La ristampa delle raccolte più significative della vasta produzione di Marino Piazzolla, avviata dalla Fondazione per rinnovarne la presenza e rendere più agevoli gli studi su di essa, consentirà una riflessione storica e critica sullo svolgimento dell'opera, in particolare sulla zona sua più matura. Già le
Lettere della sposa demente (1952, ristampa 1997) e i Detti immemorabili di R.M. Ratti (1979, ristampa 2000) riproponevano agli studiosi una campionatura rappresentativa dell'ispirazione lirica e della riflessione morale del Nostro.
Le Lettere, peraltro, si libravano in una sfera d'immaginazione amorosa e dolorosa, sulla scia del mitico
Persile e Melasia, che poteva far pensare ad una finzione poetica di stremata tensione, interna al lago di affetti del poeta, senza riscontro peraltro con la realtà.
Sugli occhi e per sempre (1979, che qui si offre in una nuova edizione) denuncia invece un ordito poematico di intensa liricità ma non ignaro da suggestioni traenti il loro impulso da alcuni dati del mondo reale, culturale o emozionale, artistico o musicale. Alcuni titoli delle composizioni possono risultare significativi:
Capriccio per Fabio Picasso, Mozart s'inchina, Bach suona pianeti e galassie, Minuetto per Kandinsky, II silenzio si fece usignolo soltanto per Beethoven, Sinfonia notturna per Eleonor
Fini, Per Chopin il cielo si fece pianto. E tuttavia siamo ancora alla trasfigurazione lirica, alla ricreazione
attraverso la parola della partitura di suoni d'immagini di
emozioni suscitate dall'iniziale referente.
Il percorso si completerà dolorosamente allorché il poeta dovrà misurarsi di lì a poco con un lancinante dolore reale, con un vuoto di presenza e d'amore: anche nei versi
dell'Amata non c'è più (1980) la parola poetica sarà chiamata a sublimare lo strazio esistenziale, a riassorbire nella sfera lirica il doloroso evento biografico; ma ciò avverrà con più drammatico contrasto, ed il poeta quasi con disperazione potrà affidarsi al mito orfico, alla strenua tensione del canto volto a richiamare dall'Erebo le care sembianze, per varcare la soglia che separa il dolore dal canto: la ricerca di una cara Euridice scomparsa che si vorrebbe riportare alla luce e alla quotidiana dimestichezza, e gli è preclusa, se non nelle troppo brevi ed ingannevoli illusioni della parola.
La cultura letteraria di Francia e le sue sperimentazioni più raffinate assorbite nel giovanile soggiorno parigino degli ultimi anni Trenta sembrano il segno almeno iniziale dell'opera di Piazzolla. Essa gli consentì di uscire dì provincia e di misurarsi con le esperienze più vive della letteratura.
Alla consapevolezza e scaltrita capacità di ripensamento di quella cultura letteraria e dei relativi esiti formali, la linea Mallarmé-Valery, ma anche l'altra Leopardi-Cardarelli; e le suggestioni dell'orfismo nella poesia moderna, cui si possono aggiungere Gide e Cocteau, Claudel ed Eluard (ma anche la cultura musicale e le esperienze del poema sinfonico novecente-sco fino ai nostri Quasimodo e Cardarelli, di cui Piazzolla fu assiduo collaboratore presso la "Pierà letteraria" in Roma; ed anche il barocco antico e recente
di certe esperienze artistiche non solo poetiche dal cavalier Marino a Picasso a Rafael Alberti a Ereton, ai surrealisti, agli sperimentatori di scritture automatiche), si contrappone un saldo dominio della parola, dell'immagine e del canto, non di rado raccolto dopo i voli dell'ispirazione e le avventure del cuore e della mente, in improvvise pause meditative, tristezza e solitudine di una autobiografica pena del vivere.
Ne risulta un'opera ch'è come un caleidoscopio di stupefacente varietà, dalle sue prime cose degli anni intorno al '40
(Tersile e Melasia, Ore bianche, Elegie doriche), alle già indicate
Lettere della sposa demente, alle liriche intense di Esilio
sull'Himalaya, di Adagio quotidiano, Gli occhi di Orfeo, Il mattutino delle
tenebre. L'opera di Piazzolla non può esser passata in rassegna rapidamente, e risulta
difficilissimo antologizzarla senza rischio di amputazioni; nonostante la copiosissima letteratura critica accumulatasi negli anni, attende ancora uno sforzo di decifrazione complessivo.
La lunga dimora in Roma, negli anni tra i Quaranta e gli Ottanta a stretto contatto con i gruppi di poeti, di scrittori e di artisti attivi in quei decenni (ha sperimentato forme di pittura; scritto saggi di filosofia, di estetica, di satira e moralità), gli ha offerto informazione diretta e scaltrita dimestichezza con le soluzioni formali della poesia e con gli orientamenti del gusto letterario.
Ma va rilevato che la molteplicità di tali esperienze e le antiche suggestioni della metafora e dell'analogia secentesca, e quelle più recenti del surrealismo e della scrittura automatica, non sono state se non la sua cultura letteraria.
Oltre la quale, per filtri spessi e originali ripensamenti si svolge la sua opera poetica:
Alcuni esempi: "Dov'era verde il tempo / e il giorno scendeva coi galli I alle soglie più mute, / me ne andai col sole /fino alla dolce luce. / Io vidi farsi tenera l'ombra: / sotto le frasche mature. / Com'era allegra l'erba / che cresceva negli occhi, / mentre scordavo il buio..." (Il poeta è solo, in Esilio
sull'Himalaya); "Spesso dal buio / l'occhio tuo s'affaccia / e imbianca il mondo / e l'albero t'implora. / Cosi ritorna / il primo giorno a noi; / e ti somiglia / il moto della vita / e il volo del passero più solo". (Esilio
sull'Himalaya). Poi, in anni più vicini, con più sofferta pena individuale che cerca sostegni di disvelate fedi: "Se ne va il padre! se ne va la madre. / Un giorno trovi cancellata / la donna amata / e il tempo si fa buio. / Perdi l'amico una sera; / ti cercano i nemici / in pieno giorno. / Non sai chi sei / solo fra gli occhi soli: / con tutto il cuore che ti chiama. / Allora ti resta Dio, / come un soffio sull'ombra: / e continui la vita".
(Partenze, in Adagio quotidiano).
Ma ancora più intensi e liricamente alti risuonano gli accordi che si levano dalla raccolta Sugli occhi e per sempre; l'ispirazione del poeta sembra slargarsi in sequenze di poema sinfonico, di straordinario effetto e consumata arte di intarsio, sensibilità vibrante e dominio di liquide armonie, in cui il sinfonico si sente nelle ricorrenti sinestesie: nei ricercati persuasivi accordi di sentimento, colore, suoni, immagini, luce e quasi odori, e l'onda ritmica si distende in larghe trasparenze madreperlacee, scatta e s'innalza in voli di uccelli, vibra e s'incupisce nei colori della notte e della pena.
Si vedano i Poemetti, con riferimento musicale anche nelle intitolazioni: Mozart s'inchina; Bach
suona pianeti e galassie. - Minuetto per Kandinsky, Balletto per archi impazziti; Sinfonia notturna per Eleonor Fini;
Sinfonia.
Sia consentita qualche citazione: Dal Preludio alla VII sinfonia "S'ode fra gli olmi l'upupa. Per l'aria la cresta / il lume d'un raggio a picco solleva danzando / un corno getta lamenti e gli echi lascia svanire / dove le foglie volando sembrano uccelli appassiti / se l'acqua intreccia al brusio squame di luci / a pochi passi il lago con dentro il cielo / un suono il vuoto a cupola sui voli / d'anitre vaghe / ed ecco le penne di becchi in armonia / macchie turchine sulle piume che il vento / accende scattando appena".
Il poemetto che da il titolo al libro, Sugli occhi e per sempre, si offre quale una autobiografia mitica del poeta, della sua difficile condizione nella società moderna: "Ogni poeta che muore lascia una colomba / a soffrire sul mare / e l'onda non l'ascolta"; ma la tragedia moderna è campita sullo sfondo di una natura panica: "Sì il vento tradisce / e toglie i colori alle avene / non riconosce il rosa della sera"; "e poi venne il mattino / con uno stuolo di galli impazziti".
Capriccio per Pablo Picasso offre scorci figurativi di straordinaria suggestione: "Studi profili assurdi con occhi tondi / inventi per la modestia strisce nel bianco dell'ansia / e sedie con schegge d'inchiostro e neve a cerchi... / Sdoppi il violino e ascolti l'ombra scomposta / un paese a incavi d'ebano per il fanciullo / la donna in poltrona / si scava fino al terrore dei seni a imbuto / devasta gli occhi assenti e ascolta / suonare il legno degli archi impazziti".
In Mozart s'inchina per far felice la sua ombra discesa da uno stuolo d'usignoli troviamo "Vengono di là dal pigolio di tortore / lamenti e fiori uccisi / la
stella del mattino calma / sul pentagramma a farti guida / per un giorno eterno / la Terra e poi le viole ai clivi / il mare e poi le vele a guisa d'echi / e l'armonia del tempo".
Bach suona pianeti e galassie: "Udirti a sera è ricordarsi d'un sogno / che torna a farsi squarcio o ci sprofonda / in noi mentre singhiozzan gli usignoli".
Le citazioni potrebbero essere infinite, senza peraltro riuscire a rendere il tessuto poematica polifonico della raccolta. Così il
Minuetto per archi impazziti, la Sinfonia notturna, Per Chopin il cielo si fece pianto ed infine la
VII Sinfonia nella sua complessa partitura in un preludio e quattro tempi, intensa e vibrante, attraversata da un tremito religioso che si fa disperata invocazione.
Si sente bene che la matrice dell'ultima (ma da anni ormai) ispirazione è dolorosa, come di tutte le opere non banali, essendo il dolore - lo pensavano anche Leopardi e Nietzsche - madre e nutrice della poesia moderna. E però sembra di cogliere sempre una capacità di superamento e di dominio dell'umano, cioè del dato doloroso, in una pacificata (ma con quali sofferenze!) acccttazione della vita, in una contemplazione di armonie cosmiche e naturali in cui la gioia travalica dal gorgo della tristezza e della pena nell'incanto ed ammirato gioco della vita, nell'affascinante cadenza delle stagioni e delle ore.
Michele Dell'Aquila
|