conte (« giovin poeta » per professione vocativa) all'attenta Luciana Frezza « duttrice-tra » maledetti-morti francesi, dal « misurato » Minore Renato al « melanconico » Elio in Pecora, da Mario Quesada in circo/ spezione « grafica » al bla-bla/tante collavoratore « segreto » Gianni Toti e da lui: «l'aperto in squarci» poeta-concreto Verdi Franco. E' questa l'esalante giuria della seconda edizione « inedita » del premio, riprodotto con la mia riconosciuta « vitaldità ». I poeti « ivi » presentati in — sintomatologia — sono, fra parentesi l'età (per i morbosi del morbo); l'espugnatore del « Cave » l'abruzzese Gabriele Di Matteo (26) (gli andrà la pubblicazione del manoscritto « a scrocco » della Città di Cave); gli altri quattro finalisti / compagni di bordata nell'ultimo assalto, e cioè il milanese Fabrizio Caleffi (26), il lucano Antonio Lotierzo (28), il siculo-veneto Carlo Rao (33) e il romano Alberto Toni (24); e cinque segnalati (un sesto, Moroni, è iscritto nella precedente « Sintomatologia ») che sono il marchigiano Giovanni Dalloro (20), i romani Roberto Marchiò (19) e Ambra Marino (26), il milanese Ugo Marchetti (25) e l'emiliana Laura Serra (29). Sono tutti pericolosamente ringhianti al cancello del CAVE CANEM della giovane poesia. E io Cerbero errante posso così aggiungere altre 10 poeticomanie (in maggioranza « inedite ») nella Sintomatologia: poeticomanie polivalenti che libero alla «lettura» perché sono «ammorbato » dagli evanescenti latrati critici sulla creatività poetica. Credo che la strada da seguire sia ormai quella « selvaggia »... Forse per un nuovo appuntamento. |
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Poesia in «piscina» |
Da sinistra Conte, Contò, Viviani, Caleffi, Cavalli, Minore, Di Matteo, Toti, Riviello, Pecora, Spaziani, Linzalone, Sanchez, Toni, Bettini. In basso, Verdi, Rao, Lunetta (Foto Salvatore Abate) |
GABRIELE DI MATTEO Iceberg I CORRIDOIO
Saprai come moriva
se destato in fondo a un giorno dell'inverno avrai fredda bava sulle
guance e sbatterà cieca un 'imposta al vento amaro che dal porto
urla sulle luci.
II
Confusa neve
intanto ha dato il cielo come pioppo che sul vento nell'incrocio
posò lana.
Fu nel giorno
pieno, al colmo del fulgore che poi scese dall'aria una poiana.
(Non era presagio
d'un aereo
salvatore, nessun
metallo brillerà nel cielo
né sentirò i sordi
motori).
III
Amalia nel piombo
stamattina ha ritrovato il barboncino morto e il suo guinzaglio
fermava una C sul pavimento.
IV
Poi ricomincia con
un vento greve la notte artica e splende sulla neve.
V DA UN MERIGGIO
La scala di cotto ohe portava a casa s'aggrappava a un suono di
campane e il riverbero, ferendo vetri e tigli disse lamiera
all'anima malata che c'erano ragazzi chiusi con te nuda nel bagno.
VI
Amalia nella
soffitta cieca raccoglieva vecchie cornici.
Ferma dalle scale
lavate ogni mattina muta, sbavando lei pregava: « Se ogni grande
Civiltà tornò nell'aria Padre Onnipotente perché dovrebbe mai
persistere questo squallore d'uomini ».
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SANDRA PATRIGNANI Sara la malinconica
Guarda che sono andato
Tu Solo i conformisti dovrebbero morire.
No neanche loro (Milano, Lombardia) |
CARLO RAO
per me si va
lasciando
azzurro e occhi neri
(kaaba)
e salsicce di
teneri suini e pecorini con il cuore
pepe e tramonti senza fine
e labbra / fuoco e vino rosso e rari semini
finocchio e il fico / miele
e il calabrone
al di là del mare
movesi 'l vecchierel blanc...
(blanche
et pierre et l'amour au motel)
alle cinque
della sera
per la corona (sir) e la regina in mutandoni
et amore deo in odore
d'astinenza
ed anche
per il tuo
anello (sir) e le tue terre e gli
osti ed i giullari e le
beccacce delle tue
riserve e per le madonne al balconcino in odor
di giglio e che profumano
(eccome, sir) più di
un elisir di miele e mele
e dunque anche
per tutte le trecce bionde e mani bianche del
reame e naturalmente per
tutte le labbruzza
anch'esse in odor di gelsomino
ma sempre e
ovunque (sir) per la tua grazia ed il tuo scettro alzo la spada
in alto in odor che conviene
a vero cavaliere .
nudi
io con un cappello in testa
tu con un velo attorno al collo
(particolari
da verrocchio e bovary)
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ALBERTO TONI
Resta il manto sul
cocchio, un vanto
da ridere, come le
stampe muffe, ferme
nel tempo. Sì,
ricordo gli sberleffi sulla gialla
giacca di uno
sposo.
Noi ridevamo (e
ridere, ora so, mischia le storie al gioco dei dadi). E davamo le
lodi al poeta russo; fuori il maltempo, fuori, sulle insegne.
Tua figlia con noi
non scherzava e volevamo dirle che ci fa bene trovarci in uno
specchio ogni tanto, vecchi narcisi di professione e cattivi
educatori.
Riuscimmo alla
fine a darle una carezza; solare il venerdì segnò l'inizio di un
vento raccapricciante, senza possibilità di gemme immediate.
All'alba del gallo
quando la posta è
ancora fobia,
tieni stretto in petto
il tesoro dei
nonni.
Scaltro me stesso
d'oro
in regola, che
brinda.
E' deciso che il
blu è notte,
ogni lampo è
notte, denso come
creta; e la notte
svestita e lunare
è un amuleto. E'
deciso. Con bianche
lacche sul lago.
Ma i barconi là
dondolano, levigati
da mesi, terre di
ohi fugge,
dondolanti. Là chi
è fuggito ha cantato
un blues, davanti
a cattedrali
e ciminiere, ma
più in basso, da
un universo
pietroso.
Le poche erbe
nascondono fagotti,
arance sparse. E'
deciso che i frutti
sono scommesse
di sopravvivenze,
gialli, poi livide orbite
sfigurate.
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UGO MARCHETTI
mezzogiorno in
attesa del solito forse la giornata riprodotta silenziosamente
seguendo numeri ordinati da un tratto verso un tappeto di
teleobiettivi un atteggiamento remoto un'ombra arrochita da una
traccia rituale la piazza in conseguenza di un momento
abbandonato
il plurale in
ginocchio per il carisma del caso lungo la voce incatenata di un
uomo in vita
[eterna
un universo di
certezze fotografiche da una parte un segnale cupo agita la
Croce di Pietà
[fosforescente
un
interrogativo da centro dilagante
riportato
principale del terzo autore
inconsciamente
tempi d'ufficio e
gnomi nella
veste sinistra
La parte di
fuochi al libro sospetto
Agli occhi di
libertà da criminali
origine con
sede anni in conti dell'8%
contro i
raccolti in carceri di stima centrale
verso il nome
di Mare svizzero
su evasioni dal
dopo
CONTINUA la
sensazione degli infatti respinti
sistema di
luce in crescendo
da un
significato di ordine lontano
per dei con
voci di un falso
e subito
lunedì a favore
di una corte
in garanzia.
Forse un solo
con nebbia
l'asportazione
di un equilibrio
Al mese
inquirente
il panico di
parole sottovoce
per l'avanti
dell'estate Terrorizzata
e una morte
schiva dal cielo fantasma
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LAURA SERRA Chi ha ucciso Cock Robin
Chi ha ucciso Cock
Robin? Non abbiamo rimpianti, sediamo, già teschi, sulle merde che
tanti hanno sparso in città d'olio grigio scuotendoci a tratti i
pidocchi dal pube, mulinando con canti su uno Stige rabbioso di
nutilità.
Chi ha ucciso Cock Robin? Non abbiamo rimpianti, a gufi e civette esprimiamo gli stanchi denti dei non sorrisi che spegniamo nelle nostre facce strette e intanto sprechiamo le inette vie della mente.
Chi ha ucciso Cock
Robin?
Solo un secolo fa
ce ne furono tanti
al suo funerale,
a memorial crumb
da dare, ognuno,
un opportuno saluto
poi, la quiete dopo
la tempesta,
uccelli che fanno
festa,
la pioggia a
ciacolar nel pineto,
eco di cavallo
storne sul selciato.
Chi ha ucciso Cock
Robin?
tecnologia,
malattia, agonia,
oh, la morte è già
venuta
con volto non
antico, non strano,
ma asettico, di
poliuretano,
e noi la
osserviamo abbacinati,
con i nostri pugni
chiusi sorpassati,
mentre il fiume di
esistenze
iperconcrete
continua a crepare
di sete,
evacuando, o Cock
Robin,
i rifiuti di cui,
neri gigli del
campo,
irridiamo alle
mete.
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